IA, metaverso e musica. Intervista a Maria Francesca Quattrone  

Founding partner dello studio legale Dike Legal, l'avvocato approfondisce le questioni giuridiche legate all’IA generativa nel campo musicale e alle performance musicali nel metaverso

I recenti e incalzanti sviluppi della tecnologia e le sue applicazioni, come l’IA generativa e il metaverso, hanno trasformato il modo in cui, una delle maggiori espressioni artistiche, la musica, è creata e ascoltata. Artisti e operatori del settore hanno adottato l’IA generativa, considerandola una forza creativa da sfruttare, mentre altri esprimono diffidenza riguardo al suo uso. Le applicazioni di questi strumenti, sempre più sofisticati, per generare opere musicali, pone una serie di sfide dal punto di vista legale, in particolare, per quanto riguarda il loro impatto sui diritti d’autore. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Maria Francesca Quattrone, partner fondatore di Dike Legal, lo studio legale specializzato in proprietà industriale e intellettuale, media e nuove tecnologie.

Kamilla Kard, Toxic Garden – Dance Dance Dance

In una ricerca su musica e IA del 1985 a cura del prof. Curtis Roads (Research in Music and Artificial Intelligence, ACM Computing Surveys (CSUR), Volume 17, Issue 2, p. 163 – 190, June 1985, https://dl.acm.org/doi/10.1145/4468.4469) emerge la capacità dei programmi per elaboratore di eseguire funzioni musicali che in passato erano di esclusivo appannaggio di musicisti umani “naturalmente intelligenti”. La ricerca individua quattro aree di applicazione dell’IA in campo musicale: composizione, esecuzione, teoria musicale ed elaborazione digitale del suono. A distanza di quarant’anni cosa è cambiato?
A distanza di quarant’anni, l’evoluzione in queste aree è stata notevole, trasformando radicalmente il panorama musicale. Alcuni musicisti e produttori oggi utilizzano l’IA come uno strumento per esplorare nuove idee e forme artistiche, produrre musica e sperimentare, mentre altri ritengono che la musica generata dall’IA manchi dell’elemento umano e personale essenziale. L’IA ha certamente superato i limiti iniziali, passando da supporto sperimentale a parte integrante della produzione musicale, con un impatto che continua a espandersi in direzioni nuove ed al contempo ricche di contrasti. In questo momento c’è molta paura tra gli artisti. È notizia recentissima che un gruppo di oltre 1.000 artisti inglesi, tra cui Annie Lennox, Kate Bush, Paul Mc Cartney, Elton John, ha firmato un appello contro la nuova proposta di legge inglese che consentirebbe l’accesso illimitato ad opere dell’ingegno per l’addestramento di sistemi di IA. Gli artisti provocatoriamente hanno pubblicato lo scorso 25 febbraio un “silent album”, dal titolo Is this what we want?, con 12 tracce musicali che riproducono solo rumori di fondo senza musica, né voci. I titoli messi in fila compongono la frase “The British Government must not legalise music theft to benefit AI Companies”. Questo mi pare la dica tutta! In conclusione, e banalmente, la tecnologia applicata all’arte, come sempre, necessita di assestamento e regole chiare.

