The Field, l’opera di Federica Di Pietrantonio finalista al Talent Prize 2024, ci trasferisce all’interno di un campo sterminato. Il contatto con il mondo è totalmente azzerato, non c’è traccia di presenza umana, un avatar si muove all’interno del suo ambiente apparentemente sconfinato, completamente solosolo. Il racconto di cui è protagonista però è frutto di una narrazione multiplayer che riconfigura inaspettatamente il nostro esistere nel mondo, reale o digitale non fa più differenza.
La solitudine abbraccia l’atmosfera di moltissimi dei tuoi lavori, dove l’incontro con l’altro diventa praticamente impossibile. Eppure, sembra che esista un tema narrativo che lega le tue storie. Che ruolo ha l’isolamento nella costruzione dei tuoi film?
In lavori come il video solo, oppure la trilogia everynight i try to find the light but sometimes its too cold, l’isolamento è la condizione di base della narrazione, nei video appaiono diversi modi di reagire o convivere con la solitudine, stare con il problema direbbe Donna Haraway. Nella trilogia Farming invece, la solitudine è una conseguenza del progresso socio-tecnologico, dove individui, poi comunità, si trovano intrappolati in stati di isolamento, per scelta, necessità, o mancanza di alternative. La solitudine diventa così un mezzo per raccontare l’incontro con l’altro, creando una continua tensione tra isolamento ed eccesso di visibilità.
Tra le tecnologie digitali che utilizzi, il machinima è un mezzo ricorrente. Di cosa parliamo?
Il machinima è letteralmente la crasi di machine + cinema, e corrisponde alla produzione video all’interno di ambienti virtuali e videogiochi. Ho iniziato ad approcciare lavori video all’interno di videogiochi tramite performance in-game, nel 2021 per esempio presentai you had me at hello, un video dove provavo a fare amicizia, in modo ovviamente fallimentare, con gli npc di GTA V. Nel tempo ho approfondito la mia relazione con il world building tramite il modding (modifica del videogioco.). Al momento vedo il modding come una pratica performativa di azione sul mondo, l’azione di modifica dell’architettura del software assume significato concettuale, un modo di dare forma all’identità e al mondo con nuovi parametri, risultando in scenari inaspettati o impossibili.
Il personaggio del video The Field a un certo punto confessa le ragioni della sua solitudine: «I feel the world doesn’t understand my pain and struggle». In quest’epoca di impermeabilità all’empatia, la tecnologia può capirci?
La tecnologia comunicativa diventa un mezzo specchiante per ricondurci a noi stessi. Vedo lo sviluppo tecnologico come intrinsecamente legato alla solitudine. La tecnologia, dalle reti sociali alla nascita delle IA, sottolinea costantemente la nostra condizione di isolamento, alimentando la spinta verso un’idea illusoria di completezza. Il technosentimentalismo, ovvero la tendenza a percepire la tecnologia attraverso un filtro emotivo, sancisce questa relazione e la nutre di innamoramenti fugaci con entità elettroniche. La datificazione dell’umano tenta di creare un doppio tecnologico, materia incapace di comprendere la complessità del dolore, e quindi del piacere.
I tuoi personaggi vagano in ambienti deserti sconfinati, la cui immensità stride con il nucleo chiuso della cameretta in cui i player vivono. Cosa significa questo paradosso ambientale?
Nel video gli spazi sconfinati da una parte rappresentano la realtà virtuale vissuta dai player, dall’altra rappresentano un’alternativa al loro vivere quotidiano; due realtà estreme, straordinarie, collidono. In questo modo i commenti degli utenti, che costituiscono lo script, sono decontestualizzati sia narrativamente che visivamente, inducendo ambiguità di contesto ma anche alienazione. L’intero film si basa su due diversi stati motori, la corsa o la stasi. Questa dinamica è fondamentale per il ritmo della narrazione ma anche come dichiarazione di potere. Decido di correre o decido di rimanere fermo. Diventa una scelta, un atto di controllo che concorre a determinare la propria posizione nel mondo.
La pittura è ancora presente nella tua pratica? È un accompagnamento al digitale o qualcosa di diverso?
Nella mia pratica utilizzo la pittura come un medium per elaborare le macerie mediatiche che si sottopongono ai nostri occhi quotidianamente, come testimonianze del nostro presente in crisi; è un atto di resistenza contro il crollo delle piattaforme, una pratica di estrusione per sfuggire alla palude digitale in cui siamo intrappolati. Ho recentemente lavorato a una nuova serie di pitture che riguardano la relazione tra l’utente e il corpo ad esso connesso, considerando gli stati emotivi di algofobia (paura del dolore) e anedonia (incapacità di provare piacere), intrinsecamente legati all’iconografia della fatica e del dolore. La pittura rimane la pratica più intima, dove espongo la mia memoria e sensibilità.
Gli avatar che utilizzi sono creature fluide, che non si identificano in un genere particolare, addirittura anche il confine tra umano e artificiale è spesso difficile da determinare. Come si riconfigura il corpo all’interno delle piattaforme digitali?
Considerando la datificazione delle nostre esperienze e del nostro corpo, il corpo come concetto finito e come sola materia organica ha perso senso, è obsoleto. Il corpo è dissociativo, non basta ad identificarci. Mi viene in mente l’installazione the edge of collapse, dove instauro la pratica del contatto visivo tra l’osservatore e lo sguardo di un avatar, con l’intenzione di poter rompere la finzionalità virtuale e stabilire una connessione più profonda tra i due sguardi. L’audio dell’installazione è una voce narrante, realizzata in IA clonando la mia voce personale. In questo modo attribuisco la mia voce a parole che non sono mai state pronunciate, storie altrui diventano personali. La mia voce è uno strumento, fuori di me. Il mio corpo è fuori di me, è altro. Posso scegliere il mio corpo.
