Pastificio Cerere, 20 anni di aperture verso infiniti mondi artistici

In occasione del suo ventennale, abbiamo intervistato il direttore artistico Marcello Smarrelli, che racconta di uno spazio sempre più internazionale e dedicato a giovani talenti

Fucina di creatività nel cuore di Roma, trampolino di lancio per personalità innovative in un contemporaneo – fortunatamente – sempre più presente nella Capitale. Pastificio Cerere esiste come luogo che prima ancora dell’arte, pone l’artista al centro del suo fare propulsivo: la Fondazione è la storia di un’arte osmotica e interdisciplinare, frutto di una contemporaneità che oggi più che mai, ci riserva la dimensione del confronto.

È il 1905 quando la struttura apre le porte come Molino e Pastificio intitolato a Cerere, dea dell’agricoltura, con una storia che prosegue fino al 1960, anno della dismissione. Solo nel 1973, il più importante reperto di archeologia industriale di San Lorenzo inizia la sua vera riconversione: da fabbrica a laboratorio artistico. Nelle aride vesti industriali, l’arte si fa luce fra montacarichi e macchinari metallici e il pastificio inizia così ad accogliere i primi artisti emergenti: Nunzio Di Stefano e Giuseppe Gallo sono i primi a stabilire i propri studi. Sono numerosi i protagonisti che nel corso degli anni abitano i suoi spazi e ne esperiscono il passato. Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Marco Tirelli, Piero Pizzi Canella fino ai giorni attuali, con Corinna Gosmaro, Riccardo Benassi, Leonardo Petrucci, Davide Stucchi, Margherita Moscardini: un’ingente eredità culturale che continua a sopravvivere tra pareti che, seppur non convenzionali, sono ormai da tempo rifugio d’arte.

Nel 1984 con la mostra Ateliers curata da un allora giovane Achille Bonito Oliva, il Pastificio apre al grande pubblico che scopre da vicino l’esperienza emergente nel quartiere. Pochi anni prima, nel 1976, Brian O’ Doherty divulgava sulla rivista «Art Forum» una raccolta di saggi dal titolo Inside The White Cube dove indagava le modalità attraverso cui un centro espositivo influenza l’oggetto dell’arte e riesce, in qualche modo, ad eternizzare l’arte stessa: uno spazio che si è dilatato fino a coincidere con il luogo fisico tout court (studio d’artista, installazione, museo, galleria, luogo di formazione), riflesso primario di una realtà tangibile e concreta. Pastificio Cerere è la sintesi di tutto questo: fra le vissute mura di San Lorenzo gli artisti e i curatori giocano con lo spettatore, coinvolgendolo e a volte disorientandolo. I meccanismi di esposizione si sostituiscono all’arte e il contesto diventa concetto, in un modo di intendere l’operare artistico come apprendimento, crescita culturale e territoriale, apertura verso il mondo. Una pedagogia dell’espressione libera, esito tangibile di un fine educativo negli anni sempre più coinvolgente. Nel 2002 si fa strada l’idea di dotare l’edificio di una Fondazione – poi nata nel 2004 – per volere del suo attuale presidente Flavio Misciattelli, che vede Claudia Cavalieri nel ruolo di direttrice e dal 2011, Marcello Smarrelli come direttore artistico. 

Quest’anno l’ente celebra il ventennale dalla sua istituzione con una serie di novità. Tra queste, una nuova area espositiva che riapre al pubblico una parte inedita della fabbrica storica e due mostre affidate alla curatela di Marcello Smarrelli: Angels. Cinquant’anni di storie del Pastificio Cerere e Anche il sole sorge, di Wang Yuxiang. E se comprendere le mostre di un luogo equivale anche a riconoscerne la poetica visuale, l’effetto delle esposizioni della Fondazione Pastificio Cerere non scade mai nella ridondanza espressionistica quanto al contrario, a quello di un’immagine collettiva capace di penetrare nei nostri recessi e di risuonare autentica, nel flusso di un’arte che troppo spesso, al giorno d’oggi, inganna.

