Esercizi di meraviglia: scavare nel tempo dei luoghi per conoscere lo sconosciuto

Intervista ad Arianna Pace, vincitrice del Premio Speciale GNAM al Talent Prize con l'opera "einfühlung"

In tutti i musei, si sa, passa la storia. Quella raccontata da Arianna Pace, che con einfühlung ha vinto il Premio Speciale GNAM al Talent Prize, non ha a che vedere con grandi battaglie o eventi memorabili, e neppure con i loro rovesciamenti concettuali, che pure trovano posto nelle sale della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, ma è una narrazione che emerge direttamente dal paesaggio. Scegliendo la natura come parametro, nello spazio Pace mette in atto un’immedesimazione, peraltro traduzione di einfühlung, in cui «il corpo – spiega – si pone come ricettore, filtro eco-estensivo della realtà». Con lo sguardo di un palombaro, l’artista porta in superficie le memorie del paesaggio, esplicitandone le stratificazioni temporali. Quelle di Arianna Pace sono allora storie dalla statura minuta, provenienti dal suolo o dalla corteccia di un albero, e che raccontano in un punto le reminiscenze di un tempo geologico.

La memoria del paesaggio costituisce il perno dell’opera che hai presentato, ma è un elemento ricorrente anche in altri lavori, come Es.plo.rà.re.
Il paesaggio funziona come un palinsesto, in cui la storia dell’essere umano, composta da tradizioni e tracce, si stratifica su quella naturale. Nell’approccio ai luoghi, memorizzare ed esplorare costituiscono azioni complementari, in cui mente e corpo sono coinvolti sia nel conservare una traccia di cui si ha avuto esperienza – e a rievocarla quando lo stimolo originario viene a mancare – sia nel protendersi verso qualcosa che ancora non si conosce. Nella mia ricerca queste due fasi sono necessarie e interconnesse. Siamo parte del paesaggio e, nell’atto di percepirlo, lo trasformiamo. L’opera che ho presentato è formata da una sequenza di calchi ricavati dalla corteccia del Pino domestico più grande di tutta la Basilicata. L’impronta è umile, in quanto registrazione di uno spazio negativo, di un vuoto: preleva e restituisce, permettendoci di comprendere il mistero a partire dallo spazio intermedio in cui egli stesso si trova; di esplorare nel tentativo di conoscere quanto ci è sconosciuto o nascosto.

La ricerca che conduci si trasforma in “approccio geologico”, sia in senso emotivo che più strettamente scientifico. Pensiamo, ad esempio, alla tua personale Sof-fermarsi e agli studi sui fossili, oltre all’installazione Karren. Da cosa prende le mosse questo sguardo sul paesaggio?
Ho respirato un “approccio geologico” fin da bambina. Mio padre era geologo: spesso portava a casa “sassi”, rocce vulcaniche, minerali e, durante le vacanze in montagna, era solito rispondere alle nostre domande sulla provenienza o sulla composizione delle pietre raccolte. L’aspetto tangibile, concreto della geologia, che implica il rapporto diretto con gli oggetti presi in esame, ha senza dubbio contribuito alla pratica della meraviglia. Credo che alla base dell’approccio geologico ci sia un atteggiamento curioso dello sguardo nei confronti del mondo. Questa prospettiva comporta il desiderio di scavare in profondità negli strati del tempo e dentro noi stessi. Il paesaggio geologico è memoria del territorio, e nella mia ricerca mi interessano gli eventi che sono coinvolti nella persistenza e nella metamorfosi delle forme di vita. Tra loro la correlazione è totale, immediata. Penso al concetto di gestalt: ciò che percepiamo non è una somma di elementi, ma una sintesi della realtà. Nel percepire il mondo esterno, non cogliamo delle semplici addizioni di stimoli sensoriali, ma ne percepiamo l’incastro. L’accostare varie tecniche e metodologie d’indagine all’interno di uno stesso progetto è, nella mia pratica, un modo per analizzare gli oggetti di studio nello specifico, sotto diversi punti di vista, per restituirne la complessità.

