Tanti possono essere i motivi e gli stati d’animo celati dietro un urlo: paura, rabbia, gioia, liberazione, entusiasmo, gioco, sofferenza e così via. Per Andrea Sampaolo l’urlo è un dono, cioè un atto gratuito in cui il bene donato diventa potente veicolo di relazione. Questa concezione rivoluzionaria è per l’artista necessaria in una società dominata dall’aggressività, in cui l’altro è percepito come estraneità minacciosa.
È urgente compiere gesti che restituiscano speranza e pace alle comunità e ai territori. L’urlo non violento ma deciso diviene portatore di un messaggio di rinascita, che cerca un nuovo equilibrio all’interno del contesto urbano e sociale della Capitale. «È un urlo di rilancio – racconta l’artista – quasi una trasmissione, come era nei quartieri negli anni 60. Un richiamare. Un riqualificare. Il desiderio di fare qualcosa di bello o di qualcosa che sta rinascendo. Uno start. Iniziamo e iniziamo ad urlare! Sopratutto i giovani, i quali devono ricominciare a essere indipendenti, perché il futuro sono loro ed è importante».

L’urlo da il titolo alla mostra ‘’URLO.Vibrazioni urbane’’, curata da Simona Gavioli, presentata negli spazi del Mattatoio, in cui Sampaolo attraversa lo spazio urbano di Roma e lo fa vibrare. L’esposizione, aperta al pubblico fino al 12 maggio, è influenzata dall’esperienza vissuta in America dall’artista, rappresenta, nel rispetto della mission del luogo che la ospita, un grido innovativo e provocatorio rivolto alla città.
È il risultato dei diversi linguaggi che da sempre caratterizzano l’esperienza creativa dell’artista romano. Street art, urban art, writing, graffitismo e muralismo, cultura Hip Hop, codici propri della galassia under-ground che in ‘’Urlo’’ vengono messi al servizio di una visione più articolata del rapporto tra soggetto e mondo.
L’idea di questa mostra nasce nel 2013, quando Andrea torna a Roma dopo essere stato a Miami. «Ci sono stato per quattro anni – afferma – nel momento fulgente della città dal punto di vista artistico e in cui il quartiere di Wynwood stava nascendo. Sono capitato nel momento giusto al posto giusto».
L’artista era volato in America nel 2010, dopo che il suo lavoro era stato selezionato da Poltrona Frau per il fuori salone Art Miami. Per quella occasione ha presentato 32 tele in cui rese omaggio all’avanguardia americana degli anni cinquanta e al graffissimo newyorchese. Il notevole successo che ebbe, lo spinse a trasferirsi a Miami. Furono anni di grande splendore per l’artista, come testimonia la mostra personale a New York City nel dicembre del 2013 e la monografia a lui dedicata realizzata da RaiTre Rai Educational nel gennaio del 2014.

