L’elettronica che fa piangere

Mushy, al secolo Valentina Fanigliulo, si è conquistata un posto mediano fra la sperimentazione sonora d’avanguardia e quel poco di elettronica che si ascolta in giro. Un territorio fragile e sfumato che però non le impedisce di erigere architetture sonore. I lavori di Mushy hanno lo stretto indispensabile per essere definiti canzoni ed è su queste ceneri che scende la sua ricerca sonora. Riconosciuta a livello internazionale e all’attivo due lavori solisti (Faded heartBreathless) e My life so far con A.R. Kane,  la compositrice si esibisce questa sera a Roma, nelle fonderie digitali Mandrione, per Teatri di vetro, portando una performance dove voci e suoni si fondono con le immagini. L’abbiamo intervistata prima del suo live a Firenze.

Un tour fitto di date, questo, con molti live anche all’estero. C’è una differenza fra il pubblico italiano e il pubblico straniero?

«Sì, c’è molta differenza. Diciamo, che all’estero hanno una cultura musicale diversa e che noi italiani invece siamo un po’esterofili e preferiamo seguire un gruppo straniero invece di guardare in casa nostra. Sono stata colpita da un mio concerto in Spagna dove mi sono ritrovata un pubblico che cantava le mie canzoni. Non mi aspettavo un’accoglienza così in questa nazione, solitamente per il genere di musica che faccio vengo seguita più dalla Francia o dall’Inghilterra».

Musicista indipendente di un genere poco seguito, quanto è difficile, se è possibile, vivere di musica?

«È molto complicato ma possibile. Rispetto a due anni fa, più o meno quando ho cominciato a ricevere i primi consensi, la situazione è cambiata e ora più o meno riesco a vivere di quello che faccio. Certo, il campo musicale non è una certezza, oggi ce la faccio, domani non lo so. In realtà vorrei allargare il mio live con più musicisti, portare sul palco una vera band ma ancora non è possibile. Per ora a suonare siamo io, che mi occupo della parte vocale, e Alessandro Adriani che cura i suoni».

Fino allo scorso anno invece eri da sola nei live.

«Sì, il mio, comunque, è un progetto solista e se porto con me un gruppo devo confrontarmi anche con altre persone, cercare di coinvolgerle. E sicuramente cambierebbe anche il mio modo di suonare».

Mentre quando componi è il suono che ti ispira una composizione o è una melodia?

«Dipende, anche se più spesso è un suono che viene fuori dal sintetizzatore e poi da quello parto per costruire la canzone. In ogni caso mi lascio trasportare dal momento di ispirazione, perché senza di quello non esce fuori niente».

Molti paragonano il tuo lavoro a Zola Jesus o gruppi come Cocteau Twins e L.A. Vampires. Ma possiamo rintracciare nelle composizioni anche delle influenze progressive?

«Può sembrare strano ma nel disco precedente (Faded heart) una delle mie ispirazioni è stato il blues, anche se praticamente, a livello di suoni, non ne è rimasto nulla ma l’atmosfera proviene da quella matrice. Per quest’ultimo lavoro sicuramente c’è più prog. Negli album che faccio opero una fusione e prendo ciò che più mi colpisce senza badare a quale genere attingo».

C’è una scena che per comodità possiamo chiamare dark in Italia?

«Credo che ormai lo strascico degli anni Ottanta sia morto. Ora c’è molta più contaminazione ed è possibile incontrare in uno stesso concerto il darkettone, il patito di elettronica o l’amante dell’indie rock indifferentemente. C’è poca coesione anche fra gruppi simili e non si riesce ad attirare l’attenzione dei media per definire un vero e proprio movimento. Per esempio, sono nella stessa casa discografica (la Mannequin) degli Ancien Regime e dei Soviet Soviet, siamo gruppi diversi ma per certi aspetti simili eppure abbiamo tre audience diversi».

Quest’anno sarai uno dei protagonisti del Miami, non è strano per la musica che fai?

«Molto, conoscevo il festival solo per sentito dire e non avevo mai approfondito, conosco poi pochi gruppi di quelli che suoneranno quest’estate. Non la vedo come una cosa che mi consacra musicista indie, mi piace invece che suonerò fuori contesto. È una cosa che mi è sempre piaciuta, quella di sorprendere, vedere come il pubblico reagisce a quello che suoni, all’idea che si era fatta di te e come questa idea cambia quando comincia il concerto. Mi piace che le emozioni girino durante un live, io le trasmetto, loro le accolgono o le rifiutano. E a loro volta mi trasmettono altro che io poi ripasso a chi mi ascolta».

Con queste premesse cosa ci dobbiamo aspettare per la performance di questa sera?

«Sarà un live molto intenso, sia a livello visivo sia a livello acustico. Vengono proiettati dei visual che ho curato personalmente essendo una patita di cinema indipendente. La musica si trasforma quasi in una colonna sonora del girato. È come se facessi la Dj ma invece di unire canzoni unisco stralci di film».

Sembra quasi tu voglia spogliarti di tutto e presentarti a 360 gradi al pubblico. Le tue canzoni sono molto personali e unite ai visual che hai curato personalmente, deve crearsi un clima molto intimo.

«Cerco di dare al pubblico le emozioni che provo. Alcune volte è successo che a fine concerto, specialmente le ragazze, siano venute e ringraziarmi piangendo, io spero sempre che sia almeno per cose positive».

29 aprile; fonderie digitali Mandrione, via del Mandrione 103, Roma; info: www.teatridivetro.it

[youtube]http://youtu.be/VZX1dgveIYY[/youtube]