Un approccio capace di cogliere la stratigrafia di un luogo finisce anche per rilevare le tracce di ciò che non c’è più. Come puoi raccontare le incisioni di Landscape? L’opera ha una componente di critica ambientalista?
Più che una critica, il mio è un invito a una maggiore consapevolezza delle conseguenze delle nostre azioni. Vorrei che si riuscisse ad adottare una visione sempre più eco-centrica del mondo per giungere alla consapevolezza dell’inscindibilità del binomio uomo-natura. Tra le innumerevoli pressioni antropiche, con questi lavori vorrei porre attenzione sull’eccesso di consumo del suolo, responsabile di gravi effetti ambientali a breve e lungo termine. Il suolo è una risorsa indispensabile alla nostra sopravvivenza, strettamente connessa all’equilibrio della biodiversità. Nello spessore di poche decine di centimetri coesistono minerali, sostanze organiche, acqua, aria e una inimmaginabile varietà di biomassa vivente.

Nei tuoi lavori hai utilizzato materiali e mezzi espressivi molto diversi. Quali sono stati i più soddisfacenti?
Più che di soddisfazione, parlerei di necessità, ogni messaggio richiede un medium per essere espresso. Il materiale diventa funzionale. Certi temi richiamano fragilità, richiedono leggerezza, altri hanno bisogno di essere restituiti con una consistenza diversa. A volte ho necessità di piegare, modellare, adattare il materiale al mio pensiero, altre volte le caratteristiche del materiale stesso mi suggeriscono la direzione da intraprendere. Di certo è più soddisfacente usare la terra, l’argilla o il gesso rispetto a uno strumento che richiede un gesto meccanico e un processo più mentale, come scattare una foto.

Torniamo all’inizio. Nel 2018 hai lavorato a un progetto editoriale: cosa ti ha portato da Nature alle opere più recenti?
Nature è un diario. Sentivo la necessità di appuntare le mie sensazioni nate da lunghe camminate in montagna, spesso accompagnate da letture sul tema. I testi invitano ad entrare dentro le immagini: queste catturano e raccontano un istante irripetibile, che entra a far parte di una scala temporale diversa da quella dell’uomo. Mi soffermo sull’importanza che ha per me il progetto editoriale e l’oggetto libro. La mia è una ricerca processuale. Il libro, da sempre, mi permette di raccogliere, fissare, documentare lo sviluppo di tale processo e di formalizzarlo in un oggetto facilmente distribuibile. L’opera d’arte solitamente va raggiunta per essere esperita e questo è essenziale; il libro, in modo complementare, può raggiungere più persone e restituire la complessità dell’opera.

L’opera vincitrice del Premio Speciale GNAM

Opera in origine site specific, einfühlung indica in tedesco l’immedesimazione, traduzione letterale del termine. Composto da una serie di formelle che riportano il calco negativo della circonferenza del Pino domestico, albero monumentale di Rivello (PZ), il lavoro registra le tracce esteriori del paesaggio lucano, rivelandone i segni del tempo in un’operazione al tempo stesso orizzontale e verticale. Così, l’installazione invita a essere attraversata e a sperimentare la “rimanenza” del contatto, l’empatia tra l’artista, la terra e l’albero. L’opera è stata realizzata in occasione di “Una Boccata d’Arte, 2023 – Rivello (PZ) Basilicata”, un progetto di Fondazione Elpis a cura di Roberta Mansueto, in collaborazione con Galleria Continua e con la partecipazione di Threes Production.

Biografia dell’artista

Arianna Pace nasce il 31 luglio 1995 a Pesaro, Nel 2020 consegue il diploma di secondo livello in Pittura Contemporanea all’Accademia delle Belle Arti di Urbino e nel 2022 espone Sof-fermarsi da SOTTOFONDOSTUDIO ad Arezzo. Nel 2023 realizza il progetto Me ne andrei nella roccia della Lieta, che include l’opera einfühlung, per Una Boccata d’Arte 2023 e nel 2024 partecipa al programma Dalle sculture nella città all’arte delle comunità a cura di Marcello Smarrelli nell’ambito di Pesaro Capitale italiana delle cultura 2024.

ariannapace.com

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