Nel testo critico che accompagna la personale di Persefone Zubcic dal titolo “Corpo”, Alessandro Trabucco spiega che «l’ambito di scena dei soggetti dell’artista croata è quello a lei più vicino e conosciuto». Dunque la sfera amicale e familiare di Persfone, come nel caso del padre, della madre – Xena Zupanic, attrice e “performer” teatrale – e del compagno di lei, nei dodici scatti in bianco e nero per raccontare un rapporto dove si intrecciano amore, perversione e condotte allucinatorie ai confini delle patologie psichiche secondo le dottrine dell’antipsichiatria di Ronald Laing.
Allestita fino al 24 settembre nello spazio Glenda Cinquegrana a Milano, una città che accoglie per la prima volta i lavori dell’artista classe ’82, la mostra presenta al pubblico un “corpo” oggetto e soggetto privilegiato dell’obiettivo di Persefone, laddove il suo percorso corre lungo il confine tra l’atteggiamento fotografico e quello performativo.
«Il corpo che ho non è soltanto un corpo ma è il mio; è il solo corpo di cui dispongo in modo immediato per capire la realtà che mi circonda», spiega l’artista scoperta nel 2002 dal curatore Harald Szeemann, che ha alle spalle già una doppia partecipazione alla Biennale di Venezia (2007). Dai familiari agli amici, come già anticipato, negli scatti della Zubcic i soggetti posano al pari di modelli rievocanti l’iconografia cristiana, martiri dell’epoca contemporanea, oppure sono raffigurati con i contorni di asceti. Ed è qui che il sacro si fonde con il profano, il bello con il deforme, il disperato con il poetico, e le atmosfere si saturano ai limiti della brutalità.