India e Israele gemelli diversi nei canoni occidentali

Fino al 16 dicembre il Tel Aviv museum ospita, nella nuova ala che prende il nome dei donatori californiani Herta e Paul Amir, Critical mass, contemporary art from India. Una mostra dedicata alla scena artistica indiana che sta godendo di un crescente grado di interesse in tutto il mondo, Italia compresa. Infatti, dopo il figurone fatto alla Biennale di Venezia da cui l’India mancava fin dal 1982, lo scorso autunno il Maxxi ha accolto la mostra itinerante Indian highway, con un notevole successo di pubblico e critica. Ma, tornando alla mostra israeliana all’Amir building, la prima dedicata all’arte indiana, questa comprende diciassette artisti, sia affermati che emergenti, alcuni dei quali come Ravi Agarwal e Bharti Kher abbiamo avuto modo di vedere proprio nella mostra capitolina. Attraverso dipinti, fotografie, sculture, video e installazioni viene data una visione trasversale delle nuove ricerche artistiche, dei cambiamenti tecnologici, economici e sociopolitici a cui il subcontinente è stato sottoposto nel corso negli ultimi due decenni.

Critical mass offre una vera e propria finestra sul caotico e colorato paesaggio visivo dell’India, riflettendo anche su tematiche quali i conflitti, le tradizioni locali e le influenze globali. I colori, gli ornamenti, il rumore, il flusso, la materia, sono tutte caratteristiche delle opere presenti in questa mostra che parlano di tradizione e modernità, trattano il tema dell’urbanizzazione e il suo impatto sull’ambiente; criticano il consumismo, affrontano le tensioni religiose e i conflitti politici. Subodh Gupta, ad esempio, con le sue sculture tanto vicine al postproduction teorizzato da Bourriaud, riflette su un paese in via di trasformazione; al contrario L. N. Tallur e Ryas Komu rielaborano le antiche forme espressive della cultura indiana. Un’altra tematica si lega invece alla trama visiva caotica delle megalopoli locali. Così troviamo Gigi Scaria che, come nell’ultima Biennale, presenta un ascensore nel quale si susseguono tre proiezioni, tre situazioni urbane diverse; o ancora i video “tranche de vie” di Rashmi Kaleka. Al termine del percorso vengono da sé le motivazioni che hanno spinto il museo israeliano a interessarsi dell’arte indiana. Effettivamente si possono riscontrare delle affinità tra i due paesi: i conflitti identitari, nonché le realtà sociali e politiche che fungono da catalizzatrici per entrambi, nella messa in opera di una produzione artistica di forte impatto visivo. All’arte dunque il compito di demolire gli stereotipi, i luoghi comuni e le contraddizioni che giungono in Occidente quasi sempre in maniera distorta, perché paesi di questo tipo solo vivendoli