Secondo una ricerca nella nostra percezione artistica rientrano anche fattori motori

Londra

Neuroscienza ed estetica sono unite da una decina di anni in un un nuovo campo del sapere definito neuroestetica. Il compito di questi studi non è cercare di capire l’arte, quanto di comprendere i funzionamenti del nostro cervello attraverso l’arte. Francesco Luca Ticini è il presidente dell’associazione italiana di neoroestetica dedicata al famoso neorologo Semir Zeki che per primo compì ricerche a cavallo fra scienza ed estetica. Recentemente è stato pubblicato un articolo sul Frontiers in human neurosciences che ha come argomento proprio la nuova disciplina e che riporta i risultati di un esperimento condotto da una squadra francese capitanata da Ticini. La domanda alla base del lavoro è quanto il gesto fisico dell’artista che ha dipinto il quadro influisce sulla nostra percezione dell’opera? Più semplicemente, se un tratto è stato dipinto con forza, se un puntino è stato colorato con delicatezza, se una linea va verso destra o verso sinistra, cosa succede al nostro cervello? Tanto per cominciare se si fa lo sforzo di notare questi particolari in un dipinto aumenta la sua capacità di attirare la nostra attenzione e di giudicarle bello il lavoro, inoltre un’analisi del genere del dipinto attiva nell’osservatore i neuroni specchio che ci portano mentalmente a simulare i gesti fatti dal pittore per disegnare il lavoro. Insomma, sembra che nella nostra percezione dell’opera non entrino solo fattori culturali e sociali ma anche motori e che questi, secondo lo studio, sono simili per tutti a prescindere dal grado di cultura dell’osservatore. A che serve un risultato del genere? La ricerca potrebbe essere un punto di partenza per futuri sviluppi e aiutare malattie legate a deficit comunicativi connessi alla simulazione come l’autismo.