Losvizzero a New York

La società contemporanea è caratterizzata da un livello sempre crescente di specializzazione e settorializzazione, ma se in alcuni ambiti, come la medicina o la tecnologia, questo ha un valore positivo, avanguardistico, in altri, specialmente di carattere creativo, questo può determinare una chiusura e dunque una perdita. Del resto, per quanto riguarda il piano propriamente artistico, non bisogna scordare che sin dalle origini i più grandi maestri non si sono mai limitati a un’unica disciplina. Bernini era architetto, certo, ma anche scultore, pittore, Michelangelo idem, Leonardo addirittura ingegnere. Senza andare troppo lontano Picasso, nel secolo scorso, non solo si è cimentato con tutti i media legati al mondo dell’arte, ma si è anche interessato al teatro e alla moda. Bene, quando si parla di Franco Losvizzero, non si può omettere questa premessa, perché si parla di un artista a 360 gradi, che ricalcando, più o meno inconsapevolmente, le orme degli antichi maestri, non ha mai avuto paura di mettersi alla prova in diverse discipline. Allora emerge più chiaramente il motivo per cui la mostra 5 Souls a New York, aperta fino al 17 settembre, descrive diverse personalità, che sono allo stesso tempo sfaccettature di uno stesso artista, di cui nessuna esclude l’altra, ma che si alimentano a vicenda, in un susseguirsi incessante, una sorta di dialogo che l’artista conduce con se stesso e che si rigenera costantemente, proprio grazie all’utilizzo di mezzi diversi, continuo stimolo per andare sempre avanti e affrontare nuove sfide.

Il pittore, lo scultore, il performer, il fotografo e il regista convivono, accomunati da un denominatore unico che è la voglia di scoprire, di andare sempre oltre, superando i limiti. Per questo, la vocazione estetica di Franco Losvizzero ha poco da spartire con il concetto di bellezza comunemente inteso, perché si nutre di figure arcaiche, a tratti mostruose, che derivano da una ricerca che attinge a una memoria allo stesso tempo individuale e collettiva. Infatti, se l’artista trova degli spunti nella mitologia, nella storia, non ha paura di rivolgersi anche al suo inconscio per tirare fuori delle immagini che possono risultare scomode o disturbanti. Sicuramente tutte le espressioni artistiche di Franco hanno però una matrice comune che è il disegno, segno, primo germoglio, da cui prendono vita le idee, per trasformarsi in installazioni, performance, video, e recentemente persino in un’applicazione: ”The White Rabbit”, la prima opera interattiva sotto forma di app. Il disegno, dunque è protagonista di questa mostra come estrema sintesi, punto di partenza per la fantasia dell’artista, sempre all’insegna di una grande libertà che gli consente di compiere voli pindarici senza mai perdere un sano rapporto con la realtà.

Cominciamo dalla mostra che hai appena inaugurato a New York perché 5 Souls?
«A New York ho fatto diverse mostre tra cui tre personali, questa però è la prima che faccio con la decisione di trasferirmi. Per il mercato è importante far capire che non sei uno di passaggio ma che vivi qui. Che possono puntare su di te e non scomparirai tra qualche mese. Così dopo la mostra di ottobre 2017, sempre qui a NY, dal titolo “Francamente”, curata da Alessandro Berni, ho pensato che non mi serviva più soltanto un biglietto da visita, con una retrospettiva dei lavori americani degli ultimi 10 anni ma una vera introduzione al mio percorso che comprendesse quelle opere che mi hanno reso più riconoscibile nell’arco di questi 15 anni di carriera. Presentare le 5 anime di Franco Losvizzero mi è sembrato il miglior modo per farmi conoscere, fosse anche per sommi capi; ma è un lavoro corale delle mie 5 anime che volevo fosse raccontato».

