Il sistema degli script

Una splendida donna si dirige con passo elegante verso la fermata dell’autobus. Probabilmente sta andando a lavoro e non si sofferma a guardare troppo ciò che la circonda. Si stringe addosso la sua borsa pesante, sistema gli occhiali e ondeggia maliziosamente sulle sue scarpe tacco dodici, mentre si accinge a salire sul bus. Resta sul mezzo per una breve corsa, scende e va verso la metropolitana, entrando nel primo vagone disponibile. Timbra il biglietto, si siede per poco, poi si alza e scende. Altro giro, altra corsa.

Sembrerebbe l’inizio della noiosa giornata lavorativa di una banale ragazza di Düsseldorf, una storia priva di interesse. Ma la protagonista in questione, in questo suo quotidiano mescolarsi con la società civile che lavora e prende i mezzi pubblici ogni mattina, è nuda ed il suo corpo svestito è ricoperto di scritte, corrispondenti ai nomi degli indumenti mancanti.

Questa performance è stata concepita e realizzata da Milo Moiré, artista svizzero con origini spagnole e slovacche, che oggi vive e lavora a Düsseldorf. E proprio questa città è diventata teatro del suo ultimo lavoro artistico, in cui si sviluppa una duplice concezione del nudo. La pelle, liberata da ogni costrizione, diventa simbolo del disprezzo che si insinua nella cultura della denudazione, propria di una società fagocitante modelli sessuali mercificati e consumistici. In un ulteriore senso, però, la nudità viene intesa anche come fattore uniformante, grazie alla quale si può esprimere un desiderio comune e una vulnerabilità condivisa, che consente di far diventare un luogo chiuso – come appunto un tram o un vagone della metropolitana – un posto dove sentirsi al sicuro. Paradossalmente, perché la nudità, nonostante sia mostrata continuamente e senza troppi problemi, innestata nella quotidianità desta imbarazzo e disagio. Eppure l’artista, formatosi in psicologia cognitiva, scienza poi applicata nella sua arte che ha sempre visto il corpo come fulcro principale, ha voluto fare un esperimento: in un contesto come quello presentato, ovvero andare a lavoro con il trasporto pubblico, le persone sono innestate in un certo modo di approcciare quel momento, ed un elemento di disturbo come una modella nuda, non scalfisce tali parametri mentali. Sono gli script, per l’appunto, dei copioni cognitivi che danno il nome all’opera – The script system – perché ne sono la sua essenza. E la performance, forma artistica che privilegia l’uso del corpo – spesso nudo, come insegna Marina Abramovic, ad esempio – diviene il mezzo ideale per una ricerca artistica e scientifica al contempo. «La performance art – ha spiegato Milo Moiré – è parte del mio lavoro artistico da molti anni. Durante i miei studi in psicologia fui ispirato da ciò che veniva chiamata “script theory”, argomento trattato dalla psicologia cognitiva. Ogni persona conosce gli “script”, perché li affronta quotidianamente, al ristorante piuttosto che quando va a lavoro. Spesso gli script vengono seguiti automaticamente, senza essere consapevoli di cosa ci circonda. Ho tentato di riprodurre lo stereotipo dell’Alltagsblindheit – letteralmente, la cecità quotidiana ndr – e di farlo esplodere con la mia performance. Volevo rendere l’invisibile visibile, come tutti quei comportamenti volatili, che spariscono e ricompaiono successivamente. Volevo spargere i semi necessari ad uno sviluppo del pensiero. Una donna nuda non può stravolgere gli scripts profondi radicati nei passanti. Se avessi fatto questa performance durante una festa, molte persone avrebbero seguito il loro “flirt script” e dunque le reazioni sarebbero state molto differenti».

Oltre ai parametri mentali, un altro dettaglio estremamente radicato nelle persone è la considerazione dell’erotismo come fattore fondante della vita. Da un punto di vista artistico, Moiré afferma che «l’erotismo è sempre stato ed è ancora una parte importante dell’opera d’arte, e dovrebbe sempre essere preso in considerazione quando si discute dell’argomento. Nonostante ciò la creazione non dovrebbe focalizzarsi esclusivamente sull’erotismo, perché questo porterebbe alla conseguenza che l’opera potrebbe non essere più considerata arte».

La performance di Moiré pare aver dimostrato, dunque, che le persone non si smuovono dai loro parametri mentali, almeno apparentemente. Tale dettaglio non è trascurabile, perché quando si parla di performance il coinvolgimento del pubblico è fondante. “La performance art include sempre due lati – ha continuato Moiré – quello dell’artista e quello dello spettatore. Il pubblico diventa attivo persino quando non vuole farlo, diviene responsabile dei suoi comportamenti. Per me la performance è la forma d’arte più umana e immediata che esiste, contenente un immenso potenziale di ispirazione. Arte è sinonimo di libertà. Questa filosofia non dovrebbe stare dietro le porte sigillate delle grandi istituzioni artistiche e non dovrebbero rimanere nemmeno uno status symbol elitario, o di proprietà di una singola persona o di un ristretto gruppo. Con le mie performance sono capace di raggiungere direttamente le persone, di confrontarmi con loro. Sono in grado di fare arte psicologicamente concepibile».

Complice la performance, simbolo di un’espressione artistica potente e non convenzionale, che resta uno straordinario mezzo espressivo. Uno strumento che consente una riflessione a tutto tondo sull’essenza dell’uomo e sul meraviglioso e complicato universo racchiuso nella sua psiche. Un mondo da cui l’arte può attingere ancora e ancora, inesauribilmente.

info: www.milomoire.com