Inaugura il 1° aprile alla galleria NP ArtLab di Milano Raoul Schultz. Artista per attitudine, visitabile fino al 22 maggio 2025 nello spazio espositivo in Corso Monforte. Figura poliedrica, protagonista degli anni Cinquanta e Sessanta a Venezia di una scena artistica fervida e riscoperto solo a partire dagli anni Ottanta, Schultz arriva in mostra a Milano con circa trenta opere, accompagnate da un testo di Stefano Cecchetto.

L’esposizione intende essere un omaggio ad un artista protagonista della scena veneziana che dal figurativo e lo Spazialismo tipico del tempo passerà, nel successivo ventennio, ad un arte più concettuale, prima della morte prematura. La mostra si inserisce all’interno di un più ampio percorso di riscoperta e valorizzazione della figura di Schultz: in contemporanea all’esposizione meneghina è in corso, per tutta la primavera, anche la retrospettiva al Museo Ca’ Pesaro di Venezia, Raoul Schultz. Opere 1953-1970, a cura di Stefano Cecchetto e Elisabetta Barisoni. Due tentativi di restituire una figura dalle molte sfaccettature, che ben raffigura la poliedricità, la porosità dei media, la sperimentazione nata dagli incontri fertili, e in parte irriverenti, all’insegna dell’interdisciplinarità.
Pittore, illustratore, grafico e scenografo, forte della sua personalità, delle frequentazioni ed amicizie che impatteranno nella sua cospicua, seppur breve, produzione, Raoul Schultz lascia il segno. Ed è dal segno che parte sempre. Un segno inquieto, che ricorda quello dell’artista e amico Tancredi, con cui condividerà lo studio a Palazzo Carminati, proprio in quegli anni Sessanta che risulteranno essere fondamentali per la sua carriera. Un segno che si ritrova anche nella sua produzione da illustratore, in particolare nei fumetti, che testimoniano l’amicizia con Hugo Pratt, ma anche nei collage, che suggeriscono il suo legame con la letteratura e il cinema, che lo porterà a stringere legami con scrittori quali Alberto Ongaro e Goffredo Parise e con scenografi e registi quali Kim Arcalli e Tinto Brass, per il quale Schultz nel 1963 realizza le scenografie del film Chi lavora è perduto. Prediligendo i fumetti e il cinema, considerati all’epoca i nuovi media, l’arista lascia ben presto il figurativo che caratterizzata la sua prima produzione degli anni Cinquanta legata alle vedute di Venezia per trasporre sulla tela segni, lettere, numeri.

Il percorso della mostra da NP ArtLab, allo stesso modo di quella al Museo Ca’ Pesaro di Venezia, vuole ricostruire una figura artistica che segue un percorso non lineare, restituita attraverso le sue varie sfaccettature nella natura stessa delle opere in serie, dalle Lettere anonime, ai Progetti di disegni Leonardeschi, i Calendari, il Fumetto, la Pittura a metro, fino alle Toponomastiche. Allo Spazialismo di maestri contemporanei quali Vedova, Guidi e l’amico Tancredi, Schultz preferirà il Surrealismo, l’arte concettuale, comportamentale, l’improvvisazione dadaista, le tecniche delle avanguardie come il collage. Quest’ultima, emersa dalle sperimentazioni tecniche tipiche del Cubismo, diventerà ben presto un modo per Schultz di strappare il tempo, ricostruirlo, de-costruirlo. Un tempo che rincorre per tutta la vita, e che si rivelerà fatale, quando scomparirà, improvvisamente, e prematuramente, nel 1971.
Quel che lascia è una ricca produzione e un certo mistero attorno alla sua figura, a partire dal suo stesso nome, in parte uno pseudonimo. Una figura che invita ad indagare un’attitudine più che un preconcetto, come suggerito dal titolo stesso della mostra.