Pastificio Cerere è uno spazio fondamentale per la diffusione del contemporaneo nella Capitale, esempio anche per altre fondazioni nate successivamente. Come si pone oggi all’interno del tessuto artistico romano?

Nel cuore di San Lorenzo, diventato da qualche anno l’art district capitolino, la Fondazione Pastificio Cerere è un “opificio del contemporaneo” nato da uno dei più riusciti esperimenti di rigenerazione urbana, che promuove la libertà di espressione e la sperimentazione di linguaggi artistici eterogenei.  Dalla sua istituzione nel 2004, grazie a Flavio Misciattelli che ne è il presidente, abbiamo avviato una regolare programmazione che ha visto la realizzazione di una miriade di progetti, residenze per artisti e curatori, attività didattiche, facendone uno dei luoghi più vivi della scena artico-culturale metropolitana e contribuendo a dare una visione più contemporanea di Roma. Con le iniziative realizzate in occasione dei 20 anni di attività, la Fondazione conferma la determinazione nel proseguire il suo ruolo di istituzione sempre più internazionale dedicata alla produzione artistica contemporanea, un hub culturale, spazio di incontri e scambi dedicato soprattutto ai giovani artisti.

Sin dalla sua istituzione ha sempre ospitato una pluralità di linguaggi artistici internazionali e non. Che rilevanza ha avuto e continua ad avere il luogo nel percorso di crescita degli artisti ospitati al suo interno?

La Fondazione ha sede nell’ex Pastificio Cerere, fabbrica divenuta celebre grazie al lavoro degli artisti del “Gruppo di San Lorenzo” che per primi hanno riconosciuto le potenzialità di questo luogo dismesso, decidendo di trasferirvi i propri studi. Erano gli anni Settanta e da quel momento fino ad oggi gli spazi industriali furono progressivamente convertiti in atelier, diventando un punto di riferimento nella scena culturale di Roma e una fucina di creatività interdisciplinare fortemente recettiva alle novità e all’avanguardia artistica. Gli artisti hanno trovato nel Palazzo non solo una dimensione creativa in cui potersi esprimere in piena libertà, ma una comunità di riferimento con cui confrontarsi, scambiare idee ed esperienze. Credo che il genius loci del Pastificio Cerere abbia avuto un’influenza determinante nel percorso di crescita degli artisti che lo hanno vissuto e “attraversato”, influenzando di conseguenza il percorso professionali degli artisti che hanno lavorato con noi. Ci piace pensare alla Fondazione come un “trampolino di lancio”, idea consolidata sempre più negli anni anche dall’esperienza del programma di residenze 6ARTISTA. Progetto per giovani artisti e dal progetto parallelo di residenze per curatori. Hanno vinto il Premio 6ARTISTA: Riccardo Benassi, Tomaso De Luca (I edizione); Adelita Husni-Bey, Elisa Strinna (II edizione); Francesco Fonassi, Margherita Moscardini (III edizione); Davide Stucchi, Helena Hladilová (IV edizione); Thomas Berra, Corinna Gosmaro (V edizione), mentre tra i curatori abbiamo avuto figure come Vincenzo De Bellis e Michele D’Aurizio. Successivamente, la Fondazione ha diversificato i suoi programmi di residenza, ospitando anche artisti stranieri grazie a relazioni con enti culturali internazionali. Allo stesso tempo ci siamo impegnati anche nella promozione dell’arte italiana all’estero, applicando il dispositivo delle residenze in diversi progetti: tra i più recenti, Inventory. The Fountains of Za’atari (2018), per cui Margherita Moscardini ha lavorato in Siria e Giordania, Crisalidi (2020) per cui Namsal Siedlecki ha lavorato in Nepal – entrambe realizzati grazie al contributo dell’Italian Council – e Kiribati (2019) che ha visto Antonio Fiorentino impegnato nell’omonimo arcipelago dell’Oceania, quest’ultimo realizzato con il sostegno del MiC e di SIAE.  