«La prima anima è quella che si è dedicata alla sculture meccaniche sin dalla prima personale del 2005 alla Galleria Altri Lavori In Corso di Marco Rossi Lecce con titolo: “Carillon-Anatomie Meccaniche”. Erano piccoli robot con micro-chip dedicati che si muovevano in modo inquietante. Poi sono diventate più grandi, con Gigo Robot, (che oggi ci suona molto familiare per il film ‘Lo Chiamavano Gig Robot’ ma che nel 2006 all’Arte Fiera di Bologna era una vera novità. Le musiche non a caso erano state realizzate da Gabriele Mainetti, regista dell’omonimo film, al tempo mio amico e gran musicista), Girogirotondo alta 160 cm e Dindolò che arriva a 230 cm. La seconda mia anima è quella performativa. Il Coniglio bianco è una performance che ho presentato un po in tutto il mondo e quest’anno ricorrono i 10 anni dalla prima presentazione. Eravamo a Roma e avevo appena realizzato Girogirontondo, una delle miei sculture meccaniche più grandi, l’unica cavalcabile finanche dal pubblico. La scultura sarebbe partita nei giorni successivi per una mostra molto importante organizzata dal Ministero degli Esteri a cura di Martina Corgnati e fortemente voluta dall’allora ministro degli Esteri Massimo D’Alema, che tra l’altro apre il catalogo con un suo testo. Così nacque l’immagine il video con le musiche originali di Ludovico Van Piazza! Scattammo in studio prima della spedizione che l’avrebbe portata a Damasco, Beirut e al Cairo. La performance, con cavallo meccanico o senza, l’ho portata poi a Berlino, più volte, a Lecce dove fece gran scandalo -l’arcivescovo di Lecce voleva scomunicarmi!-, a Milano per il premio Celeste e per il Premio Cairo, a Roma tante volte, a New York nel 2015, a Miami all’interno dell’Art Basel del Convention Center e poi Torino, Napoli. Al Bianconiglio, negli anni, si è affiancata la Regina Mab, Caronte e il Can Papà rispettivamente presentate a Cosenza, alla Galleria Nazionale D’Arte Moderna e Contemporanea e in diversi spazi a Roma. La terza anima e quella del pittore. E’ la prima mia passione e anche il corso all’Accademia di Belle Arti di Roma con cui mi sono diplomato. Il disegno-pittura a olio su carta è l’allenamento giornaliero o forse bisognerebbe dire notturno, che mi accompagna da anni. Qui a NY ho voluto approfondire quest’aspetto anche per motivi pratici. La quarta anima è “lo scultore” con resina mista a cera. Una mia soluzione/invenzione che sin dall’inizio mi porto dietro e che rende le mie sculture forti come la plastica ma anche trasparenti come la cera. Ha a che fare con quella sperimentazione chimica-alchemica che nell’ultima mostra personale da Pio Monti a Roma è venuta un po più fuori. La quinta anima è lo scultore in vetro. Istallazioni come L’Albero Sibilante della Cuccagna (mostra e catalogo Skira a cura di Achille Bonito Oliva) sono diventate molto identificative del mio lavoro. Le 4 collezioni realizzate a Murano dal 2007 ad oggi hanno contribuito a sondare quell’aspetto magmatico dei mostri che mi abitano, a riflettermi, io come il pubblico, nelle deformazioni dell’inconscio e nello specchio-liquido, nel “soffio” che dilata il vetro liquido e lo rende contenitore. Ci sarebbe poi un’ anima per il regista ed una per il fotografo ma 7 anime non mi piaceva come titolo.. e poi esiste già un film che si chiama così».

Cosa hai trovato a New York che non c’è in Italia?
«Tre mostre in tre mesi! Appena arrivato ho partecipato a Clio Art Fair, che si svolge durante l’Harmony Show, dove ho presentato l’App “The Magic Rabbit” la stessa che era in galleria da Pio Monti per la personale “11-La Porta Alchemica”. il 29 aprile al grande open studio al Mana e il 17 maggio l’inaugurazione della personale a Chelsea. Le cose sono molto dinamiche ma soprattutto quello ho trovato a New York, nelle tante volte che sono venuto, è l’energia, la voglia di fare che mi anima, l’ambizione che cresce e il confronto con tanti creativi e menti brillanti da tutto il mondo».

