Nel 1979 Neil Young pubblicò Rust Never Sleep, la ruggine non dorme mai, un percorso graffiante che porta da “Out of the Blue” fino a “Into the Black”. Il titolo dell’album e alcune frasi delle canzoni che ne fanno parte, insieme alle sonorità, hanno contribuito a dare una compattezza alle opere di Beatrice Gelmetti (Verona, 1991), presentate all’interno dell’esposizione da Marina Bastianello, a Mestre. It’s better to burn out than to fade away, è meglio bruciare che “sbiadire”, “sfumare”. L’idea di essere dimenticati, di svanire nel nulla ed essere stati solo di passaggio, tormenta l’essere umano dalla notte dei tempi. Il processo poi di decadimento, corporeo e mentale, annichilisce l’immaginazione. Così si giunge alla conclusione sia meglio divampare, vivere la vita all’estremo, contaminando gli altri con il desiderio di vita e lasciando il segno dell’incendio che ci scuote dentro, rispetto alla scelta di arrugginire. Non si può tornare indietro quando l’oscurità ti agguanta.

La ruggine non è altro che l’ossidazione del ferro che, lasciato esposto agli agenti atmosferici, forma una patina scabra tra il bruno e il rossastro, delle croste che lentamente erodono ciò che rimane del metallo fino a screpolarlo e sbriciolarlo. Eppure, gli artisti hanno imparato a padroneggiare l’ossidazione, a usarla come tecnica espressiva. Nell’opera di Gelmetti la superficie si frastaglia grazie all’accumulo strato, su strato di pigmenti e l’ossidazione del colore.
Guardando i suoi dipinti sembra, infatti, di incontrare delle concrezioni magmatiche che si compenetrano, si fondono oppure si respingono, creando forme astratte che nascondono dei “superstiti figurativi”. The king is gone but he’s not forgotten: il re se n’è andato ma non è dimenticato…come quella silhouette da sirena che si staglia, di profilo, giocando con il blu, il viola, il verde e scaglie giallastre.
Nella serie “Pensieri verticali” compaiono ali di farfalla o falena, mentre in Lizard, tela molto più piccola delle altre ma allo stesso tempo più materica, la sovrapposizione della resina ritaglia la forma di una lucertola. «La società, per come la vedo io, è una specie di mastodontico apparato digerente, che tritura qualunque cosa gli entri nella bocca. Questo smisurato appetito può ingollare un Botticelli in un sol boccone, con una voracità da terrorizzare tutti tranne il guardiano di uno zoo» scriveva Morton Feldman, compositore newyorkese dal cui libro viene ripresa l’espressione “Pensieri verticali” per intitolare le sei tele di uguale dimensione.

Beatrice Gelmetti considera questo libro un «piccolo totem che offre una visione della musica e della composizione che trovo molto affine alla mia pittura, Feldman parla di elaborati musicali pensandoli affiancati a immagini… ha vissuto negli anni Cinquanta a New York nel pieno fermento della pittura. Attraverso l’uso di linguaggi diversi si può mutare in continuazione, senza accontentarsi di scelte stilistiche fisse e senza ripetersi, bensì sperimentando continuamente».
A gennaio scorso, Beatrice non sapeva ancora di essere in dolce attesa, l’ha scoperto a maggio. Da quel momento, una nuova determinazione l’ha guidata: il desiderio di fare 12 quadri cambiando la maniera di dipingere, usando meno olio e più acrilico e gesso. I colori a olio necessitano l’uso di acquaragia e trementina che sono nocive per chi sta affrontando una gravidanza, si suggerisce infatti solo l’olio di lino. Tutte le opere in mostra, tranne Lizard, sono state dipinte durante il periodo di gestazione.

L’allestimento della mostra, orchestrato dalla gallerista, rispecchia la divisione in lato A e lato B del vinile. Così il curatore Francesco Liggieri – artista, curatore indipendente e giornalista di base a Venezia – e l’artista hanno pensato alla chiave di volta: l’onda di movimento che creano i dipinti distaccandosi e aderendo alla parete rievoca il suono che entra in Delay, creando un’eco, facendoci passare dalla chitarra acustica all’elettrica.
La prima parte di opere sono racchiuse nell’insieme delle “acustiche”. Come spiega il curatore, sono più intime e riflessive con “tonalità morbide e texture lievi”, aderiscono soprattutto alla parete bianca della galleria. Il secondo corpus di opere si ispira al lato “elettrico” della musica: i dipinti sono lievemente staccati dalla parete grazie a dei ganci. Si differenziano anche perché sono più intrisi di colore o per la presenza di sabbia e terriccio. Intermezzo, una tela molto grande (200 x 290 cm), ad esempio, grazie al lieve distacco dalla parete, sembra andare incontro al fruitore che si affaccia dall’esterno della galleria.

L’artista ci spiega: «Le tele elettriche sono figlie, a livello cromatico, di scelte più stridenti e meno armoniche, nonostante l’immagine finale risulti equilibrata. Ho voluto inserire tonalità che vanno in contrasto, soprattutto in Pensieri Verticali: ricorre sempre un giallo fosforescente che, in ogni immagine, svolge un ruolo diverso ma non si nota immediatamente. Imposto l’immagine partendo da due o tre colori che non sempre concordano (anche i primari). Poi, con l’inserimento di un elemento figurativo e l’alternarsi dei vuoti con i pieni cerco di creare ponti visivi, una rete cromatica di accordi».
La mostra parla di resilienza, di come guardare avanti al futuro con positività. «Entrando in galleria si apprezza una sensazione di pace», secondo il curatore. L’arrugginire sembra un processo che svalorizza la materia ma, in verità, favorisce la trasformazione. «Si può scegliere di ripulire il metallo o di lasciare e accogliere il deterioramento — anche nel design si sta affermando questa linea —. L’ossidazione, a volte, crea delle sedimentazioni che rafforzano l’oggetto e se si blocca in uno stadio specifico può creare una corazza, invece di distruggerlo», conclude Gelmetti.

Beatrice Gelmetti, La ruggine non dorme mai
fino al 9 novembre
a cura di Francesco Liggieri
Marina Bastianello Gallery – via Pascoli 9C, Mestre (VE)
info: www.marinabastianellogallery.com