Ma la saudade e il desiderio di stare tra le persone lo hanno spinto a tornare nella sua città d’origine. «Quando sono tornato – racconta l’artista – prima sporadicamente e poi in pianta stabile, ho trovato una Roma stanca, in stallo, più di quando ero partito. Ad agosto, passeggiando per la città, ho notato le paline delle pubblicità dismesse e ho immaginato di colorarle, così da dare colore ed energia a Roma stessa. Ecco come è nata l’idea della mostra. Ivana Della Portella (vicepresidente dell’Azienda Speciale Palaexpo) ha apprezzato il mio progetto e così ho potuto realizzarlo».
Il ritorno in patria non è stato facile, anzi: «È stata una cosa tremenda – afferma – è stato di forte impatto. Ed è stato più incredibile tornare che partire. La mia compagna mi ha fatto conoscere il buddismo e mi ha dato questa filosofia che mi ha aiutato. Io ho fatto una promessa e questa cosa ha dato una funzionalità al processo silenzioso e filosofico di quello che faccio veramente. Perché se si pensa solo a produrre quadri e vedere, si diventa un egofonico e ti porta in una strada unica, e anche a essere solo. Io ho voluto combattere, sono stato a fare delle mostre a new York, mi hanno fatto un documentario e poi hai difficoltà a organizzare una mostra con il comune di Roma. Mi sembrava assurdo. Il mio starter è stato: mi conoscono in America, a Miami benissimo; adesso mi trovo a uno start. Sto iniziando adesso l’avventura in Italia. Già mi conoscevano, però per umiltà e verità delle cose, devo dire meno che in America».
In occasione dell’opening del 12 aprile, l’artista ha tenuto una performance di live painting, accompagnato dalle sonorità elettroniche del dj Peter Blackfish. «È stato un momento fortissimo, anche grazie al musicista e alle sue sonorità e con il quale si è creata una grande simbiosi – dichiara – Percepivo che le persone erano entrate dentro questo tunnel immaginifico. Il mio intento era condividere questo ‘’pranzo di Babette’’ con tutti, non soluto egoisticamente nello studio».
(link video della performance: https://www.facebook.com/share/p/ZLXVF9ee7fP95gNa)
L’opera, cosi come tutte quelle realizzate dall’artista, non aveva un disegno preparatorio, ma nasce istintivamente.

Per Sampaolo è decisivo stabilire un contatto esperienziale con il pubblico e soprattutto con i giovani. La sua arte va intesa come una possibilità di connessione, che unisce gli uomini tra loro e con il mondo; un’arte provvista di un senso profondo anche politico che chiama in causa la natura originaria dell’essere umano.
«Questa necessità di condivisone – spiega l’artista – di stare con i ragazzi, nasce dal mio carattere, dalla voglia di studiare e di lanciarmi sempre in percorsi nuovi e sconosciuti. È un processo personale e funzionale che nasce dal desiderio, che condivido con la mia compagna, di fare cose. E poi noi dobbiamo trasmettere alle nuove generazioni quello che un pò si è dimenticato: la condivisione di cose che noi conosciamo e loro non hanno visto. Come è sempre stato. Negli ultimi anni questo modo di agire si è perso, ma è il momento opportuno per spingere, per rilanciare il valore della trasmissione. Siamo in un periodo in cui il digitale e tutta una serie di forme abbastanza propulsive di arte, hanno estremizzato il processo artistico a solo piccole camere di pensanti. Secondo me si deve ritornare dove l’arte è come con i graffiti, all’arte del popolo e della società. Bisogna far comprendere che non occorre essere trasportati dalla rabbia e dall’odio, spingere alla non belligeranza. Credo sia importante – conclude – che l’arte e la cultura, che poi sono politica, intesa come condivisone e possibilità di prendere la parola, riprendano la loro strada ordinaria. Questo è un modo anche per influenzare le nuove generazioni».
Nei sui lavori, l’artista romano non muove una critica alla società, ma porta se stesso e le sue sensazioni ed esperienze: dalle sue origini con il padre salumiere che si è tanto sacrificato uscendo la mattina e tornando la sera, e la madre sarta d’alta moda, che insegnava al piccolo Andrea come fare gli abiti su misura; ai colori dell’Umbria, sua seconda casa e a quelli di Miami, entrambi fatti di forti contrasti.
I colori sono per lui un metronomo costante di vita, una linfa. Il colore è nel suo dna, è l’incipit di ogni sua opera. Scrive dei messaggi attraverso delle immagini e dei personaggi d’impatto, passionale. Questa in corso è la mostra della riconciliazione tra Roma e Sampaolo a livello creativo. «Roma è strutturale: può essere 10 anni ferma o un missile, a seconda di come le va. Rinasce da sola. È una città particolare e per questo fantastica. Io sto solo rimettendo l’acqua in un punto dove ci sono piante secche. Vorrei rilanciare quella Roma degli anni Novanta/Duemila, dove i grandi maestri dell’arte astratta risiedevano e incombevano in questa fantastica città».


Le foto della serata inaugurale sono state realizzate da Michela Zeppetella