21Gallery cresce e raddoppia. Nata nel 2021 a Treviso dalla scelta di Alessandro Benetton di investire sulle idee del giovane imprenditore Davide Vanin con l’obiettivo di diffondere la cultura e inserirsi nel territorio per portare flussi stimolanti nel mondo del contemporaneo, ora, con la nuova sede padovana a Palazzo Colonne, si conferma punto di riferimento per i collezionisti e gli appassionati, diventando il primo spazio di un ecosistema dedicato al mondo dell’arte contemporanea che aprirà in diverse sedi fuori e dentro i confini nazionali.
Oggetto di un importante intervento di riallestimento del collettivo Fosbury Architecture, è diretta da Elena Comin, manager proveniente dal mondo del marketing e della comunicazione, collezionista e appassionata d’arte. «Sono grato – dichiara Vanin – ad Alessandro Benetton che, credendo per primo in questo progetto, ci ha permesso di intraprenderlo e di coinvolgere oggi importanti collezionisti e imprenditori. Elena Comin nasce come amica collezionista e vedere oggi la sua apertura a Padova, primo passo del nostro piano di espansione, mi riempie di gioia».

Un progetto ardito e coraggioso e non a caso la mostra si chiama AUDACI. Dalle avanguardie storiche agli artisti mascherati. Curata da Cesare Biasini Selvaggi, la mostra è visitabile fino al 30 agosto 2025 ed è un percorso dedicato ai protagonisti dell’arte italiana e internazionale del XX e del XXI secolo, da Cindy Sherman a Jan Vercruysse e Takashi Murakami, da Yayoi Kusama a Marina Abramović e Francesco Clemente, passando da Carla Accardi, Vedova, Fontana e De Chiro. «Padova è una città che non ha mai temuto il pensiero libero – sottolinea Elena Comin – è la città in cui insegnò e passò i suoi anni più proficui Galileo Galilei, che qui rivoluzionò la scienza sfidando dogmi secolari. È la città che accolse l’innovativa visione di Giotto, che ruppe con la rigidità medievale per dare vita a una pittura più umana, più vera, più emozionante (non è forse suo il primo bacio della storia dell’arte?). Il suo spirito è sempre stato quello di chi osa, di chi sfida il già detto, di chi cerca oltre».
Tutte le opere sono acquistabili, pezzi così importanti e descrittivi dell’autore che potrebbero stare tranquillamente in un museo. «La mostra – ricorda Cesare Biasini Selvaggi – intende ricostruire, dagli inizi del novecento fino a toccare il nostro tempo, un percorso nell’arte del libero pensiero, nella ricerca audace, nella guerriglia eversiva, non scevra di aloni di follia e visionarietà, in espressioni disallineate, scomode, quindi spesso isolate, emarginate, impopolari, derise, ostacolate, ostracizzate, o addirittura censurate, di artisti che hanno operato e operano al di là del mainstream, che hanno indicato e indicano un’altra via possibile al nostro stare al mondo, che praticano una ricerca attivista, o meglio artivista, di frequente silenziosa, ma quanto mai indispensabile strumento di resistenza con uno specifico potenziale di agire nel mondo. Parte tutto dal loro moto ribelle, della mente e dell’anima, che si fonde con la loro coscienza sociale e politica. D’altronde l’arte, per sua natura, è politica in quanto spazio relazionale».

La censura autoritaria, diretta, senza mezzi termini di un tempo, oggi, è diventata nascosta, subdola, meno inquisitoria ma più vincolante, viscida, che cresce tra le tastiere dei social per ramificarsi nelle vita reale talvolta così assurdamente cattiva e gratuita che causa più danni di una censura governativa. Infatti oggi l’artista si sente condizionato indirettamente, un’auto-censura, per evitare la gogna mediatica. In effetti viviamo in un momento storico dove l’apparenza é tutto e l’anonimato rappresenta, forse, l’ultimo modo per riuscire ad essere veri.
Come la scelta di Laika, artista “mascherata” romana. Ribattezzata “la Banksy italiana” è presente con Self Portrait Against War lavoro del 2024. Lei preferisce essere definita “attacchina” perché impiega colla e carta per i suoi lavori urbani tra elementi pop, ironici e di critica sociale dove la stessa attività di attacchinaggio rappresenta una performance parte integrante dell’opera. La giovane artista non ha mai mostrato il suo volto indossando sempre una maschera e mai dichiarato dati personali o notizie private.
Nell’intervista presente nel catalogo della mostra si legge: “La maschera è un pilastro fondamentale, direi essenziale, del mio progetto. È un filtro che elimina tutti i filtri. Sono liber* di muovermi in totale anonimato, e dire la mia senza che nessuno crei intralcio: dagli hater alle forze dell’ordine. La maschera mi permette di avere una vita quotidiana normale e, soprattutto, fa si che il pubblico non si concentri sull’essere umano ma solo sull’idea, sul progetto, sul messaggio, che è l’unica cosa che conta. Il risultato è assoluta libertà di espressione. Spesso immagino come sarebbe Laika senza maschera, non ho ancora trovato risposta a questa domanda”.

Un altro importante artista emergente ma già conosciuto e tra i più apprezzati è Gonzalo Borondo. Artista poliedrico, nato a Valladolid (Spagna) nel 1989, la sua è una ricerca che si sviluppa intorno al valore della memoria e della tradizione, al senso dei luoghi e del patrimonio artistico e immateriale, guarda alle iconografie tradizionali e alla cultura visiva del passato come simboli da rendere attuali, la storia diventa così un continuum entro il quale elaborare altre visioni della contemporaneità. Cresciuto a Segovia, in seguito si è trasferito a Madrid rafforzando il suo rapporto con i graffiti. Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Roma e Madrid, dove ha conosciuto il pittore Jose Garcia Herranz che lo ha avvicinato ai grandi maestri della pittura. Sviluppa il suo linguaggio artistico sperimentando diverse tecniche, oggi è famoso per graffiare i materiali in particolare modo plexiglass e vetro.
A 21Gallery la sua opera è esposta in una delle due vetrine che si affacciano sulla strada principale. Si lega perfettamente, ricordando un’edicola religiosa, all’identità del palazzo in pietra di Custoza scolpita e traforata. Cristo gif, lavoro del 2021, di oltre 2 metri, è composta da dieci lastre di plexiglass incise illuminate da un sistema a led sequenziale e automatizzato che mostra lo scheletro di Cristo in diverse angolazioni. «L’opera è stata trasformata – spiega Borondo – perché inizialmente era composta da un arco di una chiesa barocca del ‘700 che aveva restaurato mio padre (sono figlio di un restauratore di arte sacra) ma il contrasto che ne risulta ora è molto interessate. L’opera ha bisogno di essere osservata da una certa distanza per vivere in pieno il senso di movimento, come una specie di magia, un effetto 3D. Anche mostrare le ossa di Cristo è un parte materica che non si è mai affrontato e nell’opera è si è trasformata in luce».
Una mostra che merita una visita perché formativa e istruttiva oltre che unica possibilità di rapportarsi con opere appartenenti a privati difficilmente osservabili in altri contesti.