Puoi parlarci del Mana Contemporary?
«È il paradiso per gli artisti! Una struttura di diversi palazzi con spazi enormi all’interno. Più di 100 studi d’artista, sale prove per la danza, musica, ristorante interno e sale espositive con mostre internazionali. Guardiania 24 ore su 24, montacarichi, corniciaio interno… Immaginiamo il Maxxi con cento artisti che ti accolgono (quando le porte degli studi sono aperte) e si mostrano mentre lavorano. Su lunghi corridoi e 6 piani giganteschi, passi da studi di 500 metri quadri a studi come il mio di 80 metri quadrati. Mio e di Verdiana Patacchini artista con cui ho condiviso questa bella esperienza dell’Open Studio del 29 aprile. Una vera e propria comunità di creativi a 20 minuti da Manhattan, a Jersey City. Insomma un luogo dove staccare da tutto e dal caos della city per sentirti protetto e in pace. e concentrato. In questo studio ho prodotto il 90% dei lavori che poi ho presentato alla mostra 5 Souls».

Sulle tue performance si sono spese tante parole perché pensi facciano ancora scandalo?
«Perché un corpo nudo tra gente vestita è ancora scioccante. Seppure negli anni 70 si è fatto tutto e di più, oggi si sta regredendo sotto molti punti di vista. Ma sciocca anche da un altro punto di vista:- tornare alla fonte della bellezza per chi lavora sul concettuale, su filosofie astratte è altrettanto anacronistico. La donna nuda dipinta di bianco è un rimando classico ed è lì che vedo una bellezza senza tempo. La musa è e rimane punto di partenza per ogni creazione per me come per tanti artisti in tutte le epoche. L’altra cosa che scandalizza o forse è meglio dire che inquieta, è il movimento lento delle performer, l’atmosfera sacrale che emana e la maschera bianca di vera pelliccia di coniglio. E’ un insieme di elementi che determinano ‘l’effetto’ di straniamento: musica, movimenti, oggetti e architetture con cui si relaziona la performer, intensità interiore….insomma bisogna vederla dal vivo».

Tu nasci come pittore come sei arrivato a diversificare così tanto e a rimanere così tanto riconoscibile?
«Ho sempre pensato che passare da un media all’altro fortificasse i concetti e la poetica che mi contraddistingue. Se davvero avevo qualcosa da dire la prova del nove sarebbe stata utilizzare ora il disegno, ora la fotografia, ora il vetro. Ogni ambito va approfondito al massimo, tecnicamente e formalmente, ma riuscire a creare la stessa linea estetica e concettuale è stato per me un gran traguardo. Anche con il cinema credo che sia riconoscibile un certo approccio. Almeno…ce la sto mettendo tutta!».

Il cinema nella tua carriera ha un ruolo determinante, puoi raccontarci le tappe fondamentali?
«Concetti, ricerca, fotografia, musica, scrittura e lavoro con gli attori sono ingredienti esplosivi. Aver studiato fotografia all’IED e regia a Londra, Sceneggiatura con Robert McKee, operatore al Cine e TV e 12 anni di recitazione con grandi maestri, come Susan Strasberg, Geraldine Baron, Michel Margotta e soprattutto con Beatrice Bracco, mi ha aperto un mondo. L’inconscio, le memorie che ci portiamo dentro, gli archetipi e i miti come i simboli ancestrali, sono materiale che ho imparato a trattare; ho imparato a scavare dentro di me, ad affrontare i miei mostri. Un viaggio che ripeto ogni volta che inizio un’opera: togliere i pensieri preconcetti e lasciare che “il corpo” parli così come insegna la meditazione trascendentale-. Corpo come inconscio, come anima. I primi cortometraggi con Claudio Santamaria e Gabriele Mainetti del ’96 (si trovano su youtube uno è “ZZ” l’altro che sarebbe il seguito si intitola: “Picchio e Pacchio – i 2 Eroi Della Pallavolo”) erano vera sperimentazione. Poi il primo lungo con Violante Placido, Moira Orfei, Alejandro Jodorwsky, Patch Adams con Musiche di Diego Buongiorno, Viola, Simone Cristicchi, Marco Di Teodoro e Gabriele Mainetti dal titolo CIRCONUDO. Quello fu un gran bell’esperimento. Passai 2 mesi dentro il circo Togni a preparare un spettacolo folle e contemporaneo. Ma il circo partiva e così ne feci un documentario con parti di finzione. Li iniziò il mio rapporto con Jodorowsky che perdura tutt’oggi … un altro grande maestro! (spero di rimettermi presto a lavoro sul documentario su di lui visto che ho accumulato 17 ore di girato).