La costruzione dell’identità passa necessariamente dalla relazione con l’altro. Ma in una totale assenza di esperienza, è possibile autodeterminarsi nell’isolamento?
Nello script del video viene citata la necessità di aiuto dal mondo “reale”, in un contesto dove l’isolamento, fisico e virtuale, sembra essere l’unica possibilità di sopravvivenza di fronte all’impossibilità di vivere secondo regole comuni. L’esposizione della vita intima in contesti mediatici estremizza e patologizza l’attenzione, inclinando il rapporto con i sensi verso un’anestesia del piacere. Questo stato emotivo priva l’individuo del legame con la realtà, con lo scorrere naturale del tempo e con il ritmo della vita. Nei romanzi di formazione l’isolamento viene spesso visto come un esperimento per identificare l’influenza della società sullo sviluppo dell’individuo. Forse è anche per questo motivo che la tendenza verso la romanticizzazione della propria vita sembra l’unico modo di vivere, di dare una risposta ai propri quesiti esistenziali, di dare un ruolo alla nostra esistenza nel mondo. Vivere è una successione di prestazioni. Nell’ultima mostra personale you lost me ho ragionato proprio sul senso di appartenenza al mondo. Chi perde chi? È l’individuo a perdere il contatto con la società o è quest’ultima a perdere individui determinanti?
Tornando a The Field, l’opera fa parte di una trilogia, che prosegue il primo capitolo rappresentato da Farming. Nel terzo episodio ci sarà un’evoluzione del personaggio o la solitudine è irreversibile?
Il protagonista di The Field e unico personaggio si chiama Anon, ispirandosi al nome standard degli utenti anonymous. Con questa serie voglio da una parte approfondire diversi modi di vivere e percepire la solitudine, dall’altra tenere traccia e conservare una serie di commenti e testimonianze digitali che altrimenti andrebbero perse. La storia che verrà è ancora inaspettata, poiché la narrazione è affidata a una moltitudine di utenti. L’aspetto che trovo più stimolante è aggiornare gli archivi delle testimonianze, che restituiscono parziali ritratti, marcando nel tempo i cambiamenti e le reazioni degli utenti che popolano internet.
«The internet isn’t safe for us anymore», conclude Anon nel video. Esiste una via di fuga?
How to Completely Disappear from the Internet. Eliminare la propria presenza digitale è un trend nato dalla relazione tossica delle piattaforme con gli utenti. Alimentiamo costantemente il capitale cloud attraverso il nostro lavoro esperienziale, senza ricevere nulla in cambio se non una società di sorveglianza e l’illusione di controllo sulla nostra vita. La continua release di app che promettono una migliore privacy, come Discord o Signal, offrono delle vie di fuga, ma sono soluzioni parziali considerando la frammentazione e distribuzione dei nostri dati online. Molti utenti cercano rifugio in spazi più segreti, come nelle nascoste imageboards o nel dark web, creando cunicoli e rabbithole per tutelare e detenere il controllo dei propri dati. Mi viene in mente Cicada 3301, una misteriosa organizzazione che ha pubblicato in successione una serie di enigmi complessi al fine di reclutare speciali criptoanalisti per la definizione di nuovi valori etici per una nuova utopica società. Lo spazio di internet è organicamente legato alle comunità che lo vivono, tra minoranze e maggioranze, così tanto da poterne determinare anche la crisi. Cosa rimane quando uccidiamo la nostra identità digitale? Come si relaziona alla morte dell’ego?
L’opera finalista al Talent Prize 2024
L’opera finalista al Talent Prize 2024 è un cortometraggio machinima che esplora il senso di perdita di identità e appartenenza nell’era digitale, interrogandosi se sia l’individuo a perdere il contatto con la società e non viceversa. Focalizzandosi sulle esperienze degli utenti su piattaforme di videogiochi online – hikikomori, neet e gold farmer, tutti gruppi che scelgono più o meno consapevolmente l’isolamento – The Field discute le complessità delle sottoculture digitali. Attraverso una ricerca che ha raccolto testimonianze anonime da piattaforme come Reddit e 8chan, Federica Di Pietrantonio ha girato un video in Farming Simulator 22, integrando mod personalizzate. Lo script è composto dalle testimonianze online, senza modifiche, creando una narrazione poetica, mentre l’audio include una voce narrante generata da IA, che clona la voce dell’artista, attribuendole parole mai pronunciate. L’uso dell’impianto visivo pastorale contrappone, infine, il panorama dello schermo a quello dell’ambiente circostante, invertendo paradossalmente la condizione di isolamento.
Biografia di Federica Di Pietrantonio
Federica Di Pietrantonio nasce l’11 febbraio 1996 a Roma. Nel 2019 si laurea in Pittura alla RUFA di Roma con una tesi svolta al KASK di Gent in Belgio e l’anno successivo vince il Premio speciale Talent Prize 2020 dalla Fondazione Cultura e Arte. Espone con la sua prima personale my life as yours da The Gallery Apart, nella Capitale. Nel 2023 partecipa alla residenza alla SODA – School of Digital Arts di Manchester in collaborazione con La Quadriennale di Roma ed espone nella collettiva della terza edizione di Re:Humanism, Sparks and Frictions, al WeGil di Roma. Nel 2024 partecipa alla mostra Energie Contemporanee a cura di Spazio Taverna al Gazometro di Roma e per il progetto OVERTON WINDOW di Materia Gallery a cura di Re:Humanism espone il video machinima solo.