L’altra faccia della fotografia

La copertina del Venerdì di Repubblica di ieri,  dedicata alla prossima mostra del British Museum sugli Shunga e sull’arte erotica giapponese, vietata ai minori di sedici anni (sulla quale ci siamo soffermati circa un mese fa) è lo spunto per ritornare oggi sull’erotico nipponico osservandolo però da un punto di vista decisamente più contemporaneo.

Mettiamo quindi da parte gli Shunga, illustri esempi del mercato sessuale giapponese, vero o presunto, e soffermiamoci sulla fotografia erotica vista e prodotta da Nobuyoshi Araki. Classe 1940, è considerato uno dei maestri della fotografia erotica contemporanea. Nato a Tokyo, dopo aver studiato fotografia e cinema presso la Chiba University, si trasferisce, per lavorare in un’agenzia pubblicitaria a Dentsu. Qui conosce la sua futura sposa Yoko, della quale fotografa tutto, fino alla morte, sopraggiunta nel 1990 a causa di un tumore alle ovaie. Il punto di partenza del fotografo è rappresentato dunque dalla donna, prima che dall’erotismo. Nei suoi scatti il corpo femminile, viene colto in tutte le sue sfumature, e la sua bravura risiede esattamente nella capacità di dare corpo all’idea che si forma in lui nell’esatto momento in cui scatta la fotografia. Le sue, sono donne complicate, costruite da un’articolata sensualità che attraversano ogni singola fibra del loro corpo. L’istante rappresentato restituisce non solo l’erotismo, ma l’infinita gamma di sensazioni che il corpo di una donna può scaturire. Il suo lavoro da questo punto di vista si pone, dunque, come un reportage, come un racconto in immagini che svela la molteplicità del tema trattato. Le sue modelle, sono rappresentate, nude, vestite, schiavizzate, sottoposte a fantasie erotiche condivise e inquadrano perfettamente un aspetto di vita occultato dalla morale. Questa sua durezza lo fa essere artista spesso contestato, ma nello stesso tempo apprezzato per quella innata capacità di dare vita, corpo e anima a momenti che rappresentato l’immaginario comune, ma che si celano dietro al segreto.

Il suo lavoro si estende fino ad abbracciare non solo un corpo, ma un intero contesto culturale, che si tinge, improvvisamente di luci rosse. Il suo erotismo, infine, ha una componente in più che lo pone come fotografo attento e profondamente analitico. Nei suoi scatti, rintracciamo non solo, la bellezza della sessualità ma la costante apprensione verso un corpo destinato a una trasformazione, un corpo obbligato ad appassire, segnato dalla caducità, dal tempo inesorabile. L’erotismo pertanto si accentua maggiormente, quasi a ricordarci che è lì adesso. Dopo chissà. Araki dunque non è solo erede di una cultura erotica leggera, pulita e tesa a istruire, ma è erede di un patrimonio e di una tradizione che tratta l’erotismo, non come elemento volgare ma come aspetto interessante della vita quotidiana. Come gesto, istinto naturale, ovvero ciò che effettivamente è l’erotismo. Lo spazio segreto di ognuno, la stanza dove nessuno entra, ma che tutti abbiamo.