«Oscar Niemeyer – L’Architettura è nuda” e l’altro mio film documentario che presentai al Festival del Cinema di Roma nel 2008. Lo presentammo a più riprese nell’ambasciata brasiliana e in una delle visite fu consegnata una copia anche all’allora presidente del Brasile: Lula, che ebbe l’accortezza di scrivermi personalmente una mail per ringraziarmi per l’amore con cui avevo trattato nel film il popolo brasiliano. Un altro esperimento a cui devo molto è “Il Grande Sogno Di Un Nano” un film senza dialoghi che prevedeva un viaggio nel inconscio di una nano. Un film interattivo dove come in un videogioco potevi scegliere il percorso. E’ del 2006 e lo presentammo io e Matteo Basilè (perché era un lavoro a 4 mani) a Bologna all’arte Fiera e al Festival di Locarno (Poi Matteo ne fece un cavallo di battaglia, soprattutto col le simbologie e il lavoro sul nano, tutto materiale che apparteneva alla mia ricerca! Ma questa è un’altra storia!…e nemmeno bella! Nel 2009 presentai N.Variazioni, un film di 90 minuti scritto e diretto da me, sul rapporto di coppia. Solo 8 battute ripetute per 12 volte. Con Luca Maria Patella (anche autore con me di uno dei racconti), Violante Placido, Roberto Zibetti, Miriam Catania, Duccio Giordano, Gabriele Mainetti, Giorgio Caputo, Chiara Ricci e tanti altri. Il film venne anche selezionato per Cannes ma preferii il festival del Cinema di Roma nella sez.Sperimentale curata da Bruno di Marino dove vinsi. Ora sono a lavoro su due documentari uno che si intitola “Il Più Grande Collezionista del Mondo” e quello su Jodorowsky. Il progetto più ambizioso è “Un Cane Nero” un film a cui sto dietro da qualche anno e che spero di girare quanto prima».

Quali sono i tuoi 10 registi/film di riferimento?
«Sicuramente Pasolini e il suo Uccellacci e Uccellini o Salò e le 120 giornate di Sodoma o Teorema, poi Fellini con 8 e mezzo, David Lynch con Mulollan Drive o Elephant Man, Ted Browing con Freaks, Brunuel-Dalì con L’Age D’Or, Kubrick con Arancia Meccanica, Alejandro Jodorowsky con La Montagna Sacra e tra i contemporanei Lars Von Triar con Le Onde del Destino o Gli Idioti e Garrone con Gomorra».

Oltre New York quali sono le città che più ti ispirano?
«Venezia la amo profondamente e almeno un mese l’anno lo passo tra il Lido e Murano per via delle sculture in vetro. New York e Napoli. Città con l’acqua. Forse perché sono molto legato al mare o semplicemente perché si respira un’altra aria, un’altra energia».

