Sublimazione, a Varsavia la personale di Marco Angelini

Ospitata nella Galleria Test, la mostra unisce la ricerca dell'artista sulla memoria a riflessioni ispirate dai filosofi del passato

Fino al 10 luglio, la città di Varsavia ospita un’ampia mostra personale dell’artista Marco Angelini, molto attivo nel panorama internazionale (da Londra ad Abu Dhabi) e particolarmente noto sulla scena artistica romana, dove nel 2019 è stato protagonista – tra le tante esposizioni realizzate in spazi pubblici e privati, musei e gallerie – anche di un’importante collettiva promossa da Inside Art, da Fondamenta Gallery, dall’evocativo titolo Hic et Nunc – Tempo Presente, assieme agli artisti Luca Coser, Maurizio Pierfranceschi e Vincenzo Scolamiero. 

La mostra polacca, dal titolo Sublimazione (“Sublimacja”), è curata da Jan Kozaczuk ed è ospitata nella Galleria Test, fondata nel lontano 1985 ed incorporata nel 2002 nel Mazowiecki Instytut Kultury a Varsavia, prestigioso spazio pubblico aperto a varie forme di creatività, prevalentemente pittura ma anche grafica, disegni, installazioni e performance, realizzati da artisti conosciuti, mid-career ed emergenti del panorama nazionale ed internazionale. Qui Angelini arricchisce la sua ricerca decennale sulla memoria unendovi una riflessione articolata sul dolore e sulla luce, ispirandosi nientemeno – e nel farlo attinge naturalmente da una solida formazione personale di matrice filosofica e sociologica – ad Epitteto, Cartesio e Freud. Egli sostiene che «il dolore collega la memoria, mescolandosi diventa un’altra dimensione e così si cura», e attraverso l’astrazione e la simbologia trasferisce questo assunto nelle sue opere, in particolare nella serie realizzata con le lamette da barba e nei lightbox (questi ultimi, una vera novità per l’artista romano).

Angelini è solito incastonare nelle sue opere oggetti di uso comune – in questo caso, le lamette – che si diluiscono sulla tela per dare un nuovo significato alla realtà, attraverso il recupero più o meno esplicito di un passato che si trasfigura per dare vita ad un nuovo presente. La memoria e l’attualità sono, quindi, due facce di una stessa dimensione. A proposito di questo ciclo di opere, scrive il curatore che «(…) richiamano esperienze dolorose che plasmano le nostre vite. Tuttavia, pur trattando il tema del dolore, non trasmettono vibrazioni negative, ma portano salvezza e purificazione». 

La poetica angeliniana, in sostanza, può essere immaginata come un contenitore prismatico, che racchiude nel suo unico spazio interno multiple realtà, o meglio che scompone una medesima realtà in percezioni infinite, chissà quanto concrete e quanto immaginarie. Suggestioni che riportano alla luce gesti, suoni, odori e emozioni. Astrazioni che nascono da una sinfonia di colori, forme antropomorfe «che ci svelano mondi che risiedono sotto la superficie, come microrganismi nell’obiettivo di un microscopio» (J. Kozaczuk).

L’arte di Marco Angelini in mostra a Varsavia si alimenta di oggetti, siano essi cravatte o ganci di una tenda da doccia: oggetti di uso comune, che hanno assolto da tempo la loro funzione primigenia, e che l’artista recupera sia per la loro valenza estetica (a volte assolutamente indipendente dall’utilizzo per il quale erano stati creati), sia per il carico di significato ad essi intrinseco, peraltro non sempre immediatamente intuibile al primo sguardo. Nell’incastonare tali prodotti all’interno delle proprie opere, Angelini assolve una duplice funzione: dona ad essi una nuova vita e una rinnovata dignità, trovando in questo illustri predecessori nella storia dell’Arte (Duchamp, Burri, Manzoni, gli esponenti del Nouveau Réalisme come Arman e Spoerri, Mimmo Rotella…), ma nel contempo indaga anche il peculiare rapporto che essi hanno con il tempo, inteso come «un costante divenire, – spiega l’artista – una trasformazione incessante da ciò che era a ciò che sarà, passando per l’attuale, il presente». 

Marco Angelini

In questo senso, di particolare attrattiva – e, come detto, inediti nell’universo creativo di Marco Angelini – sono i lightbox, realizzati utilizzando delle radiografie, su cui l’artista interviene con la pittura. Grazie alla fonte luminosa retrostante, queste opere diventano il terreno su cui sperimentare le infinite potenzialità della luce, nello svelare, esaltare, ma anche, all’opposto, nel celare e rendere invisibile. È un gioco di contrasti e chiaroscuri che stimola l’immaginazione e accende la curiosità intellettuale dello spettatore.

In sintesi, la mostra Sublimazione – per dirla con le parole del curatore – è un viaggio nel «labirinto della psiche umana, dove luce e ombra, forma e contenuto si intrecciano in una straordinaria narrazione sulla vita e sull’esistenza, (…) permettendoci di scoprire nuovi significati e interpretazioni del mondo che ci circonda».

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