Una nuova bufera si agita nel mercato dell’arte. Ad attirare i riflettori su di sé, il colosso di Sotheby’s, casa d’aste fondata a Londra 280 anni fa. E l’accusa, sporta dall’oligarca russo Dmitry Rybolovlev, è quella di aver gonfiato i prezzi di alcune tra le opere d’arte più costose mai vendute. Una vicenda, questa, che apre uno spiraglio sui reali funzionamenti che sottostanno al mondo dell’arte.
«Parlerà pubblicamente per la prima volta in nove anni fornendo un resoconto dettagliato della verità», hanno dichiarato i legali di Dmitry Rybolovlev, al 180esimo posto tra le persone più ricche del mondo. Rivolgendosi all’attuale sede legale di Sotheby’s a New York, l’oligarca ha accusato la casa d’aste di aver aiutato un gallerista a gonfiare i prezzi di alcune importanti opere d’arte. In particolare, quattro pezzi venduti da Sotheby’s, tra cui il Salvator Mundi attribuito a Leonardo da Vinci, l’esemplare che nel 2017 è diventato il più costoso mai approdato sul mercato.
Rybolovlev accusa quindi la casa d’aste di aver gonfiato i prezzi di opere di suo interesse, da quelle di Gustav Klimt a quelle di Amedeo Modigliani. Fondamentale nella vicenda, il ruolo del gallerista Yves Bouvier, che avrebbe aiutato Rybolovlev a mettere a punto la propria collezione di opere d’arte facendogli acquistare esemplari a un prezzo maggiorato. Una truffa a cui avrebbe preso parte Sotheby’s stessa, con il rialzo delle stime fornite al gallerista.
Tra i pezzi incriminati, una Testa di Modigliani acquistata nel 2013 per 83 milioni di dollari. La cifra sarebbe stata concordata dopo un rialzo della stima fornito a Bouvier da parte di uno specialista di Sotheby’s, tra l’altro poche ore prima della vendita. In più, a Rybolovlev era stato comunicato che l’opera provenisse da un collezionista privato, in realtà mai esistito.
La vicenda portata in tribunale a Manhattan rappresenta così una rara occasione per avvicinarsi ai reali meccanismi che sottostanno al mercato dell’arte, in cui gli acquirenti non solo si confrontano con prezzi gonfiati, ma fanno i conti con una realtà in cui non sanno da chi stanno comprando le opere.