In tempi di guerra, dalla collettività si levano voci comuni. Tra loro, quelle degli artisti, che nei conflitti ora rimarcano la propria identità creativa, ora diventano vittime. È il caso di Olena Kohut, musicista ucraina uccisa a Sumy dai missili russi, e della pittrice Margarita Polovinko, sepolta l’11 aprile dopo essere stata colpita da un attacco di un drone in azione. E se con la loro creatività si interrogano sulle questioni che attraversano, gli artisti possono trasformarsi in obiettivi, come è accaduto ad Hamdan Ballal, il regista del documentario da Oscar No Other Land arrestato in un attacco israeliano in Cisgiordania. Ma di fronte alla guerra, c’è anche chi non si ferma e percorre ancora la via dell’arte.
Gli artisti raccontano la guerra
Se l’arte è una forma attraverso cui acquisire una consapevolezza collettiva, in tempi di guerra diviene uno strumento imprescindibile per creare narrazioni di resistenza. Lo hanno fatto anche Olena Kohut e Margarita Polovinko, le due artiste ucraine scomparse nell’aprile 2025. La prima portava nelle chiese fuori dal paese l’inno nazionale, in modo da promuoverne la cultura oltre i confini, la seconda usava la pittura per problematizzare il conflitto: «Quando sono apparse le prime notizie sulla morte dei bambini a Irpin ho iniziato a dipingere senza sosta – dichiarava in un’intervista – come non avevo mai fatto prima. Ho ritratto una ragazza che vola come un angelo sopra le case e sopra questa bruttezza del mondo».

Tra gli artisti che hanno trattato il conflitto direttamente nelle loro opere c’è Zhanna Kadyrova, che dal febbraio 2022 si è occupata esclusivamente dell’idea di guerra e che ha esposto la serie Palianytsia al Museo d’Arte Sacra di Buonconvento nel 2024, ma anche Tamara Turliun, che con la sua serie di sculture Shkurynka, in cui le opere si trasformano in giganteschi bozzoli con piccole lacerazioni e perforazioni superficiali, evoca una metamorfosi intesa come una sfida alla violenza che incombe sugli ucraini.
L’arte diventa una forma di resistenza
Se con No Other Land la riflessione su un territorio controverso portata avanti dal collettivo israelo-palestinese, pure se ultimata prima del 7 ottobre 2023, ha innescato attacchi diretti agli stessi registi del documentario, altre iniziative artistiche hanno dato vita non solo a sentimenti di resistenza, ma anche ad azioni attive, come la raccolta fondi lanciata da 40 artisti a sostegno di Gaza. Ma nello scenario in cui emerge la necessità di supportare, il bisogno primario rimane ancora un altro: il diritto di esistere, e alcuni lo fanno organizzando una Biennale.
