Parla Akif Hakan Celebi

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Abbiamo intervistato Akif Hakan Celebi, che utilizza la fotografia erotica come tecnica per ritrarre i suoi soggetti in condizioni di completa e totale spontaneità. Atmosfere coinvolgenti, un linguaggio a tratti surreale e quasi sempre di ispirazione cinematografica, in un effetto al limite della fine art. A Giugno Akif sarà in Italia per la prima volta con una mostra a Farm Cultural Park, in Sicilia, e pubblicherà una serie inedita in esclusiva su Fluffer Magazine. Premiato da Max nel 2006 come uno dei fotografi più promettenti della nuova generazione, vanta numerose collaborazioni con magazine di tutto il mondo (Arena, Vision, Eve, Trendsetter, L’Espresso, C International Photo e molti altri) e con stilisti come Ferragamo, Roberto Cavalli e Vivienne Westwood.

Quando hai iniziato a lavorare come fotografo?
«Nel 2004 ho deciso di diventare un fotografo a tempo pieno, dopo un paio di tentativi interrotti qualche tempo prima».

Sei per metà turco e per metà americano, vivi tra Honk Kong, Istanbul e gli USA. Qual’è la cultura che ha influenzato maggiormente la tua creatività?
«Negli ultimi tre anni ho vissuto principalmente ad Honk Kong, dopo aver trascorso l’infanzia e l’adolescenza ad Istanbul ed essermi trasferito negli USA durante gli anni dell’università: è lì che ho deciso di diventare un fotografo. Ho iniziato subito a interessarmi alla cultura Asiatica, interesse che si è subito manifestato nel mio lavoro al punto che molte persone -mentre vivevo ancora negli Stati Uniti- erano convinte di essere davanti al lavoro di un fotografo giapponese, non immaginavano nemmeno lontanamente che i miei, fossero scatti realizzati in Florida. Ho sempre saputo che l’Asia sarebbe stata la mia meta finale, così decisi di provare a vivere in Giappone per 6 mesi: la mia vita professionale andava alla grande e i lavori erano davvero soddisfacenti, ma la barriera linguistica mi rendeva la vita piuttosto complicata. Il posto giusto era -invece- Hong Kong: perfetta per il mio stile di vita, le strade erano un set fantastico per le mie fotografie, le modelle erano molto adatte al mio lavoro e parlavano quasi tutte inglese, il che rendeva più gestibile anche la parte economica legata al lavoro. Honk Kong è una grande città, piena di ispirazione e di persone incredibili».

Raccontaci qualcosa di Melodrama of Mood.
«Melodrama of Mood è il titolo della mia prima mostra italiana, un titolo mutuato dal mio blog. Si inaugurerà il 28 Giugno in Sicilia a Farm Cultural Park, Favara. Ci sarò anch’io con la mia musa e sono davvero entusiasta di questa esperienza. Per la mostra ho selezionato 30 fotografie e presenterò il mio lavoro in un artist talk. Favara è un paese molto piccolo in cui si sta investendo nell’arte contemporanea con energia e passione. Spero vivamente che la mia mostra possa contribuire a valorizzare questo progetto».

I titoli dei tuoi lavori sono particolarmente originali, a dire il vero tutti i progetti sono molto accurati nella loro presentazione: sempre accompagnati da una musica che enfatizza il mood della storia e alla ricerca della massima attenzione e complicità dello spettatore. Come metti insieme tutti gli elementi e perchè?
«Sono un grande appassionato di cinema e questa passione è una grande fonte di ispirazione. Quando creo le immagini, vedo tutto il processo per intero come se fosse un film, infatti le mie foto sono storie da non meno di 30-40 scatti, ed hanno una certa fluidità. Utilizzo la musica per enfatizzare il mood. Quando guardo un film cerco di vedere ogni scena come una singola fotografia e quando fotografo, ogni immagine diventa per me una scena. Sostanzialmente questo mio modo di presentare i lavori è legato all’ambizione di realizzare un film».

Sembri padroneggiare con la stessa tranquillità interni ed esterni, dove ti trovi maggiormente a tuo agio?
«In entrambe le situazioni. Quando scatti in una stanza è lo spettatore a trovare indizi e immaginare una storia a partire dal personaggio, a volte la storia è suggerita dagli oggetti sparpagliati per mano del fotografo. Quando scatti all’esterno stai raccontando la città. Uso il grandangolo per raccogliere quante più suggestioni in sola una foto, mi interessa che il pubblico si soffermi a guardare facendosi trasportare in un’altra dimensione perchè è così che a me piace guardare le foto. Una sorta di masturbazione».

Serie come Sodomy In Hung Hom così come quasi tutte le serie che scatti in interni, suggeriscono un’intimità sessuale e sensuale, in cui entri. A volte giocando con le tue modelle, a volte scomparendo completamente dietro la macchina, altre volte arrivi persino a mostrare la tua presenza mediante un riflesso nello specchio con un dettaglio della tua figura, i tuoi set giocano tra attitudine voyeuristica e interazione. Raccontaci la fotografia erotica di Akif Hakan Celebi.
«Sono un essere umano e la tensione sessuale che si crea nell’irrompere in un momento privato mi eccita. Nei miei progetti personali comunico subito alla modella l’intenzione di realizzare scatti di nudo ma il suo atteggiamento in quei momenti è una scelta autonoma. Può essere innocente, emotivo, semplice o hard. Dipende da come decide di porsi la modella, da come si sente in quel momento, io sono lì con lei solo per catturare e trasmettere il messaggio attraverso le mie foto. Non c’è modo di essere riservati o timidi, tutto è in mostra e tutto è condiviso: è il rischio che si deve correre quando si vogliono realizzare progetti più intensi e fuori dall’ordinario. A volte il risultato potrebbe non piacere a qualcuno, ma da artista ho imparato a conviverci e per me la creatività resta la cosa fondamentale, più importante delle opinioni altrui. La mia presenza in alcuni scatti crea un’altra dimensione all’interno del progetto, porta lo spettatore a sentirsi all’interno della fotografia e quindi a partecipare al momento. Mi piace partecipare al processo creativo, anche con la mia presenza fisica».

Come scegli le modelle?
«Di solito incontro le modelle per caso o tramite i social media. A guidare la mia scelta è sempre l’energia che mi trasmette il soggetto al primo incontro. Infatti mentre scatto non faccio mai caso alla nudità: credo fermamente che la bellezza sia racchiusa nello sguardo della persona, la caratteristica che ritengo più importante».

E a questo punto arriva il momento della classica domanda sul nudo maschile, che compare in una delle tue serie: è difficile lavorare con gli uomini?
«Non ho molta esperienza nel nudo maschile. I ragazzi che posano nudi nei miei lavori decidono di farlo spontaneamente, solo una volta ho convinto dei modelli a posare nudi ma si trattava di miei amici, quindi era più facile essere diretto».

Nella home del tuo sito web si legge una frase di benvenuto ”lottando per superare gli stili convenzionali e ampliare i confini dell’espressione fotografica”, suona come un leit motif della tua opera. Una dichiarazione di intenti del fotografo contemporaneo?
«Ho inserito quella frase sul mio sito web nel 2004, dopo aver letto l’articolo di un fotografo giapponese di allora. Fu quell’articolo ad aprire la strada a nuove riflessioni e alla direzione che avrebbero preso i miei lavori in futuro».

Foto: A.H. Celebi