Davide Rivalta, intervista all’artista della mostra ‘Sogni di gloria’

I gorilla in bronzo di Rivalta nel castello bresciano, intervista con l'artista e con il direttore della Fondazione Brescia Musei Stefano Karadjov

Alla fine dei conti sono delle intruse: scimmie antropomorfe che impongono la loro presenza nei giardini del Castello di Brescia. In bronzo tutte, tranne una in alluminio, mettono in scena uno straniamento: strappano la città, scoprono la giungla. Una specie di film sci-fi sorpreso dietro le quinte mentre attori mascherati provano a diventare animali: inquietanti, curiosi. Sogni di gloria, il titolo della mostra fino al 7 gennaio firmata da Davide Rivalta. «I sogni di gloria – spiega l’artista – sono quelli dell’orango che rivolge lo sguardo verso lo scimpanzé per raggiungere il culmine del Castello e da lì dominare la valle, forse sono anche i miei. Quell’eroe fuori dal tempo è un intruso che incarna la mia idea di artista».

Si snoda nei giardini del Castello un percorso che prevede uno scontro fra l’umano e l’animale: «L’uomo – continua Rivalta – e la sua interazione con l’animale è il vero soggetto dell’opera. Il mio lavoro si compone di tre elementi: un animale, in questo caso sono tutte scimmie; un materiale che dà anche il colore all’animale, in questo caso il bronzo scuro, lega le scimmie alla terra, lo scimpanzé all’apice del Castello invece è in alluminio e si rapporta principalmente con il cielo. Il terzo elemento è il contesto, il paesaggio o l’architettura in cui l’animale è posto; quindi l’inserimento della scultura nel paesaggio è parte costitutiva dell’opera. Quando faccio un sopralluogo cerco di immaginare che animale ha le caratteristiche migliori per fondersi ed espandersi in quel luogo, spesso mi immagino già una fotografia che possa ritrarlo in rapporto con lo sfondo, perché le mie opere nascono con la fotografia dell’animale e si concludono con una fotografia nell’ambiente, per questo motivo l’opera si rinnova a ogni mostra».

Questi giganti di bronzo sono inseriti secondo una precisa visione dell’artista: «Mi immagino il percorso che fa lo spettatore – dice infatti lo scultore – nasce con l’avvistamento, a cui segue l’avvicinamento e spesso si conclude con il tocco della scultura. È un processo di conoscenza che nella stessa mostra non deve ripetersi: ci deve essere un ritmo e un’intensità diversa per ogni opera, quindi all’impressione di potenza dei gorilla si deve arrivare dopo la quiete trasmessa dagli scimpanzé seduti».

La partenza del cammino è brillante, grigia, riflettente, di alluminio, è quasi una sfida: «Il percorso – spiega Rivalta – comincia all’apice del Castello, lo scimpanzé in alluminio, in piedi, guarda dritto negli occhi le persone poggiando i piedi sullo stesso suolo, sotto lo stesso cielo e si conclude con il saluto dei babbuini un po’ sottotono, forse siamo noi, non loro, i veri intrusi nel Castello». Intrusi sembrano perché sembrano veri, ma la somiglianza con l’animale non è una ricerca che interessa l’artista: «Non cerco la mimesi con il soggetto, ne ripropongo la presenza fisica, e collocando le sculture nel paesaggio, solitamente anche in rapporto al costruito, evoco la loro natura con una sorta di apparizione che solitamente è di natura transitoria. Quindi la mimesi con l’animale non è il punto di partenza e neppure il punto di arrivo».

Nel ricercare la presenza, l’ingombro fisico dell’animale, lo scultore ha però un punto di partenza reale: «Ogni animale che faccio è il ritratto di un esemplare vero che quasi sempre ho incontrato in uno zoo o in un allevamento, da questo incontro nascono moltissime fotografie, le pose sono colte in questi momenti. Da questo incontro spesso nasce un nuovo soggetto, altre volte lo vado a cercare: se mi serve un bufalo vado in un allevamento, se mi serve un ghepardo vado in uno zoo».

Ripreso, fotografato, portato a casa, usato come ispirazione, l’animale, la sua massa, prendono forma nello studio dell’artista che nel realizzare le sue sculture si rivolge a una tecnica antichissima: la cera persa. «Fino al 2010  – racconta Rivalta – realizzavo anche delle resine, ma da allora sono tutte fusioni a cera persa. Dopo aver fotografato l’animale cercando anche di documentarne i dettagli, a volte realizzo dei bozzetti in scala che poi ingrandisco con un pantografo, a volte procedo direttamente a vista dalle foto con la creta su un’armatura metallica; uso una creta molto liquida che mi permette molta velocità, libertà di azione; però la creta così bagnata si deteriora velocemente e sono obbligato a concludere una scultura anche grande in quattro o cinque giorni. Ogni mio ritratto è il risultato di un corpo a corpo, di un incontro che dura poche ore. Questo comporta che ogni scultura abbia dei difetti o dei dettagli che non mi piacciono, cerco di aggiustare questi errori in cera o sul bronzo ma con limitato spazio di azione, in questo modo sono rare le sculture veramente uguali all’interno di un’edizione. L’errore mi tormenta ma è parte dell’opera, faccio veramente del mio meglio per superarlo, mi ci danno, ma la perfezione è irraggiungibile e ne soffro, è la condizione dell’artista che vivo».

Una tensione che ritroviamo anche nel lavoro finito che ha tutta l’aria di una domanda aperta, di un finale sospeso: «I gorilla – conclude l’artista – come tutte le scimmie antropomorfe, hanno e una presenza fisica in cui è facile riconoscersi, uno sguardo che ti interroga». E apertura, fisica questa volta, di vecchi spazi chiusi in nuovi allestimenti è la ragione della mostra di Rivalta. «Abbiamo attuato negli ultimi anni – spiega infatti Stefano Karadjov, direttore Fondazione Brescia Musei – il rilancio del Museo delle armi, con il rinnovo dell’allestimento nel 2018; la riapertura del Museo del Risorgimento Leonessa d’Italia, chiuso dal 2014, con un nuovo progetto museografico inaugurato nel 2023 per la capitale italiana della cultura; e infine intrapreso un percorso votato allo sviluppo della scultura contemporanea che inaugura proprio con Rivalta e prosegue l’anno prossimo con una monografica dello scultore Giuseppe Bergomi nel contesto del grande Miglio. Il progetto culminerà nel 2025/2026 con l’inaugurazione delle passeggiate di sculture dedicate all’artista sebino Bruno Romeda intorno al quale la Fondazione sta lavorando in qualità di custode della sua memoria artistica».

E certo Brescia si sta preparando alla chiusura del suo anno come città capitale della cultura e il bilancio in corso, e quasi a fine dell’iniziativa, sembra positivo: «Un grande successo – ammette Karadjov –  si prospetta in proiezione a fine anno un aumento del 50% dei visitatori nei musei. I numeri non sono però l’unico risultato: l’apertura gratuita di tutti gli spazi museali ai cittadini bresciani; internazionalizzazione della nostra mostra  Miseria e Nobiltà dedicata a Giacomo Ceruti e le eredità materiali rappresentate dalla nuova sezione dell’età romana del Museo di Santa Giulia ospitata nel Getty Center di Los Angeles; riallestimento del cinema Nuovo Eden, diventato un multisala; e dal nuovo Museo del Risorgimento Leonessa d’Italia»

info: bresciamusei.com