All’Istituto della Pietà il potere dell’arte per i più fragili

Con ERA - Ecosostenibilità, Ricerca, Arte, l’artista rumena Victoria Zidaru costruisce una lingua ignota che mette in contatto l'umano e il divino

In concomitanza con la 60. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, nel cortile dell’Istituto della Pietà è stato allestito il progetto site-specific dell’artista rumena Victoria Zidaru, dal titolo Lingua Ignota, visibile fino al 29 settembre. 

Il lavoro è stato voluto da ERA – Ecosostenibilità, Ricerca, Arte, ente non profit fondato da Adina Drinceanu, curatrice della mostra, insieme con Jerome Bellavista Caltagirone e Filippo Perissinotto nel 2021, la cui mission è la realizzazione di progetti culturali ed ecosostenibili dedicati allo sviluppo e al supporto di comunità fragili: ERA crede nel potere dell’arte e della cultura come strumenti per trasformare le comunità ed educare e mobilitare le persone verso azioni concrete per un mondo più equo e sostenibile.

Lingua Ignota mette in luce la visione artistica di Zidaru, la quale ha reinventato e superato i paradigmi storici dell’arte tessile integrando texture vegetali e olfattive con elementi concettuali. Il suo approccio multidisciplinare, perfettamente in linea con gli obiettivi dell’ente no profit, comprende installazioni su grande scala, sculture, performance, azioni, in una ricerca artistica dedicata alla cura dell’ambiente, alla dimensione spirituale e alla collaborazione tra le persone, per affrontare in modo più efficace le problematiche legate all’ambiente e alla giustizia.

«Victoria Zidaru – racconta la Drinceanu – è un’artista che da decenni esplora temi come la connessione tra l’uomo, la natura e la guarigione, gli stessi temi che ha inserito nella mostra. La sua pratica multisensoriale, gli aspetti concettuali e l’utilizzo del materiale vegetale rispecchiano a pieno la nostra missione. L’obiettivo era creare un lavoro con una forte caratteristica sociale e partecipativa, capace di costruire ponti con le diverse comunità, in particolare quella veneziana dell’Istituto».

Il risultato sono stati dei grandi arazzi vegetali con forti proprietà olfattive, realizzati con corde di erbe aromatiche intrecciate, provenienti sia dalla Romania che dalla laguna veneta, tra cui finocchio, anice, basilico, ortica, cardamomo, camomilla, salvia, liquirizia e altre, i quali invadono e trasformano gli spazi del giardino. Alcune parti dell’opera sono frutto di una performance immersiva, che si è tenuta ad aprile presso gli Archivi della Misericordia, in cui due danzatrici, accompagnate dalla melodia di un violoncello e dal canto dal vivo di un soprano, hanno realizzato delle liane utilizzando erbe medicinali e profumate. «L’opera riflette sulla polarità intrinseca nella relazione tra l’uomo e il suo ambiente – racconta l’artista – Ho creato un’installazione site-specific composta da due elementi principali che rappresentano due fonti opposte ma conviventi: una composta da cordoni vegetali, foglie di quercia canadese intrecciate su un supporto di filo di canapa, per un totale di circa 200 metri di cordoni che rappresentano il mondo naturale; l’altra fonte è composta da circa altri 200 metri di cordoni intrecciati da giornali contemporanei su un supporto di filo di plastica, che rappresentano il mondo moderno accelerato dalle ideologie dell’innovazione, dell’immediatezza e dalle tecnologie digitali, e la difficoltà degli individui nel mantenere il passo con i rapidi cambiamenti sociali ed economici. Il significato di questa metafora multisensoriale, in cui si intrecciano il visivo, il sonoro, il tattile, il movimento e l’olfattivo, è un interrogativo sempre più urgente sulla capacità dell’uomo di distinguere tra il bene e il male».

«Victoria – continua la curatrice – così come per tutti i suoi lavori, cura con dedizione ogni aspetto dell’opera: dai materiali vegetali, di cui studia la provenienza e sceglie per ragioni concettuali specifiche, al pubblico al quale sono destinati i suoi lavori, passando per la scelta delle parole. Conosce in profondità la stoffa vegetale perché la maneggia, la crea e con essa stessa crea. I suoi gesti diventano modelli metaforici per avvicinarsi alla sua vera matrice del suo atto creativo, di cura e guarigione». 

