Il Leone d’Oro alla Carriera dell’82esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia del 2025 è stato attribuito al regista Werner Herzog. La proposta arrivata dal Direttore artistico Alberto Barbera è stata accolta dal Consiglio di amministrazione che ha assegnato il premio al cineasta tedesco.
Il regista tedesco, classe 1942, accoglie così un riconoscimento che celebra decenni di un cinema profondamente anticonvenzionale, capace di segnare epoche e attraversare generi, senza mai appartenere davvero a nessuno di essi. Werner Herzog ha infatti prodotto oltre cinquanta opere tra lungometraggi e documentari, tra cui Aguirre, furore di Dio, Fata Morgana, Fitzcarraldo, L’enigma di Kaspar Hauser, La ballata di Stroszek e Nosferatu.
Il cineasta ha così dichiarato: “Sono profondamente onorato di ricevere il Leone d’oro alla carriera dalla Biennale di Venezia. Ho sempre cercato di essere un Buon Soldato del Cinema e questa mi sembra una medaglia per il mio lavoro. Grazie. Tuttavia, non mi sono ancora ritirato”. Continua poi così nel messaggio alla Biennale: “Lavoro come sempre. Qualche settimana fa ho terminato un documentario in Africa, Ghost Elephants, e in questo momento sto girando il mio prossimo lungometraggio, Bucking Fastard, in Irlanda. Sto realizzando un film d’animazione basato sul mio romanzo The Twilight World, e interpreterò la voce di un personaggio nel prossimo film d’animazione di Bong Joon-ho. Non sono ancora finito”.

L’onorificenza a una leggenda del cinema
Regista visionario e affabulatore, Herzog ha sempre raccontato storie di figure al margine, spesso ossessionate, mosse da desideri sproporzionati e da un rapporto ambivalente con la natura (elemento ricorrente nella sua poetica visiva). Il suo cinema non offre mai rifugi rassicuranti, ma territori instabili dove la realtà sfuma nell’allucinazione e dove l’uomo è costantemente messo alla prova da forze superiori e incontrollabili.
La sua opera rappresenta un percorso personale e artistico unico nel panorama mondiale iniziato negli anni Sessanta e proseguito in una costante tensione tra fiction e documentario. Le sue storie emergono da un’urgenza fisica ed esistenziale, come lui stesso afferma: “Fare film è come creare un’apertura, accompagnare qualcuno ad attraversarla, il regista come un fratello maggiore. È una sensazione rara da provare al cinema, ma è possibile. Quello che io tento di trovare nel mio cinema sono questi momenti, a cui probabilmente sono andato vicino senza accorgermene”. Nonostante sia distante dalla ribalta dei decenni Settanta e Ottanta, Herzog resta una figura centrale incapace di fermarsi e, al contempo, capace di reinventarsi e di affacciarsi a nuove forme espressive.
Le tre stagioni del cinema di Werner Herzog
L’itinerario artistico di Werner Herzog può essere suddiviso in tre fasi distinte, ciascuna segnata da un’evoluzione stilistica e concettuale. La prima prende il via con Segni di vita (1968), film d’esordio che già conteneva molti degli elementi che caratterizzeranno il suo cinema: la ribellione, la frattura sociale, l’isolamento esistenziale, la natura vista come entità crudele e onnipotente. A questa stagione appartengono anche Aguirre, furore di Dio (1972), L’enigma di Kaspar Hauser (1974), Nosferatu il vampiro (1979) e Fitzcarraldo (1982), tutti film in cui la figura umana è spesso schiacciata da un mondo più grande e incomprensibile. Con Aguirre inizia anche la celebre e burrascosa collaborazione con Klaus Kinski, attore con cui Herzog lavorerà in cinque pellicole fondamentali. La loro relazione creativa è rimasta una delle più intense e turbolente della storia del cinema.
Segue una seconda fase, più riflessiva e meno visibile, rappresentata da opere come Grido di pietra e L’ignoto spazio profondo, che sembrano esplorare ulteriormente i temi dell’alienazione e della ricerca dell’ignoto, ma con minore esposizione mediatica.
La terza fase, quella documentaria, vede Herzog narrare in prima persona, con la sua inconfondibile voce fuori campo, storie ai confini dell’umano, spesso ritratte in ambienti ostili e remoti. Film come Grizzly Man e The Fire Within rappresentano l’apice di questa stagione, in cui l’autore affronta l’ossessione, l’estremo, il mistero come materiale narrativo, mantenendo una visione lirica e mistica della realtà.

La visione di Werner Herzog tra natura, ossessione e solitudine
Herzog è un regista che ha sempre cercato l’essenza del suo cinema al di fuori delle narrazioni tradizionali. “Quando faccio un film parto sempre da un paesaggio, e non da una storia”, ha dichiarato. Questa concezione ha guidato opere come Fata Morgana, girata nel deserto, e Segni di vita, ispirato da un viaggio in Grecia. I suoi film si costruiscono attorno a luoghi archetipici, sospesi tra sogno e realtà, dove l’armonia convive con l’orrore. In questa visione, la natura non è mai semplice sfondo, ma protagonista attiva, spesso minacciosa, sempre inafferrabile. Da Aguirre a Fitzcarraldo, la natura è un’entità che trascende l’uomo, lo mette alla prova, lo schiaccia. Ne La ballata di Stroszek, l’elemento mistico si trasforma in una marcia verso l’annientamento, un cammino senza salvezza.
Herzog ha vissuto il cinema come una vocazione estrema, tanto da percorrere a piedi, nel 1974, il tragitto da Monaco a Parigi per raggiungere l’amica e critica cinematografica Lotte Eisner, gravemente malata. Quel viaggio solitario, affrontato in pieno inverno, è raccontato nel diario Sentieri nel ghiaccio: “Presi una giacca, una bussola, una sacca con dentro lo stretto necessario. I miei stivali erano così nuovi e così solidi che si poteva contare su di loro. Presi la strada più diretta per Parigi, nell’assoluta fiducia che lei sarebbe rimasta in vita, se io fossi arrivato a piedi. A parte questo, volevo essere solo con me stesso”.


Le dichiarazioni del direttore artistico di Venezia
Il direttore artistico di Venezia, Alberto Barbera ha spiegato: “Cineasta fisico e camminatore instancabile, Werner Herzog percorre incessantemente il pianeta Terra inseguendo immagini mai viste, mettendo alla prova la nostra capacità di guardare, sfidandoci a cogliere ciò che sta al di là dell’apparenza del reale, sondando i limiti della rappresentazione filmica alla ricerca inesausta di una verità superiore, estatica, e di esperienze sensoriali inedite. Affermatosi come uno dei maggiori innovatori del Nuovo Cinema Tedesco, non ha mai smesso di saggiare i limiti del linguaggio cinematografico smentendo la tradizionale distinzione tra documentario e finzione, invitando nel contempo a un’interrogazione radicale sui temi della comunicazione, sui rapporti fra le immagini e la musica, sull’infinita bellezza della natura e la sua inevitabile corruzione”
Continua poi così: “La carriera di Herzog è insieme affascinante e pericolosa, perché consiste in un coinvolgimento totale, nella messa in gioco di sé fino al limite del rischio fisico, dove la catastrofe è costantemente in agguato. Geniale narratore di storie insolite, Herzog è anche l’ultimo erede della grande tradizione del romanticismo tedesco, un umanista visionario, un perlustratore instancabile votato a un nomadismo perpetuo, alla ricerca com’ebbe a dire ‘di un luogo dignitoso e conveniente per l’uomo, un luogo che è talvolta un Paesaggio dell’Anima’”.
