Non ci saranno migliaia di persone come alla grande mostra del centenario, due anni fa, ma una più modesta compagine assisterà stasera alle musiche nel giardino dei ciliegi, nella sua Fucecchio, a commemorarne il decennale della morte. Su Indro Montanelli (1909-2001) molto è stato detto, assai più resta da dire ed è difficile venga fatto in questa occasione. Gran maestro del giornalismo, storico e scrittore.
A un decennio della scomparsa, alla vigilia di quel settembre 2011 che avrebbe chiuso la saracinesca sul Novecento e dato la stura all’immaginario collettivo di un millennio ancora da decifrare, resiste immarcescibile la vulgata del grande vecchio saggio e senza padroni, anarchico e guascone, senza peli sulla lingua e tantomeno in punta di penna. Un italiano vero, diversissimo anzi dai suoi conterranei, così coerente fino alla fine dei suoi giorni, di 92 anni portati dritti come uno spiedo. Un giornalista vero, diversissimo anzi dai suoi colleghi mestamerda e voltagabbana. Uno capace di dire no al padrone per eccellenza, nientemenoche il signor B, quando s’accorse che voleva metterlo da parte come un ferrovecchio, e alla tenera età di 85 anni si rimise in lizza col piglio dei venti, dando voce alla Voce. Uno che amava il suo paese e il suo mestiere e aveva una tale considerazione di sé al punto di dire che nessuno dei due gli sarebbe sopravvissuto. Un profeta, persino. Anche se la voce “augure” manca nel coro delle voci bianche dei salmodianti, dei tanti orfani del profeta di Fucecchio.
La coerenza, si sa, è salsa con cui ognuno può condire ciò che vuole, soprattutto quando la memoria è lunga uno sputo. E la coerenza a Montanelli non faceva difetto, come mostra la pervicace negazione dell’uso dei gas nella guerra d’Etiopia in cui era giovanissimo capobanda, o la difesa a oltranza dall’accusa di pedofilia per aver comprato (per la non modica cifra di 500 lire del 1938) una “monella negra dodicenne”, debitamente lasciata a un suo sottoposto al momento di rientrare in patria. Quisquilie, si dirà, peccatucci di gioventù. Resta l’italiano vero, il giornalista immenso. Agli smemorati nostalgici, ai collettori di lezioni di storia e di giornalismo patrio del maestro piace ricordarlo così, senza neppure aver letto le magnifiche lezioni d’italico stile che il maestro mandava da Tirana, in procinto di farsi italiana. Eia Eia valà, Indro.