Quali sono le attuali applicazioni dell’IA alla musica? E quali i principali profili giuridici legati alla proteggibilità dei risultati di tali applicazioni? 
Le applicazioni, ad oggi più diffuse, dell’Intelligenza artificiale nel settore dell’industria musicale si riferiscono a diverse fasi, dalla nascita dell’opera, ovvero la fase creativa (sia compositiva che testuale), alla fase produttiva sino alla interpretazione ed esecuzione della performance da parte dell’artista interprete. Avrete letto durante il recente Festival di Sanremo le critiche per quegli artisti che usano il cd. Auto-Tune per creare effetti sonori particolari o per rettificare, come dicono in molti, la loro intonazione. Ebbene, mentre fino a poco tempo fa, l’Auto-Tune era semplicemente un software brevettato da un’azienda, la Antares Audio Technologies, che modificava alcuni aspetti tecnici della voce dell’artista nel corso della propria interpretazione, come l’intonazione, attualmente esistono software che, grazie alla intelligenza artificiale, arrivano a correggere tono e timbro e ad intervenire, finanche in un momento specifico della interpretazione, avendo rispetto dell’emotività di quel perfetto istante. Originariamente, l’Auto-Tune e l’IA erano considerati strumenti distinti con obiettivi differenti. L’Auto-Tune è un software che sfrutta algoritmi matematici basati principalmente su regole fisse per correggere l’intonazione vocale. Con l’Auto-Tune posso modificare le note vocali in una tonalità specifica, ovvero analizzare la frequenza della voce e confrontarla con una scala musicale selezionata. Se una nota è “stonata”, cioè se non rientra nella scala musicale predefinita, il software la corregge in automatico alla nota corretta, ma non posso tenere conto di uno specifico contesto esterno o di aspetti legati alle emozioni che quell’artista trasferisce con la sua interpretazione. Con l’integrazione dell’IA, la correzione dell’intonazione e la “manipolazione vocale” possono essere molto sofisticate e personalizzate. I sistemi di IA possono oggi analizzare non solo la voce dell’artista con maggiore precisione, ma considerare svariati aspetti della performance umana e le caratteristiche proprio di quel cantante specifico, come il timbro vocale, il vibrato e le inflessioni emotive, ed applicare, istante per istante, le necessarie modifiche alla voce nel rispetto della interpretazione reale e finanche della sensibilità di quel particolare artista. In sintesi, l’IA ha la capacità anche di calcolare quando e come intervenire nella correzione, cercando di rispettare la naturalezza della interpretazione. Quindi non è più una correzione tecnica di una intonazione, a seconda di regole predefinite, ma addirittura è una correzione che calcola anche aspetti quali l’emotività dell’artista e la sua estensione vocale. Questi aspetti, quindi, più che al diritto d’autore, attengono ai diritti connessi degli artisti interpreti ed esecutori che sono protetti proprio per la “loro” interpretazione artistica che ha e deve avere carattere personale. Mi chiedo, quindi, se non sia opportuno, in gare canore come Sanremo, vietare l’utilizzazione di questi strumenti che ovviamente potrebbero falsare, dal mio punto di vista, la gara stessa. E, quindi, modificare il regolamento che nulla dice in merito. Ciò non significa vietare un genere di musica o un modo di interpretare (come per la musica trap), ma porre i cantanti tutti allo stesso livello di gara come si dice in altri settori “with a level playng field”.  Si è detto che è ammesso l’Auto-Tune per creare un “effetto sonoro” non definito e non come “correttore di intonazione”, ma con la tecnologia che evolve rapidamente sarà bene scrivere subito ed in modo chiaro qual è il confine dell’uso della tecnologia rispetto alla correzione o modifica della voce che potrebbe penalizzare tutti quegli artisti che cantano secondo le proprie doti naturali. In alternativa, sarebbe certamente corretto, richiamando le norme sulla trasparenza dell’offerta dei prodotti commerciali, imporre l’inserimento di una adeguata segnaletica che in sovraimpressione avvisi l’ascoltatore-utente che viene utilizzata l’IA o l’Auto-Tune, una sorta di #autotune. Così la gara sarà ad armi pari. Gli artisti verranno giudicati per come realmente cantano o performano con o senza aiuti tecnologici.

E allora chi è l’autore della AI-generated music?
Dal punto di vista giuridico, anche in questo caso, andrebbe svolta una riflessione per concentrare il riconoscimento del diritto di interpretazione alla prestazione personale ed umana dell’artista, alla interpretazione “pura” e non viziata da elementi tecnologici. Nonostante gli artisti interpreti esecutori non creino l’opera musicale o letteraria originale, la loro performance è un atto creativo ritenuto meritevole di protezione. La legge tutela quindi (art. 80 e ss. della legge sul diritto d’autore) la loro espressione artistica e impedisce che venga sfruttata senza il loro consenso. Certo, un conto è utilizzare la tecnologia per una produzione fonografica perfetta e, quindi, nella fase di registrazione del disco e con il consenso evidentemente dell’artista medesimo, ma altra cosa è utilizzarla nelle prestazioni dal vivo “sviando”, forse, in qualche modo, il pubblico presente. Se andiamo poi ad analizzare l’AI generativa di brani musicali, sappiamo che questa può essere utilizzata per la creazione di nuove opere musicali. Molti programmi possono creare brani musicali di vari generi o vengono utilizzati per produrre i brani, dalla fase del mero arrangiamento alla produzione definitiva. Il tema al centro del dibattito è a chi appartiene l’opera generata e la risposta al momento pare unanime è dell’uomo che ha immesso e coordinato il sistema di IA per ottenere un certo output. Se è un musicista sarà lui, se si tratta solo di tecnici sviluppatori del software saranno loro. L’elemento però essenziale è essere certi che gli input inseriti nel sistema dall’autore “umano” siano stati oggetto di licenza da parte degli aventi diritto dell’opera originaria. Se poi l’output è una vera e propria elaborazione di input che hanno rastrellato opere protette potrebbe anche parlarsi di opera derivata lecita o illecita, a seconda che si sia in presenza dei consensi da parte degli aventi diritto alla elaborazione delle opere originarie o meno (art.  4 della legge sul diritto d’autore).

