Nella sede parigina di Mendes Wood DM The Hunger, la personale dell’arista Sanam Khatibi, visitabile fino al 17 maggio 2025. In mostra circa venti dipinti e un’installazione, disposti tra il piano terra e il primo piano della galleria nel quartiere del Marais.
L’idea della mostra è quella di creare un dualismo sin dalla natura stessa delle opere: da piccoli quadri solo all’apparenza più controllati, in cui è necessario avvicinarsi per scorgere i dettagli, a tele di ben più grande formato, in cui anche le associazioni sono più libere.


photo Nicolas Brasseur
Così si passa dagli spazi al piano terra popolati dai piccoli quadri come Shortcake, di circa 9x17cm, dai toni tenui ocra e rosa, ai verdeggianti quadretti come Even the Wildest Grass Must Bend, un paesaggio in preda ad una misteriosa tempesta, o It’s Like the Land Doesn’t Want Us Here, che potrebbe essere letto come un monito per gli esseri umani, al piano nobile. Qui, dopo aver percorso la scala, si incontrano gli Amulets (vi-x), che introduce la passione dell’artista per gli oggetti e il loro potere, passione che ha ereditato dalla madre. Le due sale successive sono popolate da una serie di tele dallo sfondo nero, più composte e controllate. Alcune tele sono opache, altre lucide in superficie. Visibile è l’influenza dell’arte giapponese e rinascimentale, come suggerito dall’uso del chiaroscuro. Non a caso uno dei pittori che più hanno avuto un ruolo determinante nella formazione dell’artista è Hieronymus Bosch, pittore olandese attivo tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento.


photo Nicolas Brasseur
Gli oggetti e gli animali che popolano le tele di Khatibi si stagliano contro uno sfondo netto, compaiono sotto una luce la cui fonte rimane sconosciut. Hanno pieno diritto di esistere. Si ha la sensazione di trovarsi su un palco scenico, come fossero oggetti di scena. Una mise en abyme. Non tutti gli oggetti sono riconoscibili. Qualcuno sembra provenire da un’altra epoca, un’epoca lontana. Eppure tutti conservano un non so che di familiare. L’artista stessa ribadisce la centralità dell’animalità, che predomina anche nell’essere umano.



photo Nicolas Brasseur
Le opere di Sanam Khatibi sono come un gabinetto di curiosità e la sensazione è quella di trovarsi difronte ad una Wunderkammern. Nell’ultima sala, la grande tela Put Your Honey Where Your Mouth Is. Davanti all’opera, una grande teca contenente oggetti tra i più disparati, statuette di porcellana, teschi d’avorio, denti, insetti, ecc., raccolti dall’artista in modo casuale. Nella grande tela, un infanticidio. Un poesia di Valentine Penrose del 1972 accompagna il testo della mostra di Martha Kirszenbaum e ci fa capire che l’argomento centrale dell’intera mostra sia proprio l’infanticidio, l’omicidio, l’ossessione, la morte cruenta. Eppure è una poesia a parlarne. Una poesia che parla della della natura agitata ma placida. Dell’acqua che scorre, ma che al tempo stesso si agita. Di “fioriture ovattate”. Dal testo si evince che per l’artista anche la morte può essere un incanto, una visione. Che nella visione non è importante che sia giorno o che sia notte, di quale epoca si tratti, di quali personaggi sia popolato.


photo Nicolas Brasseur
Nella visione, che può essere anche un sogno, ma anche un ricordo, tutto è lecito. “Un lungo battito, una lunga ala – terrificante”, suggerisce Valentine Penrose. Gli oggetti che popolano le opere di Sanam Khatibi sono terrificanti. D’altronde è la natura stessa ad esserlo: distruttiva, ma genera vita.