Le finestre sul cortile di Marta Mez

A Milano una mostra dedicata all'artista polacca Marta Mez che, con i suoi dipinti, si rifà al mondo cinematografico

Fino al 6 aprile la Galleria Vik Milano ospita la personale Rear Windows dell’artista polacca Marta Mezynska, in arte Marta Mez, originaria di Bialystok ma naturalizzata italiana.
Il titolo della mostra è un chiaro rimando al capolavoro di Hitchcock La finestra sul cortile (1954) che presenta il titolo originale di Rear Window.

Nelle parole della curatrice della mostra, Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci, il lavoro di Mez presenta infatti un profondo legame col sentire cinematografico: “Le pennellate ad olio di Mez, che ora ricoprono l’intera superficie del quadro, ora abitano una parte della tela volutamente lasciata grezza, simulano in questo caso la tecnica del trompe-l’oeil, col fondo grezzo, dunque intenzionalmente incompiuto, che diviene parte integrante della “scena”, quasi come se appunto ogni opera di Mez fosse intesa similmente ad un fermo immagine cinematografico, un’inquadratura della macchina da presa. Sono tanti gli spunti che le opere di Mez forniscono, legati all’ambito cinematografico: l’apparente quiete celata dietro agli edifici rigorosi e le cui finestre sembrano scrutare lo spettatore non rimandano solo al sopracitato Hitchcock, ma anche a Polański, specie per il suo cult Rosemary’s Baby (1968) girato principalmente presso il Dakota Building (celebre edificio residenziale di New York, situato nell’esclusivo Upper West Side di Manhattan, nel quale abitavano Yoko Ono e John Lennon e nel cui ingresso Lennon venne assassinato), e per il più recente Carnage (2011), che si svolge quasi interamente all’interno di un appartamento. 

Gli edifici sono protagonisti tanto di questo cinema quanto della pittura di Marta Mez, e non sono soltanto quelli in cui l’uomo abita e dunque si rifugia, o magari all’interno dei quali si consumano litigi e tragedie, ma anche quelli che egli vive da animale sociale, nella quotidianità di una giungla urbana che non è scontata abitudine, che è osservata dallo spettatore ma che al contempo osserva lo spettatore stesso: guardiamo le opere di Marta Mez che a loro volta ci guardano attraverso le finestre, proprio come se queste fossero occhi”.

Ne segue dunque che la ricerca dell’artista certamente si rifaccia in parte a quella di un maestro che con le sue opere dialogò col cinema e viceversa: l’ispirazione hopperiana è tangibile per i sedici quadri site specific di grandi dimensioni, nei quali, attraverso il colore ad olio, Mez cerca di intrappolare la solitudine dell’uomo e la sua continua e impellente ma vana tensione verso una socialità spesso deludente, desolante.

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