Con la continua evoluzione delle tecnologie IA, la gestione delle questioni di copyright per la musica generata dall’IA è sempre più complessa. L’approccio adottato dagli operatori del settore e dai titolari dei diritti è stato finora molto diversificato: alcuni hanno deciso di reprimere duramente le violazioni del diritto d’autore avviando procedimenti contro i fornitori di IA, mentre altri sembrano abbracciare le possibilità offerte da questa tecnologia cercando accordi di licenza strategica con le aziende tecnologiche. Qual è la tua esperienza in questo ambito?
L’evoluzione delle tecnologie di IA ha comportato e comporta continuamente nuove problematiche che impattano sul mercato della creatività e della tutela del diritto d’autore in generale. L’industria del settore ha reagito, in prima battuta, con la repressione delle violazioni per poi, a mio avviso e per esperienza, passare piano piano alla ricerca di accordi di licenza strategica. Le major discografiche hanno adottato una posizione aggressiva nei confronti delle startup di IA, sostenendo che utilizzano milioni di brani protetti da copyright per addestrare i loro modelli, senza il consenso dei titolari dei diritti. Un atteggiamento che ovviamente mira a proteggere i diritti degli autori, editori, produttori ed artisti, volto a garantire che le opere create con l’ausilio dell’IA non violino i diritti d’autore esistenti. Al contempo, tuttavia, alcuni operatori del settore sembrano voler valutare e non scoraggiare le opportunità offerte dall’IA, cercando di stabilire accordi di licenza con le aziende tecnologiche. Questi accordi possono includere compensi (ed equi compensi) per l’utilizzo delle opere originali da parte dei modelli di IA, riconoscere espressamente la titolarità dei diritti d’autore e dei diritti connessi in capo al committente, obbligare alla trasparenza delle informazioni e dei contenuti utilizzati citando la fonte. Tutte queste previsioni sono oggetto di clausole specifiche che inseriamo nei contratti in modo da disciplinare, anche aiutati dai principi del Regolamento Europeo 2024/1689 e si spera del prossimo Codice di Condotta, termini e condizioni per un utilizzo lecito ed etico dei sistemi di IA. Spesso, infatti, le condizioni d’uso di alcune piattaforme prevedono non solo limitazioni di taluni diritti, attribuendo la proprietà dell’output all’azienda tecnologica, ma anche l’esonero di responsabilità nei casi in cui l’output possa costituire plagio di opere esistenti. Certamente, l’innovazione digitale crea nuovi modelli di business che, comunque, agevolano, da un lato, l’accesso alla musica da parte dei fan e, dall’altro, garantiscono nuove forme di remunerazione per produttori, editori ed artisti. Dovremo lavorare per una IA responsabile ed etica, promuovendo l’adozione di regole chiare in modo da garantire una crescita su un doppio binario, da un lato, dell’industria creativa e, dall’altro, dell’intelligenza artificiale generativa. Va anche detto, che l’IA si rivela fondamentale, ad esempio, per migliorare la qualità di registrazioni storiche danneggiate o per creare effetti speciali oppure per creare i cd. Mash-up. È nata, da poco, MASHAPP, una app di creazione musicale, ideata dall’ex dirigente di Spotify, Ian Henderson, che consente agli utenti di creare mash-up tra brani. Il software attinge a un catalogo di successi molto vasto proprio in virtù degli accordi raggiunti tra gli sviluppatori e le tre major – Universal Music, Sony Music e Warner Music – e Kobalt, uno dei principali aggregatori di indipendenti. In sintesi, da un lato, si teme l’IA, ove questa non consenta i riconoscimenti degli input con forme di licenza adeguate, dall’altro, si cercano forme di interazione ed integrazione, forse consci che la tecnologia va avanti e non può essere arrestata. D’altronde, ricordiamo tutti le prime lotte della discografia alle forme di streaming, nel timore reale e concreto della fine del disco fisico, ma, oltre il timore, c’è il futuro che non si può fermare. L’importante è sempre ricordare che la creatività dell’uomo ha un valore e questo valore è e sarà sempre insostituibile assieme ai diritti che andranno difesi per riconoscere il valore della creatività. Almeno si spera!