Quale è il tuo rapporto con le nuove tecnologie? …e con i social?
«L’altr’anno con Oniride abbiamo presentato al Maker Fair di Roma delle opere dipinte live con quella che con Le GMG (un gruppo di curatrici indipendenti) abbiamo definito “Pintura Quantica”. Pittura realizzata in realtà aumentata su tre dimensioni, ed è stato un successo. Poi alla mostra da Pio Monti Art Gallery abbiamo creato la prima App di realtà aumentata portabile con protagonista la mia performance del Bianconiglio. Un i-pad che in modalità macchina fotografica con un tocco dello schermo fa apparire la donna coniglio. Gli si può girare intorno, avvicinare e lei rimane lì dove è stata geo-localizzata. Una scultura inesistente ma allo stesso tempo “presente” (per dirla un po alla Gino De Dominicis). Mi piace sperimentare forse proprio per il motivo che accennavo, che ogni volta è una sfida a far si che determinate poetiche resistano alle trasformazioni delle tecnologie e addirittura possano essere veicolo di cultura e ricerca nelle nuove generazioni. Sui social penso di essere discretamente attivo con FB, con Instagram, col mio Canale su You Tube che ha raggiunto le 5 milioni di visualizzazioni (www.youtube.com/bezz73), col mio sito che tengo sempre aggiornato (www.francolosvizzero.net). Oggi credo sia importante avere followers e diffondere le proprie soluzioni perché molti la ricerca la fanno su internet ed esserci significa contaminare ed essere contaminati».

Cosa significa per te ricerca?
«Ricerca significa non accontentarti di quello che hai trovato e continuare a cercare. Significa guardarsi dentro e senza pudori mostrare la propria merda. Significa rinunciare alle scorciatoie e mettersi in gioco ancora e ancora. Significa rinunciare ad alcune comodità e dire col lavoro “la verità”. Significa affrontare i propri mostri».

Quali sono le reazioni più comuni hai tuoi lavori?
«Inquietudine mista a divertimento. A Chelsea ci sono centinaia di gallerie e il giovedì la gente gira di galleria in galleria senza soluzione di continuità. Alcuni ragazzi si sono fermati alla mia mostra e mi hanno detto che è la cosa più interessante che avevano visto. Questo mi riempie il cuore. E anche se, come dice Claudio Conter, il mio gallerista :- Questi non comprano!- A me interessa che vengano sorpresi. Il bambino che è dentro di noi si attiva, così come i bambini che rimangono letteralmente a bocca aperta. Una signora, alla mia prima mostra a NY nel 2010 si sentì male».

«Ossa e animali-insetti essiccati erano alle pareti. La mostra era stata sponsorizzata da Evolution, il negozio di Soho con tutti teschi, ossa vere e animali in tassidermia. Anche questa reazione mi ha colpito. L’accompagnarono fuori. La mostra era Anima’LS in Greene Street. Con le performance invece è come se si trovassero davanti ad uno specchio. Vedono a loro volto i propri mostri; secondo l’eta e il livello culturale ognuno ci vede cose diverse: Uomini della mia età si misero ad urlare nelle vie di Lecce;- Vergognati! Levati la maschera!- Le signore si avvicinavano alla Donna-Coniglio e la incoraggiavano come fosse simbolo di una rivoluzione femminista! I bambini, con le loro mamme per mano, si avvicinavano e la salutavano come fosse un personaggio di Walt Disney. Come diceva Oscar Niemeyer, quando lo intervistai nel 2004, si può definire arte un’opera quando e soltanto quando due cose avvengono contemporaneamente nel guardarla: Sorpresa e ammirazione! Mi piacerebbe riuscirci sempre!».

Quali sono i maestri di riferimento e quali i colleghi che stimi di più?
«Cambiò il mio modo di vivere l’arte il lavoro di Bruce Nauman, lo vidi a Londra al quarto anno di accademia. Benedetto fu il mio anno in Erasmus! Amo Hierononymous Bosch, Picasso, anche se prima lo amavo di più, i video di Bjork, Henri Rousseau, Niki di Saint Phalle, James Ensor, Alberto Savinio, Enzo Cucchi, Gino De Dominicis e Kounellis. Tra le nuove generazioni molti gli artisti che frequento e che colleziono: tutti gli artisti che hanno lavorato al mio “MOMA Hostel – Museo Abitabile”, Alessandro Bavari a cui ho organizzato una mostra l’anno scorso, Maurizio Savini, Nicola Verlato, con cui ho esposto a Roma e tanti altri che ho coinvolto nella Biennale di Porto Ercole quando dal 2000 al 2004 ne sono stato il direttore».

