Caso Wojtyla, parla Oliviero Rainaldi

«Guardatela, datele tempo. C’è una strana fretta che sembra sottintendere altre cose». Non si spinge oltre, Oliviero Rainaldi, l’artista abruzzese con base a Roma che ha realizzato la scultura di papa Giovanni Paolo II collocata all’ex piazza dei Cinquecento, di fronte alla stazione Termini, nella capitale. Catapultato dal 18 maggio in un delirio di critiche – ma anche di apprezzamenti, sebbene minoritari – che hanno solleticato addirittura il New York Times. Giorni di furiose polemiche, di definizioni più o meno eleganti (dalla garitta al vespasiano passando per Megamind e Barbapapà), un turbillon politico che intorno a Conversazioni – questo il titolo dell’opera – sembra aver trovato uno sfogo per chiarire questioni che dall’arte si allontanano non poco. Un’eco clamorosa, insomma, dalla quale l’artista era fino ad ora rimasto quasi del tutto estraneo. «L’impatto non può che suscitare reazioni contrastanti – racconta l’artista nella videointervista rilasciata in esclusiva a Inside Art – ma non facciamoci trascinare dall’emozione». Anche perché, lascia intendere Rainaldi, se proprio non dovesse piacere ci sarebbero molte altre città – tre mete in particolare di prestigio ruotano intorno alla scrivania del suo legale – a volerla ospitare. E sull’idea di un referendum cittadino, lanciata dal sindaco Gianni Alemanno, la replica dello scultore è secca: «Forse pecco di memoria, ma dove si è mai vista una cosa del genere? Non facciamo i pellegrini, la mia opera resterà nella storia».


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