TAFF, la terza serata tra espressionismo e guerra

La storia di Joan Mitchell e l'attenzione all'arte in tempi di guerra sono stati al centro delle proiezioni del TAFF alla GNAM

Due pellicole internazionali sono state le protagoniste della terza serata dell’Art Film Fest (TAFF), una rassegna organizzata da Inside Art e GNAM sul documentario d’autore. «L’iniziativa – ha spiegato il direttore ed editore di Inside Art Guido Talarico – rientra nelle celebrazioni dei vent’anni del magazine. Si tratta di un’occasione unica per sottolineare l’importanza del messaggio culturale e delle sue diverse forme. Quest’anno lo abbiamo fatto con tre eventi: accanto al TAFF abbiamo realizzato The Art Symposium, oltre al nostro storico Talent Prize. Le tre iniziative hanno l’obiettivo di valorizzare il sistema contemporaneo italiano».

Due le opere straordinarie presentate nella serata del 12 settembre, che «toccano – ha affermato Talarico – temi poco conosciuti in Italia». Ad aprire le proiezioni è stato Joan Mitchell – A Woman In Abstract, diretto da Stéphane Ghez e realizzato in coproduzione da Artline Films – ARTE France – La Fondation Louis Vuitton – AVROTROS. Il documentario narra le vicissitudini di Joan Mitchell, una delle poche pittrici del movimento espressionista astratto americano. Nella New York degli anni Quaranta, accanto a Pollock, De Kooning e Franz Kline, e poi in Francia, dove visse dal 1959, questa straordinaria artista sviluppò un corpus di opere unico al crocevia tra astrazione e impressionismo, tra Francia e Stati Uniti. Lo scrittore Paul Auster, la compositrice Gisèle Barreau e personalità del mondo dell’arte parlano della Joan che hanno conosciuto personalmente e della sua ricerca visiva, frutto di emozioni e sensazioni profonde.

Il secondo film della serata del TAFF è stato L’arte della guerra, diretto da Marco Spagnoli, anche presente in sala, e Tiziana Lupi. Prodotto da Art Film Kairos in collaborazione con Rai Documentari, il film è stato girato tra Italia e Ucraina e segue il lavoro di coloro che, all’indomani dello scoppio della guerra, si attivarono immediatamente, anche a rischio della propria vita, per mettere al sicuro le opere d’arte.

Nel documentario si cerca anche di capire perché, in tempo di guerra, la distruzione e il saccheggio delle opere d’arte sia uno dei primi obiettivi degli eserciti invasori, nel tentativo di eliminare la cultura di una nazione, cancellarne la memoria e annientarne l’essenza. Di fronte all’orrore della distruzione, la storia offre anche uno spaccato del profondo rapporto artistico tra l’Italia e l’Ucraina, oltre che con il resto dell’Europa. Inoltre, tornando agli anni della Seconda guerra mondiale, il documentario rivela come anche gli italiani abbiano dovuto difendere il loro vasto patrimonio artistico e come abbiano imparato a farlo, conquistando alla fine una vera e propria leadership in questo settore, che oggi mettono al servizio del popolo ucraino.

«L’arte della guerra è un film che parla di guerra in una chiave di lettura di questo conflitto che è molto diversa» afferma Guido Talarico introducendo il regista Marco Spagnoli interviene partendo da una importante considerazione: «cosa succederebbe se vi dicessi che siete un bersaglio strategico? È proprio quello che sta succedendo in Ucraina. Personalmente, mi occupo di cinema da tanti anni e sono anche un giornalista. Ciò che però più mi ha colpito è quando in questa guerra, alcuni missili hanno danneggiato un museo a 50 km di Kiev: non serve essere un esperto in tecnologie militari per comprendere che era impossibile sbagliarsi: i musei vengono strategicamente colpiti. Vi è addirittura un programma al museo egizio di Torino che insegna ai colleghi ucraini a proteggere le opere arte, tecnologia tra l’altro sviluppata in Italia durante la seconda guerra mondiale. Il nostro intento non è mai stato quello di fare un reportage, ma la storia di come l’arte sia obiettivo strategico in Ucraina come altrove e come lo è anche in altri paesi del mondo. Volevo riflettere anche sul tema del saccheggio e della distruzione: distruggendo la cultura si distrugge il futuro. Il nostro è il racconto di chi oggi in Ucraina non sta al fronte ma sta combattendo nei musei per preservare qualcosa che è intangibile e impalabile, ovvero l’identità: se distruggi la cultura e l’arte di un popolo, quel popolo non esisterà più. Per noi l’opportunità era raccontare questa storia, ciò che in Italia spesso non viene detto. Abbiamo cercato di illustrare come la conoscenza viene comunicata per proteggere l’arte. Lo scopo di questo documentario è proprio quello di farci vedere e comprendere, capire qualcosa che altrimenti sfugge alla cronaca attuale. Abbiamo raccontato qualcosa di straordinario, andando, ai tempi delle riprese, in qualunque posto dell’Ucraina, celebrando la storia di persone che combattono una guerra in modo diverso, per preservare non il presente ma il futuro».

Qui tutto il programma completo.