Stretti al concreto

«La narrazione che concepisco è di tipo lineare, quindi classica, con un inizio, uno sviluppo e una fine. Non adopero un procedimento di frammentazione dell’immagine introdotta dalle avanguardie e presente ancora oggi. Come fosse un paradosso utilizzo mezzi moderni, ma in modo vecchio, anzi, preferirei impiegare il termine antico, perché recupero il presente avvicinandomi a esso e al suo quotidiano». Walter Paradiso è un giovane regista romano, ha cominciato il suo percorso espressivo in seno alla musica, concependo il suo linguaggio videografico attraverso differenti apporti tratti anche dalla pittura e dalla letteratura. Il suo recente connubio con il duo elettronico sperimentale Breaking Wood, composto da Alessandro Altarocca e Cristiano Petrucci, è il frutto di una volontà di creare una serie di racconti in cui la narrazione si identifica con un vissuto, laddove vivere l’opera vuol dire in prima istanza percorrere una storia. Il prossimo 22 febbraio i Breaking Wood saranno protagonisti di Micron il micro festival di musica elettronica e dell’innovazione organizzato da Kollatino Underground. Abbiamo incontrato in vista di questo evento Paradiso cercando di comprendere quali matrici culturali hanno innescato il suo vocabolario espressivo.

«Il segreto del mare sono le immagini capovolte in cui il cielo è acqua e l’acqua è cielo». In questa frase tratta dal testo Nello specchio dell’arte ho ritrovato una componente importante del tuo ultimo lavoro videografico affrontato nel progetto Breaking Wood. Da cosa è scaturita questa visione legata all’immagine dell’acqua?

«Nel linguaggio videografico è stato teorizzato che l’acqua sia l’elemento principe di questa arte, l’immagine della fluidità si sposa perfettamente con il mezzo video. Credo fermamente che attraverso l’utilizzo delle tecnologie elettroniche e digitali stiamo vivendo un momento di impasse. Si tende ad avvicinarsi verso l’immateriale, verso immagini sintetiche prodotte dalla macchina, nelle performance e nelle installazioni non c’è più alcun referente reale. Quello che vivo io nel mio lavoro è esattamente l’opposto, cerco sempre di creare con l’immagine un legame alla realtà. Le immagini che costruisco non sono mere registrazioni visive ma parlano del mio rapporto con gli oggetti e con le persone che ritraggo. Il linguaggio videografico trae la sua specificità in quello che accade mentre si registra. Sant’Agostino quando parla del tempo pone l’accento sull’istante presente, questo concetto è associabile al mio lavoro, è come se facessi un’arte dell’incontro dove insceno i rapporti che intrattengo con ciò che mi circonda».

La video arte è spesso caratterizzata da una certa volontà di monumentalizzare la banalità di un gesto, questo procedimento è affine al tuo approccio narrativo?

«Non tendo ad esaltare il gesto, la mia tipologia di narrazione è molto affine alla video arte di seconda generazione. La formazione che mi ha permesso di sviluppare il mio linguaggio deve molto a Turner, a Debussy, visto anche i miei trascorsi da musicista e a Federico Tozzi, uno scrittore degli anni ’20 che ha anticipato la psicoanalisi. Tozzi nei suoi racconti ha descritto il territorio italiano, il suo approccio, anche se in forma letteraria, lo sento molto vicino alla mia attività. Nei documentari che costruisco e nei racconti audio visivi che ho creato utilizzo sempre la parola scritta e questa non è altro che una derivazione della prosa lirica di Tozzi e del suo tempo. Tra i miei riferimenti imprescindibili non posso fare a meno di citare la pittura di Cézanne attraverso cui ho compreso come è possibile rappresentare la realtà nel momento in cui si rivela a chi la osserva. Vi è negli ultimi dipinti di Cézanne la volontà di destrutturare l’immagine, quel procedimento di scomposizione è il paradosso da cui innesco il racconto: attraverso l’astrazione avvicino mano a mano il pubblico all’immagine reale. Io non credo all’arte per l’arte, penso piuttosto a una forma espressiva che crei corrispondenze con il pubblico che può anche in qualche modo immedesimarsi per potersi riappropriare del quotidiano. Ogni cosa che propongo è unicamente in funzione della gente, questo è l’unico motivo che scaturisce il mio lavoro. Anche se può sembrare assurdo l’utilizzo della componente elettronica nelle performance che costruiamo con Breaking Wood è lo strumento esclusivo per avvicinare al reale, per rimanere stretti al concreto».

Qual è stato il percorso che ti ha spinto verso determinate espressioni visuali, il tuo approccio documentarista ha influito nel resto della tua attività?

«Non riesco a trovare nel mio lavoro una collocazione, non distinguo tra fare documentari e fare video arte, c’è un germe profondo che è rappresentato dalla risposta della gente ai miei lavori. A secondo del grado di coinvolgimento, il denominatore comune rimane il mio approccio con le realtà che voglio raccontare. Nella narrazione audiovisiva ho provato gioia nel vedere che il mio messaggio era arrivato ai pescatori che ho ritratto, questo mi ha fatto comprendere che il prodotto finale ha raggiunto le sue intenzioni. L’intenzione scaturisce dalla volontà di veicolare un messaggio, in questo senso credo che il medium non debba prendere il posto del messaggio, anche se lo condiziona profondamente. Molto spesso nei miei lavori mi trovo a oltrepassare il mezzo, porto al limite gli strumenti visivi e sonori che utilizzo al fine che possa arrivare quel gradiente di incontro tra la realtà e le persone. Nei video tendo a usare immagini di scarto, di una fisicità che ritrovo negli elementi, che sia acqua o fuoco poco importa, il presupposto imprescindibile rimane il gradiente di incontro con la realtà».

22 febbraio;  Micron, micro festival di musica elettronica e dell’innovazione; Kollatino Underground, via Georges Sorel 10, Roma; info: www.kollatinounderground.org

Breaking Wood – Racconto Audiovisivo #3 (tribute to William Turner) from breaking wood + Walter Paradiso on Vimeo.

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