Non solo officina del contemporaneo ma anche centro educativo, fra residenze artistiche, workshop e sede dislocata di università come la RUFA. Da questo punto di vista qual è la sua importanza nel panorama accademico?

Nella mission della Fondazione Pastificio Cerere vi è un’attenzione particolare alla sperimentazione e a tutte le attività rivolte alla formazione. Non potrebbe essere diversamente se si considera la storia dell’edificio in cui ha sede la Fondazione e al susseguirsi delle generazioni di artisti che qui continuano a vivere o a transitare, come assistenti di altri artisti, per un periodo di residenza, per una mostra o un progetto, per una semplice visita agli studi. Per dare humus a questa terra felix, la Fondazione propone ogni anno un ricco programma di mostre, laboratori didattici, progetti formativi, premi e residenze, che favoriscono l’interazione dei linguaggi artistici contemporanei, la sperimentazione di nuove modalità d’intervento e partecipazione, stimolando un dialogo aperto con pubblici sempre più eterogenei. In quest’ottica Curare l’educazione? – un programma che ho iniziato nel 2011 e rivolto agli studenti di ogni ordine e grado – ha sviluppato un modello di apprendimento che utilizza l’arte come strumento della didattica, mettendo l’artista al centro del percorso formativo, con l’ obiettivo di far comprendere ai partecipanti le dinamiche sociali, di sviluppare un livello più consapevole di comprensione e integrazione, di acquisire e condividere idee, informazioni e conoscenze in modo democratico, promuovendo una partecipazione attiva alla vita delle comunità di riferimento. Nell’ambito di questo programma sono state attivate molte collaborazioni con le scuole, le accademie e le università, sia sul territorio cittadino che su quello nazionale.

In questo 2024 la Fondazione celebra i suoi 20 anni di apertura anche con una nuova area espositiva progettata dallo studio romano STARTT, dimostrando ancora una volta il suo interesse nei confronti dell’architettura, in special modo quando si confronta con l’arte contemporanea.

Spesso ci dimentichiamo che persino nella classificazione accademica rinascimentale le arti maggiori si dividevano in pittura, scultura e architettura. Io come storico dell’arte non l’ho mai dimenticato nei palinsesti delle istituzioni che dirigo. Mi interessava coinvolgere lo studio di architettura STARTT, scelta condivisa con la Presidenza, per la capacità dei loro progetti di far dialogare le forme della storia con quelle dell’architettura contemporanea, lavorando in contesti di grande valore, restaurando l’esistente affiancandolo ad elementi nuovi e funzionali. A Roma il susseguirsi delle generazioni, ognuna coi suoi interventi, ha stratificato i livelli della città producendo un palinsesto bellissimo e unico al mondo. Il modus operandi di STARTT mi sembra in continuità con questo elemento caratteristico della Capitale, la loro firma progettuale. Volevamo che i nuovi spazi richiamassero la storia dell’ex Pastificio, ma allo stesso tempo potessero dialogare con il contemporaneo. Il progetto di ampliamento è il primo passo di un più ampio quadro di trasformazione dell’ex Pastificio di San Lorenzo. I nuovi ambienti estendono gli spazi espositivi fino all’ingresso del complesso ex industriale, creando una relazione diretta con la strada, ripensate e distribuite in una sequenza narrativa che ruota intorno all’invenzione e reinvenzione della galleria, dal white cube al black box, passando per lo spazio cavo. Inoltre, sono state recuperate le memorie della fabbrica, riportando alla luce le strutture in ghisa e gli impalcati in legno, tutte le sale coinvolte sono. Nel nuovo assetto tutto è espositivo, superando la separazione tradizionale fra ambienti serviti – le sale del pubblico – e ambienti serventi – bagni, magazzini, corridoio, ecc.  Anche i passaggi di collegamento e gli annessi diventano spazi inediti di sperimentazione, dove si potrà esplorare la relazione tra l’opera dell’artista e il corpo del visitatore.