Negli Stati Uniti, Universal Music Group, Sony Music e Warner Music Group, rappresentati dalla Recording Industry Association of America (RIAA), hanno citato in giudizio Udio AI e Suno AI. Sono i primi del settore musicale a unirsi a difesa del diritto d’autore sulle canzoni prodotte da IA nelle aule di tribunale. Esistono precedenti in Europa?
Iniziano ad essere numerosi i contenziosi su questi temi. La causa delle tre major mondiali Universal Music Group, Sony Music Entertainment e Warner Music Group contro Suno AI e Udio AI, due start-up di IA, ha proprio ad oggetto l’utilizzo non autorizzato di interi cataloghi di musiche appartenenti alle etichette per l’addestramento dei modelli di AI. In particolare, Suno AI e Udio AI hanno sostenuto, per difendersi, anche dalla Recording Industry Association of America (RIAA), che il loro utilizzo dei repertori era coperto dal cd. fair use. La teoria del fair use bilancia i diritti esclusivi degli autori per proteggere la creatività e l’originalità delle opere con la libertà di espressione del pensiero e la possibilità di trarre ispirazione da opere esistenti. Praticamente, il fair use consente l’utilizzo di opere protette, anche senza il consenso degli autori, solo a condizione che l’uso sia effettuato per scopi di critica, commento, informazione giornalistica, insegnamento, studio e ricerca. Seguendo questa teoria Suno AI ha sostenuto che l’addestramento della AI è paragonabile all’apprendimento di un musicista che ascolta e si ispira a canzoni esistenti, quindi “l’apprendimento non è una violazione”. I risultati delle loro tecnologie non sarebbero conseguentemente semplici copie delle opere originali, ma creazioni nuove ispirate da vari generi e stili musicali, non appropriabili in quanto tali, ed elementi condivisi della cultura musicale. La soluzione proposta è di offrire ai titolari dei diritti l’opzione di opt-out, permettendo loro di escludere il proprio repertorio dai processi di addestramento dei modelli di IA o offrire un equo compenso per l’uso delle opere generate dall’IA basate su repertori umani esistenti. Di avviso contrario, sebbene in un caso diverso, i giudici, che con la sentenza sommaria, negli Stati Uniti, nella causa tra Thomson Reuters Enterprice Center GMBH and West Publishing Corp. contro Ross Intelligence Inc., hanno stabilito che il contenuto di Thomson Reuters era protetto da copyright e non rientrava nel concetto di fair use. Il comportamento della Ross per addestrare il suo modello di intelligenza artificiale, utilizzando i contenuti della Reuters, è stato, pertanto, ritenuto in violazione del copyright. In Europa, ci sono stati alcuni casi, Italia inclusa, ove la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che “il ricorso alla tecnologia digitale per la realizzazione di un’opera non preclude di per sé la possibilità di qualificare l’opera come opera dell’ingegno, a meno che, all’esito di un accertamento di fatto in cui il tasso di creatività sia stato scrutinato con rigore, non risulti che l’utilizzo della tecnologia abbia assorbito l’elaborazione creativa dell’artista” (cfr. Cass. Civ., sez. I, 16/1/2024, n. 1107); ma il percorso è ancora lungo. Sempre in Europa, le etichette musicali e le società di gestione dei diritti d’autore hanno intrapreso diverse azioni legali contro piattaforme di streaming e altri servizi digitali, ma riguardano, al momento, la violazione dei diritti d’autore o di immagine, da parte di soggetti terzi, spesso difficilmente rintracciabili, che hanno caricato, senza il consenso degli artisti, brani musicali creati dall’IA, a nome degli artisti stessi e con la loro immagine (deep fake), monetizzando tantissimo e ledendo i diritti di personalità dell’artista in questione. In questi casi, viene leso il diritto di immagine e della personalità dell’artista, in quanto il suo nome viene collegato ad un’opera che non è la sua, ma generata dall’IA, e che si aggancia all’intero catalogo delle sue opere creando un enorme danno anche reputazionale. Deezer, la piattaforma di musica, ha rilevato che circa 10.000 brani, interamente generati dall’intelligenza artificiale, vengono caricati sulla piattaforma quotidianamente, pari a circa il 10% della distribuzione giornaliera di contenuti. A Bruxelles è in corso di definizione il Codice di Condotta, che dovrebbe stabilire le politiche di copyright che i fornitori dei sistemi di IA dovrebbero applicare, facendo “sforzi ragionevoli e proporzionati”, una formulazione criticata dai più, prevedendo obblighi di comportamento specifici e chiari.

