Il Nord America ospita la più grande mostra internazionale di arte aborigena omaggiando una tra le sue maggiori esponenti contemporanee: Gulumbu Yunupiŋu. È infatti in programma per ottobre 2025 alla National Gallery of Art di Washington DC la prima esposizione internazionale che comprende il maggior numero di opere d’arte aborigena australiana e dello stretto di Torres: The Stars We Do Not See: Australian Indigenous Art. Più di 200 opere provenienti dalla collezione della National Gallery of Victoria verranno esposte nell’arco di tre anni in Colorado, Oregon, Massachussetts e Canada introducendo il pubblico nordamericano al lavoro di 130 artisti attivi nel diciannovesimo, ventesimo e ventunesimo secolo.

Gulumbu Yunupiŋu: la “Signora delle Stelle”
Il titolo della mostra è un omaggio all’artista Gulumbu Yunupiŋu (1943-2012), nota come la “Signora delle Stelle” per i caratteristici motivi a stella che attraversano le sue opere su corteccia di eucalyptus. Gulumbu era un membro del clan gumatj del popolo yolŋu, abitanti della storica e contesa regione di Arnhem Land in Australia settentrionale. A partire dai primi anni 2000, l’artista sviluppa il suo tipico motivo a croce ponendo al centro delle sue stelle un puntino rappresentante il loro occhio.
Nel gruppo dei tre larrakitj – tronchi cerimoniali cavi all’interno dei quali originariamente diversi clan aborigeni riponevano le ossa dei propri capi defunti – che nel 2004 valsero all’artista il primo premio Telstra National Aboriginal and Torres Strait Islander Art Awards, questo motivo è chiaramente visibile nella rappresentazione dell’universo, Garak. Le stelle, realizzate in pigmenti naturali, si susseguono in una trama geometrica che avvolge interamente i tronchi cerimoniali evocando l’onnipervasività del cielo notturno che se l’occhio umano potesse vedere nella sua totalità, sottolinea l’artista, apparirebbe come un’infinita distesa di stelle indipendentemente dal punto di osservazione.

La corteccia ospita miti cosmogonici
Nelle opere più tarde, gli occhi delle stelle riecheggiano la distesa di piccoli punti sul quale le croci sembrano stagliarsi e al contempo amalgamarsi creando un’intricata trama di forme in cui il grado di astrazione si intensifica rispetto alle creazioni precedenti. La miriade di puntini che circondano le forme a croce rappresentano i corpi celesti e tutte le altre stelle invisibili all’occhio umano, alludendo al tema centrale dell’arte di Gulumbu: il cielo notturno come metafora esistenziale della condizione umana. Il cielo con le sue stelle riflette a livello strutturale la terra abitata dagli esseri umani che, insieme alle altre creature terrestri, formano un continuum con il cielo, risolvendosi in una sostanziale unità.
Dal punto di vista concettuale e simbolico, tre piani differenti si intersecano e coesistono in maniera armonica nelle opere di Gulumbu: quello letterale in cui la dimensione fisica del cielo notturno e i mutamenti stagionali che attraversa viene artisticamente trasposta su corteccia, il piano metaforico, e quello mitologico che riporta i miti cosmogonici del patrimonio culturale yolŋu.
In Ganyu’ (‘stelle’) del 2009, questi tre aspetti sono condensati nella rappresentazione della costellazione di Orione, richiamando la storia delle Sette Sorelle che a bordo della canoa Djulpan attraversano la via lattea fino a ‘cristallizarsi’ nelle Pleiadi. Qui gli agglomerati di stelle si addensano e dissolvono seguendo gli avvallamenti della corteccia di eucaliptus che conferisce all’intera opera un delicato dinamismo. Osservando le opere tarde dell’artista emerge un campo visivo unico, ma non uniforme, movimentato dalle diverse gradazioni cromatiche che seguono l’andamento ondulato della corteccia, lasciando l’occhio dell’osservatore vagare tra le nebulose composte dai raggruppamenti di stelle e le singole unità che li compongono.

L’intento che informa le opere e la definizione che l’artista stessa fornisce della sua arte come non riservata esclusivamente agli iniziati, ma al largo pubblico, coincide con quello che anima la mostra The stars we do not see: australian aboriginal art. La mostra, difatti, testimonia un rinnovato interesse del mondo dell’arte contemporanea per l’arte indigena promuovendo uno spazio dialogico in cui arte indigena e arte non indigena contemporanea si incontrano e influenzano mutualmente.
Dopo l’appuntamento alla National Gallery of Art di Washington DC dal 18 ottobre 2025 all’1 marzo 2026, le opere saranno esposte dal 19 aprile 2026 al 26 luglio 2026 al Denver Art Museum, Colorado, da settembre 2026 a gennaio 2027 al Portland Art Museum, Oregon, da febbraio a giugno 2027 al Peabody Essex Museum, Massachusetts e da luglio 2027 a gennaio 2028 al Royal Ontario Museum, Toronto.
info: nga.gov