Tra gli altri eventi, anche due mostre da lei curate che verranno inaugurate ad ottobre come quella sull’artista cinese Wang Yuxiang. Da cosa nasce questa scelta?

Anche il sole sorge, di Wang Yuxiang (Anhui in Cina, 1997), mostra realizzata con il sostegno del MiC e di SIAE nell’ambito del programma “Per Chi Crea” presenta un nuovo corpus di opere composto da tre installazioni site-specific con cui l’artista indaga il concetto di entropia, inteso come complesso sistema di relazioni tra uomo e natura. La scelta di invitare questo giovane artista di origine cinese, che venuto a Roma per formarsi ha trovato al Pastificio Cerere un luogo accogliente dove fare esperienza, conferma l’impegno costante della Fondazione nel sostegno e nella promozione del lavoro delle nuove generazioni di artisti, segno tangibile di quella catena millenaria, mai interrotta, con cui gli artisti delle generazioni precedenti passano il testimone a quelle successive. Per celebrare i 20 anni della Fondazione Pastificio Cerere e i 50 anni di vita artistica del palazzo in cui ha sede, che ha ispirato e guidato le nostre attività in questi anni, abbiamo deciso di chiamare in causa addirittura gli angeli, attraverso il titolo della celebre serie che Francesca Woodman realizzò negli spazi della fabbrica dismessa. Angels infatti è il titolo della grande collettiva che inaugurerà i nuovi spazi, riferendosi anche a quell’angelo che finisce per rivelarsi “necessario”, come lo definisce Wallace Stevens nei versi della sua sublime lirica. Un angelo che educa, che conduce a una conoscenza diversa da quella che si sviluppa in rapporto al visibile, che testimonia il mistero in quanto mistero, trasmette l’invisibile in quanto invisibile, non lo tradisce per i sensi. In questa ottica gli angeli a cui ci riferiamo sono gli artisti stessi, tutti quelli che in questi anni hanno animato la vita del palazzo e tutti quelli che verranno.

Prima della nascita della Fondazione nel 2005, gli spazi dell’ex Pastificio Cerere accoglievano artisti appartenenti alla stessa generazione. Nell’estate del 1984 una mostra di Achille Bonito Oliva rendeva celebre il luogo. Rispetto a 40 anni fa come è cambiato l’approccio della curatela nei confronti di centri espositivi non convenzionali come questo?

Ateliers apriva per la prima volta le porte degli studi degli artisti e fu un momento importante che consacrò e in qualche modo presentò il Pastificio Cerere alla città. La Fondazione Pastificio Cerere ha sempre promosso il dialogo con gli artisti residenti nel Palazzo, ma nella piena autonomia reciproca, portando avanti un progetto curatoriale indipendente rispetto agli inquilini del Palazzo. Le nuove metodologie di progettazione e produzione culturale, che qui sperimentiamo quotidianamente, sono sempre il frutto di un insieme di processi articolati, che prendono forma dai cambiamenti sociali, politici e dalle esigenze delle comunità. In questo senso Achille Bonito Oliva con Ateliers, rendendo il processo di produzione artistico e la vita stessa dell’artista parte fondamentale dell’opera, della sua funzione e del suo significato, ha fornito un modello di lavoro per i curatori che sono diventati sempre più “compagni di strada” degli artisti. Negli anni abbiamo progressivamente intensificato il dialogo con le realtà presenti nel quartiere e con gli stakeholder di riferimento con l’obiettivo di coinvolgere maggiormente la cittadinanza, offrendo anche attività basate sulla relazione e partecipazione, intese come strumenti privilegiati per la crescita personale e delle comunità. Il Pastificio Cerere per sua natura è sempre stato predisposto all’accoglienza, alla sperimentazione, alla condivisione. Oggi più che mai credo sia di fondamentale importanza dare un segno di apertura concreta verso la città, verso l’intera comunità artistica, verso il mondo.

info: Fondazione Pastificio Cerere

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