Uno sviluppo più recente dell’IA nella musica è l’applicazione di deepfake audio per trasformare il testo o lo stile musicale di una canzone preesistente nella voce o nello stile di un altro artista. Questa applicazione ha sollevato non solo questioni di liceità di tale utilizzo, ma anche profili etici, in particolare, nel contesto della protezione dell’identità artistica. Come sono affrontati dagli avvocati questi temi?
Come accennato prima, la creazione dei deepfake audio nella musica ha diversi impatti legali che coinvolgono diritti della personalità dell’artista, la violazione della paternità dell’opera, la violazione dei dati personali. L’uso della tecnologia deepfakesolleva anche preoccupazioni etiche riguardo alla protezione dell’identità artistica. L’imitazione della voce di un artista, abbinata ad un testo o una composizione non proprie, può ovviamente compromettere la reputazione, il nome e l’identità dell’artista. Ma le tecnologie deepfake possono anche violare la privacy degli individui, creando contenuti falsi, che coinvolgono dati personali come la voce o l’immagine personale dell’artista. La nostra assistenza ai Clienti, in questi casi, consiste nella segnalazione alle piattaforme dei contenuti illeciti, l’investigazione, in collaborazione con tecnici informatici specializzati, sui soggetti che hanno commesso la violazione e la redazione di diffide per richiedere la rimozione o il blocco del contenuto a coloro che partecipano direttamente o indirettamente alla diffusione. A queste prime attività, seguono spesso le segnalazioni alle autorità competenti, sia amministrative, come ad esempio, l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, l’Autorità Garante per la Privacy, a seconda dei casi, sia giudiziarie.

Warner Music Group ha acquisito una proprietà digitale sulla piattaforma Sandbox che funge sia da parco a tema musicale sia come spazio per concerti. Roblox ha stretto una partnership con Sony Music. Universal ha avviato una collaborazione con Genies, un’azienda che crea avatar virtuali per gli artisti. I nuovi contratti tra artisti ed etichette prevedono ora anche i diritti esclusivi del metaverso. Quali sono i più recenti sviluppi della musica nel metaverso?
Sembra assurdo, ma oggi, parlare di metaverso e di NFT è qualcosa di già superato, eppure si tratta di fenomeni degli ultimi anni. Nel settore della musica, il metaverso ha visto sviluppi significativi, con le principali etichette discografiche che esplorano nuove opportunità per interagire con i fan e generare entrate. Senza andare troppo lontano, in Italia, nel periodo del COVID-19, si sono susseguite diverse esperienze nel metaverso, poiché molti artisti hanno cercato modi alternativi per connettersi con il pubblico, organizzando concerti virtuali che combinavano elementi fisici e digitali e offrivano un’esperienza unica. La contrattualistica è stata ed è molto complessa, toccando diversi e nuovi diritti relativi alla prestazione artistica, alle diverse licenze, tra cui l’utilizzo di avatar con l’immagine dell’artista, ed una serie di diritti esclusivi da utilizzare nel metaverso. Questo sviluppo rappresenta un cambiamento significativo nel modo in cui gli artisti e le etichette considerano la monetizzazione delle loro opere e prestazioni artistiche in ambienti virtuali. Le etichette hanno utilizzato, e stanno ancora esplorando, il mondo degli NFT per vendere opere digitali, come brani ad edizione limitata, biglietti per concerti virtuali e altri contenuti esclusivi, offrendo ai fan modi nuovi e coinvolgenti per supportare i loro artisti preferiti. Il metaverso sta diventando un’area rilevante per l’industria musicale, offrendo nuove opportunità per la creazione di esperienze interattive e immersive. Con le principali etichette che investono in queste tecnologie, il futuro della musica nel metaverso potrebbe avere ulteriori sviluppi, ma devo dire che l’avvento della IA, forse, modificherà anche questa percezione.

