Il Collettivo Eltiqa a Dubai: l’arte palestinese sopravvive alla distruzione

Un’esposizione al Jameel Arts Centre racconta la storia e la resistenza del collettivo Eltiqa. Mohammed al-Hawajri e i suoi colleghi trasformano il dolore in espressione artistica

Uno dei primi collettivi d’arte contemporanea di Gaza, il cui spazio a Gaza City è stato distrutto dai bombardamenti del dicembre 2023, ha esposto a Dubai. La mostra, inaugurata il mese scorso presso il Jameel Arts Centre, porta il titolo “Eltiqa: How to Work Together?”. Questa comprende più di 180 opere di sei dei membri fondatori del Gruppo Eltiqa per l’arte contemporanea: Mohammed al-Hawajri, Mohamed Abusal, Abdel Raouf al-Ajouri, Raed Issa, Dina Matar e Sohail Salem.

Dopo lo sfollamento, gli artisti hanno collaborato alla mostra con Art Jameel, offrendo ai visitatori uno sguardo sulla regione devastata dalla guerra. Curata da The Question of Funding, un collettivo di artisti e produttori culturali palestinesi e non solo, questa incorpora la storia personale di ogni artista con più di 500 didascalie di accompagnamento che si concentrano sugli ultimi tre anni. Mohammed al-Hawajri, co-fondatore di Eltiqa, da Sharjah, negli Emirati Arabi Uniti ha dichiarato: “L’abbiamo fatto perché sentiamo di dover mostrare qualcosa di diverso in questa situazione a Gaza. I media mostrano milioni di video e immagini, ma non parlano di arte. Penso che il nostro lavoro sia quello di parlare della vita artistica in questa situazione, prima e dopo i nostri sogni”.

Dall’orrore alla testimonianza

Di particolare interesse le opere di Hawajri e della moglie Matar: molte di essere arrivano dal recupero delle rovine della loro casa (una collezione di circa 500 pezzi). Quando è scappata da Gaza nell’aprile del 2024 con i loro quattro figli, la coppia ha dovuto abbandonare le proprie cose. A seguito di diversi incontri ravvicinati con la morte, a decisione è stata inevitabile: adesso però hanno saputo riscattare questa situazione di profondo dolore utilizzandola nel loro lavoro come testimonianza e racconto.

Tra i momenti più atroci vissuti dalla coppia è quello avvenuto mentre la famiglia si rifugiava a casa della sorella di Hawajri quando degli aerei da guerra israeliani hanno bombardato il quartiere alle 2 del mattino. I bombardamenti hanno ridotto in macerie circa 20 case, tra cui la loro. Hawajri non è riuscito a liberarsi fino all’alba in quanto si trovava intrappolato nell’oscurità sotto quelle che ormai erano le rovine dell’edificio. Durante quella notte 16 membri della famiglia di Hawajri sono rimasti uccisi.

Descrivendo le settimane successive, Hawajri, raccontando le settimane successive, ha spiegato come “Le bombe arrivavano da ogni parte: dal cielo, dal mare, dai carri armati. È così che, in mancanza di alternative, la famiglia è fuggita a Rafah, nell’estremo sud di Gaza, e ha iniziato a vivere in una tenda senza acqua, né bagno, né elettricità. Non è stato facile per Hawajri ricostruire una nuova vita da zero e lavorare nella sicurezza e nella ricchezza degli Emirati Arabi Uniti, mentre i suoi parenti e amici rimangono a Gaza. Le sue sorelle, gli amici e gli altri familiari rispondono con una frase colme di disperazione e specchio di un popolo stanco delle ingiustizie subite: “Siamo vivi, ma desideriamo la morte”.

La risposta di Hawajri

In queste emozioni quindi pongono le basi le sue ultime opere dove dipinge figure “colorate e belle” con le ali per rappresentare questo sentimento di un popolo troppo stanco per andare avanti.

A causa delle restrizioni imposte da Israele, Hawajri ha dovuto per anni razionare i colori acrilici e riutilizzare le tele a causa. La nuova vita di Hawajri ha così portato cambiamenti inaspettati nel suo modo di lavorare in cui sta sperimentando cosa significa fare arte senza costrizioni o limiti. Vive ora una nuova libertà che gli dà l’energia e l’eccitazione per creare. L’ottima risposta data alla mostra di Dubai ha poi dato ad Hawajri e ai suoi co-fondatori una nuova ispirazione per continuare a creare ed esporre le opere di Eltiqa a livello globale.

La direttrice di Art Jameel, Antonia Carver, ha spiegato che il titolo della mostra è anche “una provocazione o un invito al mondo dell’arte in generale: come rispondiamo quando gli artisti, i colleghi e la cultura stessa sono sotto bombardamento?”. Continua poi affermando che “in questo momento c’è l’urgenza di fare tutto il possibile per sostenere i nostri colleghi, soprattutto quelli della nostra regione. Questa è una storia di sopravvivenza e di cameratismo, di ingegnosità nel creare lavoro e nel continuare a sostenere sé stessi e gli altri attraverso il lavoro”.