Il titolo Lingua Ignota trae ispirazione dagli scritti di Ildegarda di Bingen, una mistica visionaria medievale, ecologista ante litteram, che elaborò nel XII secolo un particolare sistema alfabetico per fini mistici, per esplorale più a fondo il legame tra i tre pilastri dell’esistenza umana: l’uomo, la natura e la divinità. Come spiega Drinceanu: «un tentativo precoce di costruire una lingua che trascenda i modi di espressione tradizionali, offrendo un mezzo per esplorare il divino e il mondo naturale». 

Continua la Zidaru: «Tanto allora quanto oggi, si avverte l’importanza di aggiornare e ripristinare questo legame e dialogo, che purtroppo nel corso del tempo è stato distorto e deteriorato. Lingua Ignota è stato scelto perché riflette il significato fondamentale delle mie ricerche, incentrate sul ripristino, sulla rinascita e sull’elevazione verso la legittima matrice del destino umano. Questa espressione può quindi coprire e ridefinire la nuova spiritualità verso cui l’umanità si sta progressivamente orientando». 

Per l’artista la natura è una seconda famiglia, importante tanto quanto quella composta dalle persone con cui vive. «Quando percepiamo la natura come una parte integrante di noi stessi – afferma Victoria – riconosciamo che ogni elemento vivente ci offre sostegno, guarigione e crescita. Gli alberi, le piante e gli animali non sono semplicemente risorse, ma esseri con cui condividiamo un legame profondo. Credo che la nostra vita quotidiana non debba essere separata dalla natura. In questo senso, ritrovare se stessi significa riconnettersi con la matrice originaria, rimanendo in stretta contiguità con il vivente. Così facendo, l’uomo sarà nutrito, protetto e guarito, senza neppure rendersene conto. Riconnettendosi all’intero, l’uomo torna a essere un elemento fondamentale della catena della vita, ristabilendo l’equilibrio interrotto. Ma come possiamo riapprendere ciò che abbiamo perso? Attraverso una lingua nuova, che è antica quanto l’umanità stessa. Lingua Ignota è un tentativo di riconnetterci con l’intero. Ci insegna a ritrovare la nostra vera famiglia, che comprende l’umanità, il mondo vegetale e animale. Ci insegna ad amare, a comprendere, a superare e a vincere l’oscurità. Il segreto di questa lingua è che attraverso la profonda connessione con la natura e il distacco dall’esaltazione del sé, si ottiene il dono della comprensione e della conoscenza, portando pace e armonia». 

Evento collaterale del progetto è la campagna Donate a word, un progetto artistico nato per condividere le parole buone e donarle alla collettività. Ispirata al rituale ancestrale rumeno del Descântec, e radicata nella convinzione dei poteri terapeutici delle parole, che prevede la guarigione di malattie fisiche e spirituali, soprattutto nei bambini, da parte di donne anziane attraverso la pronuncia di parole buone e semplici preghiere.

«Pronunciare parole benefiche e incoraggianti – racconta l’artista – può contribuire a una sorta di igiene spirituale, aiutando le persone a mantenere equilibrio e armonia nella vita quotidiana».
In pratica, Donate a word è una open call aperta a tutti, avviata lo scoro marzo da Victoria Zidaru con ERA, che invita letteralmente a donare una parola tramite il sito e i canali social dedicati. Alcune delle parole saranno trasformate in opere d’arte, finemente ricamate su tela e combinate con elementi naturali sigillati nella cera, alcune faranno parte dell’installazione Lingua Ignota o saranno regalate ai visitatori durante la mostra. 

L’aspetto sociale è stato ed è primordiale nel lavoro dell’artista: «Faccio arte per la necessità di comunicare. A mio avviso, l’arte ha un impatto sociale enorme, in particolare l’arte visiva, che accompagna l’uomo per tutto il corso della giornata. In questo modo l’arte non è solo un’espressione estetica ma può diventare anche un’arma o un mezzo con cui contribuire alla trasformazione delle dinamiche sociali. Credo di essere sempre stata interessata all’aspetto e all’impatto sociale, affrontando nei miei lavori temi con messaggi umanistici che parlano della solidarietà tra le persone, proponendo temi di riflessione su argomenti essenziali e spirituali, portando alla luce un nuovo approccio e posizionamento verso la natura, la sua protezione e il ruolo insospettato che può avere nella vita e nell’esistenza umana». 

Il progetto, che si avvale della collaborazione del poeta giamaicano Ishion Hutchinson, ha già visto la partecipazione dei bambini accolti dalla comunità veneziana dell’Istituto della Pietà, delle donne del villaggio rumeno di Liteni in Bucovina e da varie altre comunità e singoli individui in tutto il mondo.

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