Studio Wicar è un’importante iniziativa culturale della città di Lille legata a Roma. Dal 1862 ogni anno, il Dipartimento di Arti visive di Lille consegna previo concorso, tre borse di studio ad artisti francesi residenti a Lille per poter soggiornare tre mesi a Roma, nei pressi di Piazza del Popolo. Tra i borsisti di quest’anno, giunti ormai al termine della loro residenza, vi è anche Wilfried Dsainbayonne. Ad accompagnare l’artista nella sua ricerca su Roma per la realizzazione del suo progetto – che deve necessariamente avere un legame con la Capitale ‒ è Isabella Vitale, storica dell’arte e curatrice indipendente.

Da Studio Wicar, l’indagine artistica di Dsainbayonne indaga il connubio vitale che – fin dalle origini della città – connette Roma all’elemento acquatico. Le fontane, caratteristica imprescindibile del panorama romano, sono parte dell’immaginario folkloristico europeo, collegate all’idea che l’acqua sia dimora di divinità. Come l’artista spiega, a rendere peculiare la sua esplorazione a Roma «è la ricerca di significati nei luoghi entro cui si esprime un desiderio, quell’intento che contraddistingue l’azione», tra aspirare, possedere, immaginare. Risultato in fieri del suo atto atto creativo, è un modellino di una piccola fontana realizzato di polistirolo apposta su un materiale che ricorda l’acqua. Una carta di credito sfiora la singolare vasca: facile indovinare l’intento del desiderio concretizzato nell’espressione artistica.

Tra gli altri progetti nell’atelier romano, tre contenitori aperti che alludono alle conchiglie e racchiudono tre singoli rami. Attraverso un incisore laser, Dsainbayonne imprime unità di misura reali sui legni sinuosi, scabrosi e imperfetti, trovando l’espediente attraverso cui comunicare con la macchina. Una misurazione non reale ma assolutamente illusoria, che diventa autentica e tangibile nel momento in cui diventa materia davanti ai nostri occhi. Nei suoi lavori si insinua sempre un dubbio a cui seguono numerose domande, “è uno strumento di misurazione reale?” “si tratta di conchiglie?”. Spesso però, le risposte non si trovano, come un motivo senza il suo perché. E allora non resta che cercarle.


Gli oggetti che l’artista utilizza sono sottratti alla loro funzione ordinaria e resi altro rispetto al loro abituale disegno. L’idea è molto vicina al concetto di trouvaille di cui André Breton ci parlava nel secolo scorso: l’incontro casualmente intenzionale con l’oggetto, un principio di eccedenza della forma rispetto al valore, che crea miriadi di associazioni visive nella mente di chi guarda. Più avanti, l’artista mostra un telo affisso alla parete, su cui è stato stampato un fotogramma che riprende la macchina del padre, ferma in un parcheggio: sul cruscotto, una rosa rossa. «È il racconto della storia d’amore fra i miei genitori» spiega- «ma anche di un rituale che diventa feticcio, ossessione. Ricreare un momento ed essere sempre, in qualche modo, altrove». La sua arte è in grado di ricreare sensazioni assurde, il sentirsi sempre in posti in cui non si vive, il vivere in tempi già trascorsi o non ancora avvenuti.

«Détournement e fluidità: sono questi gli aggettivi» – afferma Isabella Vitale costantemente presenti nella poetica di Wilfried». Il suo è un lavoro fluido, senza alcuna frattura o brusca rottura. Al contrario, i suoi innumerevoli segni artistici – che spaziano dall’installazione alla fotografia – sono armoniosamente continuativi, articolati nel messaggio che significa e ri-significa tutta la sua produzione. Il risultato è quello di un’arte in cui è innato il senso personale, che diventa collettivo nel momento in cui il pubblico entra a contatto con la sua opera. La morbidezza e la malleabilità tipica dei suoi materiali, fa sì che ci sia un percorso coerente e logico dal punto di vista del suo pensiero: una incessante e continua riflessione sulla forma e con ciò che contiene, su una assenza presentificata tra ciò che è stato, ciò che è e ciò che un giorno sarà. Le sue opere sono persistenti epifanie, velate scoperte di un fare artistico volutamente non finito.

Un’incompiutezza che non appare come dichiarazione di sconfitta, ma al contrario negazione che apre infiniti mondi, proprio come le origini dell’artista, dal Congo alla Francia. È assai labile il confine attraverso cui Wilfried si muove tra «standardizzazione e diversità», una ricerca di identità che crea, distrugge e fortifica l’affascinante equilibrio di una creatività che continuamente, si lascia scoprire. Nell’arte di Dsainbayonne la forma non è più racchiusa entro banali mura della percezione, ma assume carattere autonomo, potente, causale ed imprevedibile, non cessando mai di mutare.