30 gennaio 2025. La SIAE pubblica la nuova licenza videogiochi, metaverso e realtà aumentata. L’obiettivo è di sostenere la creatività e la tutela del diritto d’autore, anche nei contesti più innovativi, collaborando con gli utilizzatori per creare un ecosistema equilibrato e sostenibile. Quali sono i tratti salienti della nuova licenza SIAE per la musica nel metaverso?
Nasce a gennaio di quest’anno una nuova licenza per la tutela della musica, depositata presso la SIAE, presente nei videogiochi. La licenza ha carattere sperimentale e risponde ad una serie di istanze dell’industria musicale. Il fine dichiarato dalla SIAE è “sostenere la creatività e la tutela dei diritti d’autore anche nei contesti più innovativi, collaborando con gli utilizzatori per creare un ecosistema equilibrato e sostenibile”. La licenza si applica ai servizi di videogioco, metaverso e realtà aumentata offerti online anche tramite piattaforme digitali. È presente una distinzione tra videogiochi musicali, dove il gameplay è basato sull’utilizzo della musica come, ad esempio, il karaoke o il ballo ed i videogiochi, dove la musica, invece, ha un ruolo secondario o fa da sfondo. La licenza si rivolge a tutti i soggetti (persone fisiche o persone giuridiche) che gestiscono piattaforme digitali e servizi online come i cd.  Digital Service Providers o i cd. Game Publishers, che hanno intenzione di inserire opere musicali del repertorio SIAE in videogiochi, nel metaverso o in applicazioni che usano la realtà aumentata per offrirle al pubblico. Con la licenza, l’utilizzatore acquisisce il diritto di riproduzione e di comunicazione e messa a disposizione del pubblico dell’opera. L’autorizzazione è concessa ovviamente per consentire all’utente finale l’ascolto privato e personale tramite il sito o il servizio del licenziatario. Per ulteriori utilizzazioni di tipo commerciale e lucrativo, come la diffusione in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sarà necessaria una diversa licenza da negoziarsi separatamente. Il corrispettivo previsto per la licenza potrà essere annuale, trimestrale o per ciascun evento e sarà variabile. È determinato, in base alla modalità di utilizzo, sulla base di tariffe minime garantite. Il licenziatario sarà obbligato a predisporre una rendicontazione analitica trimestrale per dimostrare le transazioni effettuate e gli utilizzi, con indicazione delle opere usate ed il numero di ascolti e visualizzazioni.

Maria Francesca Quattrone è avvocato specializzato in proprietà industriale e intellettuale e fondatrice dello Studio Dike Legal. Assiste numerosi Clienti nel campo dell’Intrattenimento, Lusso, Arte, Comunicazione e Media, IT e Privacy in particolare in relazione a questioni attinenti al diritto d’autore, alle nuove tecnologie ed al commercio elettronico, ai marchi, alla pubblicità e alla concorrenza sleale. Tiene periodicamente corsi di diritto d’autore e di diritto industriale post-universitari per diversi enti ed organismi ed università. E’ componente del Comitato Scientifico della scuola di formazione per artisti della Regione Lazio Officina Pasolini. È autrice di numerose pubblicazioni nel campo del copyright, dell’e-commerce, dei marchi e della privacy. È associata a diverse organizzazioni di settore: AIPPI, ALAI, ALL, IAEL, Women & Tech. Ha ideato un progetto di Responsabilità Sociale denominato D-SOCIAL realizzato anche attraverso l’offerta pro-bono della propria esperienza legale ed il proprio know-how e volto a promuovere iniziative per il sostegno ai più deboli, per la diffusione dell’arte e la promozione di giovani artisti.