Storia d’arte e d’imbrogli

Il genocidio dell’arte. Il tesoro segreto del Terzo reich. Il tesoretto di Hitler. Si sono sprecate le iperboli sul ritrovamento – a dir vero sensazionale – di oltre 1.500 quadri trafugati dai nazisti a istituzioni e privati che finora si ritenevano perduti durante la guerra, stritolati dai carri armati sovietici o sepolti sotto i bombardamenti angloamericani. Sequestrate a Cornelius Gurlitt, un povero ricco figlio d’un collezionista in buoni traffici coi gerarchi nazisti, le opere varrebbero oltre un miliardo di euro, costituendo secondo le stime circa un decimo dei 10 miliardi che gli esperti stimano essere il valore totale delle opere sottratte dai nazisti: circa 100mila pezzi, il 20% delle opere d’arte esistenti allora nel vecchio continente. Ancora, proseguono gli amanti delle statistiche, un buon quinto di queste opere riguarderebbe la cosiddetta arte degenerata – surrealisti, astrattisti e via dirompendo – invisa al regime e amata dal resto d’Europa, in particolare dalla ricca borghesia ebraica che amava collezionarla e i cui eredi – vedi Anne Sinclair, nipote di Paul Rosenberg e già consorte del decaduto Dominique Strauss-Kahn – reclamano giustamente i beni di famiglia sottratti a suo tempo. Una minorità, a riprova che i tedeschi come altri conquistatori sulle cose d’arte non andavano tanto per il sottile, e assieme al degenere non si sottraevano alle lusinghe del classico. Persino quel fine intenditore di Napoleone, del resto, che fece man bassa delle cose d’Italia che ora illustrano il Louvre, al Prado si portò via quasi tutto ma lasciò gli sgorbi di Bosch e altri della compagnia di giro fiamminga ritenendoli, mutatis mutandis, troppo degeneri per il fine palato francese.

Ma l’eccezionalità del fatto, al di là della sua mole, è nella banalità del ritrovamento. Il figlio del trafficante nazista trascinava la sua esistenza da povero ricco nell’anonimo appartamento di Monaco (nella foto, l’ingresso) dove custodiva ammonticchiati alla bell’e meglio i suoi quadri, disfacendosene di tanto in tanto per vendere quel po’ dell’eredità che gli permetteva di vivere senza dannarsi l’anima più di tanto con le altre beghe che affliggono i comuni mortali, pigione e lavoro tra tutte. Così, il figlio di herr Hildebrand, degenere come l’arte che custodiva – ma quantomeno baciato dalla fortuna – tra la vendita sotto banco d’un Beckmann e d’un Matisse per tirare a campare, s’è fatto beccare dalla dogana bavarese e dalla perquisizione nel grigio appartamentone monacense dove alloggiava è uscito il ben di dio che il settimanale Focus ha raccontato e i media nostrani riportato, due anni dopo i fatti. La disavventura non gli ha però impedito di continuare i suoi traffici per continuare a campare, se ancora dopo il sequestro dei beni è riuscito a intascare quasi un milione di euro (che, sempre statisticamente parlando, non è che la millesima parte di quel che teneva, ma è pur sempre una cifretta che sta lì a dimostrare come le statistiche siano carta straccia e i soldi no).

Allora, diciamolo pure. L’eccezionalità dell’evento è nel mostrare, una volta di più, come non siano solo feroci macellai a godere di privilegi sconosciuti ai più, come l’affacciarsi e il passeggiare in una delle città più belle del mondo (la più bella, azzardiamo), serviti e riveriti alla faccia dello sfregio commesso ai suoi danni oltre che a danno di 335 innocenti, dell’umanità. No, non sono solo i boja alla Priebke, e prima di lui alla Kappler, a godere fino alla fine di amicizie e curatele, coperture e dimenticanze. Qua la risibile etica del soldato tutto d’un pezzo non c’entra, quella ancor più risibile del perdono ancor meno. Al massimo vale quella assi meno risibile del mercato e delle convenienze politiche senza colore. Per un imbelle di mezza tacca che si fa beccare coi Picasso sotto al letto, dozzine d’altri si godono beni trafugati ed esistenze di lusso, nei caveau svizzeri o in qualche dorato altrove. Per qualche erede dell’intellighentsja ebrea cui vennero sottratte le opere cui si levano i peana, per qualcuna di queste che magari torna a casa, i figli di milioni d’altri europei che manco la disgrazia d’essere ebrei ebbero, convivono con gli stenti e la minaccia degli epigoni di quella barbarie. Leggi albe dorate et similia. E l’Europa che quelle opere hanno incarnato, non è più. Preda, come allora, di politiche imbelli e corrotte, di anime belle e anime morte, prima d’esserlo delle armate del cupio dissolvi.