Le strutture incerte

La forma di un oggetto ci parla della sua funzione? Ci può raccontare com’è nato e il suo significato intrinseco? Da queste domande prende via la ricerca che Sarah Stein – canadese classe 1978, attualmente residente a Berlino – ci presenta con la mostra The opening: structures of uncertainty, a cura di Enrico Piras e Giangavino Pazzola, che ha inaugurato ieri ed è visitabile fino al 7 dicembre nello spazio Meme arte contemporanea e prossima. Il progetto è nato durante il corso del master of arts in finearts alla Utrecht graduate school of the arts e approfondisce un interesse per la forze che modellano le forme e la nostra capacità di comprensione delle stesse.

Ad accompagnarci in una riflessione sulla percezione e le categorie mentali attraverso cui passa la nostra conoscenza, è un video costruito con un sapiente ed estremamente affascinante uso dello storytelling (The Opening, 2012). Insieme al protagonista della narrazione, entriamo in una dimensione altra che possiamo indagare solo attraverso oggetti e i ricordi che la nostra memoria riesce a conservare dopo il viaggio: una conoscenza parziale e imperfetta, ma non meno completa, in fondo, di quella che abbiamo della realtà in cui viviamo. Visto il video, chiave interpretativa per l’intera mostra, siamo pronti ad affrontare l’esperienza: a partire dai piccoli oggetti (lastre in rame, legni, tracce organiche e pietre), suggestionati dalla grafica che ricostruisce l’elegante anatomia della fovea – elemento della retina da cui parte il nervo che collega l’occhio al cervello – veniamo invitate a costruire una personale interpretazione delle forme e di ciò che ci circonda, senza far distinzioni fra scienza, magia e immaginazione. Per chi necessita di un’altra bussola, è possibile consultare il testo da cui si sviluppa il progetto espositivo, The transformative process of a ritual of knowing: a structure built around unknown things, dove l’artista crea un dialogo fra tre proiezioni di se stessa, la Stein del passato, del presente e quella del futuro.

Lei stessa ci spiega: «Ho creato il dialogo come strumento per esplorare gli sviluppi della conoscenza durante la ricerca. Il passato non è consapevole del corso della ricerca, e tiene se stesso come unico riferimento, il presente si interroga costantemente, mentre il futuro è rivolto verso l’eventuale conoscenza ancora da raggiungere. Volevo sottolineare come il processo di apprendimento possa essere importante tanto quanto il suo eventuale risultato. Inoltre, nel loro cambiare nel tempo, queste tre figure si riposizionano continuamente in modo da prepararsi a iniziare da capo: non c’è una destinazione finale della conoscenza, ma un ciclo continuo alimentato da ciò che è venuto prima e ciò che sta avanti». So di non sapere, diceva Socrate. Ciò che conta è continuare a interrogarsi e Sarah Stein ci propone un modo di porre le domande in cui la speculazione filosofica ha le vesti affascinanti della narrazione.

fino al 7 dicembre

Meme, via Goffredo Mameli 78, Cagliari

info: memearte.org