Quali sono le mostre che hanno segnato il tuo percorso?
«Nel 2005 la mia prima personale “Carillon-Antomie Meccaniche”, con un grande scopritore di talenti/gallerista come Marco Rossi Lecce, è stata decisiva per cominciare. Poi ci fu “Miracolo a Milano” con Riva, “Ars in Fabula” con Sciaccaluga, “Correnti mediterranee-Artisti arabi fra Italia e Mediterraneo” con Martina Corgnati – come raccontavo prima – dove ero l’unico artista italiano vivente (Era stato chiesto a 25 artisti del mondo arabo di scegliere un maestro di riferimento italiano così da creare delle coppie. La collezione, del resto, era quella della Farnesina. Chi scelse Fontana, chi Burri, chi De Chirico, chi Sassu, chi Paladino, Turcato, Guttuso Rotella e Marya Kazoun, che era già alla sua terza Biennale, scelse me».

«Poi ci furono dei grandi appuntamenti come “Visioni del Paradiso” all’Accademia Svizzera con Cucchi, Paladino ed altri grandi nel 2007; “11.11.11 Il Giardino Dell’Eden”, personale al Museo dell’Orto Botanico di Roma; 54. Biennale di Venezia – Arsenale – con un’opera in coppia con Luca Maria Patella a cura di Italo Zannier; “Apocalipse Wow!” al Museo Macro Future di Roma, per il ventennale della caduta del Muro; Superfetazioni ai Musei Capitolini-Centrale Montemartini curata da Lori Adragna nel 2014, dove in una performance presi in moglie una statua; “Residenza in Comunione” al Museo MAAM a cura di Giorgio de Finis; “Catarifrangenze” curata da Achille Bonito Oliva, con Cucchi e Pistoletto, alla Pelanda del Macro Testaccio di Roma. La “54a Biennale di Venezia-Padiglione Italia a Torino – 150° Anniversario Unità D’Italia”; Finale Premio Cairo Editore al Museo della Permanente a Milano; Apocalisse XXI tripla personale alla Strychnin Gallery di Berlino; Ossa Ossia Messia personale a Napoli in più spazi con presentazione al Museo Madre».

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
«Sicuramente di tornare dopo l’estate qui a NY. Ma nel frattempo sto preparando una mostra personale a Palermo dal titolo “La Voce Del Corpo” che inaugurerà a fine agosto nella “Galleria XXS – aperto al Contemporaneo di Palermo” in collaborazione con la “Costantini Art Gallery” di Milano, con cui ho già esposto in passato. Un appuntamento a Roma tutt’ora in corso nel Foyer del Teatro India per la mostra “Roma Sogna” realizzata con il Gruppo Scomodo – Noantri Cittadini Planetari e altri a sorpresa che saranno tempestivamente comunicati sulle mie pagine di FB e Instagram. A Ottobre si apre la stagione tanto contestata di Giorgio de Finis al Macro e sarò lì in prima linea a sostenere quella che sembra essere la vera rivoluzione per l’arte contemporanea di quest’anno! L’11 Novembre 2018 ci sarà il compleanno del Bianconiglio al Macro di Roma, compie 10 anni.. e anche lì faremo “una bella festa”!».

«Nel 2019 a New York farò una mostra di quadri meccanici di grandi dimensioni, sto collaborando con una fabbrica che si trova in New Jersey. Sarà una bella avventura ma ancora non posso dare le date. Nel frattempo il primo quadro meccanico newyorkese l’ho realizzato live durante l’opening di “5 souls”. Si tratta di tele che scorrono su e giù con motorini elettrici e che secondo l’umore del collezionista possono essere intercambiabili».

Info: www.francolosvizzero.net