New York: travolgente ed emozionante metropoli, ricca di storie e contrasti, amata e contemplata per le sue sfaccettature, è descritta nelle opere di Marco Tamburro la cui arte rappresenta un modo per dire che la pittura, quando è vera indagine, non può limitarsi a una mera rappresentazione, ma deve diventare denuncia e invito alla riflessione. Marco Tamburro, nato a Perugia, dopo aver frequentato l’accademia di Belle arti di Brera si trasferisce a Roma, dove si forma artisticamente riuscendo a catturare l’attenzione della critica. La personale in corso fino al 9 ottobre, è stata organizzata dalla fondazione Mazzullo e gode del patrocinio della Regione Sicilia e del Comune di Taormina.
Giuseppe Stagnitta curatore della mostra, si è occupato dei testi in catalogo insieme a Luca Beatrice, entrambi sottolineano come l’occhio ansioso di Tamburro non si ferma alle apparenze esterne: preciso perviene al nucleo e all’essenza delle cose, sintetizza, deforma, esprime. Nei quadri tutto è dominato da una perizia esecutiva che rivela l’intima gioia del fare pittura e di potersi esprimere con essa, senza riserve, pienamente e apertamente. Sulle tele dell’autore si stendono palazzi come cubi o parallelepipedi forati da enormi finestre, strade piene di macchine, caos metropolitano, tutto sembra riscattarsi nella leggerezza dell’aria che pare trasportare il pensiero puro dell’artista di una ricomposta geometria del colore. L’uomo preso dai suoi ritmi incessanti, si perde di vista il tempo che scorre velocemente, senza cogliere le piccole cose che lo circondano e che sta vivendo.
La figura umana è percepita come un’ombra schiacciata dal potere ostile che sovrasta ogni cosa. Ma è proprio nel caos di New York che Marco Tamburro trova uno spiraglio di serenità, scruta all’interno delle finestre per cercare un po’ d’intimità. Una pittura che affascina per la seduzione inquieta, per la volontà espressionistica e persino “narrativa” che è sempre di giudizio critico sulla realtà dei nostri tempi. Quello di Marco Tamburro è un operare sull’uomo e per l’uomo, le sue rappresentazioni non sono altro che metafora di un disagio sociale che l’individuo porta dentro di sé come una spina lancinante.
fino al 9 ottobre
Palazzo Duchi di Santo Stefano, vicolo De Spuches, Taormina