Rainaldi, le forme dello spirito

Sagace e pieno di spirito, Gino De Dominicis usava dire che «ogni artista è un grande disegnatore, un grande pittore o scultore, e ha un segno particolare nel piede destro». Un’impronta sottile e indelebile come un moderno marchio – ma il termine sembra quasi blasfemo – generatore di un’aurea vitale, accogliente. Oliviero Rainaldi ha quel segno impresso nell’arto inferiore, o meglio nelle mani che plasmano di volta in volta bronzo, oro, marmo, piombo e creano figure, volti di un’umanità pacata. Classe 1956, l’artista, originario di Caramanico Terme ma ormai romano d’adozione, ha una carriera costellata di mostre importanti in Italia e all’estero e dal 2000 a oggi ha realizzato arredi liturgici per diverse chiese a Roma, Terni, Prato e altre prestigiose commissioni ecclesiastiche. Trascorsi professionali con la pittura e la grafica, mai completamente abbandonate, e poi la “vocazione” per la scultura. «È lei che ti sceglie e non il contrario – precisa Rainaldi – nel 1990 con il ciclo Gisant, nasce la necessità di rappresentare le nuove tematiche in maniera diversa, e la pratica scultorea sembrava offrirsi più generosa».

Plasmando forme eleganti e dirigendo sapientemente le traiettorie della luce, nascono creazioni dalle virtù classiche, soprattutto nel tratto equilibrato, con cenni al mito e richiami, nei contenuti, a una spiritualità placida e riflessiva. «Non c’è una spiegazione razionale al risultato finale di un’opera, quello che realizzi maggiormente è il senso della fatica e del sudore – spiega l’artista – la gioia, la tristezza o malinconia non possono essere premeditati, altrimenti si fa illustrazione». Sembrano non sorridere mai. «Ma – dice – la gioia vera si esprime più attraverso il pianto che con il riso». Grazia, eleganza, equilibrio rivisitati in chiave contemporanea. Una scultura rassicurante e accogliente. Ma lo scultore è consapevole delle differenti visioni che l’opera può assumere una volta esposta al pubblico: «Molti trovano le mie sculture inquietanti, altri rassicuranti. Credo sia lo sguardo di ognuno di noi che recepisce i vari stati dell’anima nella scultura. L’autore ha in mente un’idea che spesso si trasforma sotto le sue mani al di là delle sue intenzioni, trascendendo la sua stessa volontà: è un mistero anche per chi lo compie». Più vicino alla metafisica, alla sua autenticità scevra da qualsiasi forma di anticipazione teorica della creazione. Solo così Rainaldi riesce a dare veramente forma allo spirito. «Questo secondo me è senza dubbio condivisibile, che sia una mia totale conquista non lo so. Oltre il soggetto si manifesta il tema e l’aurea di cui esso si avvolge, è un’ingrediente di cui alcuni possiedono il dono e altri no». E quindi aggiunge: «La lista delle cose che non riesco a cogliere è assai lunga. Il pensiero che rincorro non è costante, ogni lavoro è similmente diverso. Mi affascina esprimere la bellezza cercando di non cadere nella sua retorica. Non sono molto interessato all’arte come cronaca né tantomeno a imporla cercando un facile scandalo». In effetti, rispetto a certa arte contemporanea urlata, la sua è una voce pacata. Non c’è aggressività e lo conferma lo stesso artista: «Che ci sia il desiderio di scuotere gli animi va bene, ma al frastuono preferisco suoni più sussurrati».

È stato insignito nel 2000 da papa Giovanni Paolo II del titolo di Accademico della Pontificia accademia di Belle arti e lettere dei Virtuosi del Pantheon. Quindi nella sua vita professionale occupa un posto di primo piano la sua personale visione religiosa. Anzi, «avvolge ogni cosa – afferma – non solo il lavoro. Una volta che ti addentri in questa avventura la tentazione costante è quella di agire come Giona, ma se si intraprende questo tipo di esperienza senza imposizioni, bensì per libera scelta, secondo me non fa altro che bene: si crea una sorta di inquieta tranquillità, non un oppiaceo e neppure ansia e paura». La natura delle cose è la prossima mostra in programma a Roma. «Volevo fare una mostra di sculture ispirate all’acqua e il giardino della villa Aldobrandini si è rivelato il posto ideale. Sto realizzando 13 opere, create appositamente per l’occasione. Alcune saranno con vetro e acqua, altre in piombo, altre con il ghiaccio».

L’ARTISTA
Dall’accademia ai musei esteri

Oliviero Rainaldi, nato a Caramanico Terme (Pescara) il 25 agosto 1956, ha studiato all’accademia di Belle arti di Venezia con Emilio Vedova e si è diplomato all’accademia di Belle arti dell’Aquila con Fabio Mauri. Il suo lavoro è stato presentato in rassegne d’arte e spazi museali in Italia e all’estero, quali Prospect ‘93 allo Schirn Kunstalle di Francoforte, Otis Parson, Los Angeles; Polk Museum, Florida; Gam, Bologna; Museum national Jakarta, Indonesia; Mezzanine gallery, Metropolitan museum of art, New York; Mucsarnok Kunstalle Budapest. Vive e lavora a Roma. Info: www.olivierorainaldi.net.

LA MOSTRA
La natura delle cose

Un omaggio all’acqua e al suo potere evocativo, un viaggio a ritroso nel tempo tra miti e icone della letteratura e dell’arte all’interno di una delle ville storiche più raffinate e segrete di Roma. Sospesa su un frammento del Quirinale, risparmiato dagli sventramenti di fine Ottocento, villa Aldobrandini ha sempre avuto una relazione intima e costante con l’acqua, presente sul suo sito fin dall’Antichità. Oliviero Rainaldi ha preso spunto da questa particolare dimensione ambientale per elaborare le sue installazioni che dialogano con le radure, le palme e le vedute urbane della villa, grazie a progetti realizzati per l’occasione. Il suo lavoro da oltre trent’anni si muove tra gesso, oro, marmo e vetro e si arricchisce in questo nuovo percorso della presenza vitale ed evocativa dell’acqua utilizzata come materia e superficie da modellare con i suoi segni e le sue invenzioni. I riferimenti culturali di Rainaldi spaziano dalla dimensione classica a quella religiosa, fonti per storie della medesima forza e suggestione. La Natura delle cose, a cura di Costantino D’Orazio, dal 21 giugno al primo agosto, parco di villa Aldobrandini, via del Mazzarino 1, Roma. Info: 3312478671.