Quell’ammasso di attrezzi, libri, posaceneri, cavi, bottiglie; ferri e piatti, bicchieri e carte, piante e padelle tafognato in ogni pizzo, mollato in ogni dove è stato spostato e come la povere sotto il tappeto, a tappeto tolto, suona nel raggio di luce, ne rimane l’eco ovunque; a volte solo un’ombra lasciata sull’intonaco, altre mattonelle crepate a ricordo di un peso. Hanno chiuso gli studi d’artista al Lanificio per affitto non rinnovabile.

José Angelino, Alessandro Dandini de Sylva, Marco Emmanuele, Luca Grechi e Diego Miguel Mirabella riempiono i Tir e svuotano lo spazio. Dandini de Sylva, Emmanuele e Mirabella spediscono allo stesso indirizzo: «poco lontano da qui, saranno – dice Dandini de Silva – due chilometri in linea d’aria. È un piano terra e abbiamo previsto un piccolo ambiente vuoto all’ingresso che può funzionare come spazio espositivo». Angelino invece sposta tutto a Milano; Grechi acchitta uno spazio al Quadraro. Prima di andare gli artisti lasciano le loro ultime installazioni.

Ditelo anche voi. Che cosa? Lo dicono tutti. Ma cosa? Sembra più piccolo. Ci accoglie Emmanuele nel suo studio diviso con quello di Mirabella. Ed è vero; ma lo spazio ristretto non è la prima sensazione o è meno forte di un’altra evidenza: lo spazio è vuoto, nudo. E a vestirlo per l’ultima volta sono i tessuti di Mirabella composti, si direbbe, su panneggi di abiti antichi reificati in materiale eterogeneo conservando il chiaro scuro, schivando la banale verticalità del tendone teatrale con una linea di fondo rotta e colorata installata lungo le pareti alte più vicino al soffitto, e insistendo sugli angoli forse sentiti troppo volgari in quello spazio scoperto. «Il titolo dell’opera è – dice l’artista – Paesaggio Mirabella, porta su di te ciò che vuoi e deve intendersi come un invito, un augurio alla libertà di muoversi liberamente in tutte le direzioni. Sono – continua – felice, dobbiamo cambiare e quindi sono felice. Questo ambiente adesso è solo uno spazio ma prima è stato un luogo».


Ed è Emmanuele con il suo intervento che risale parte della storia: un paesaggio monocromatico copre un’intera parete. “Caro Italo, un paese solo non basta” scrive sulla mensola interna davanti le finestre di vetro e piombo; dietro una cassa di birra al fresco viene continuamente saccheggiata. «Pavese – spiega Emmanuele – nella Luna e i Falò dice che un paese solo basta, credo invece che ne serva più di uno e sono sicuro: ci sarà un paese ovunque andremo, stiamo cambiando infatti spazio, non luogo. Sono felice di spostarmi, l’unica cosa è che non andiamo tutti insieme». Paese fortuna infatti è il nome di una serie di eventi accolti in questi spazi negli ultimi anni, nome e attività che vogliono essere un richiamo a Opera Paese il progetto multi-disciplinare fondato da Pietro Fortuna proprio in questi luoghi, conclusosi nel 2004, ha lasciato spazio agli studi di artista che ne hanno raccolto l’eredità.

È la storia personale invece a diventare materia nell’installazione di Grechi: trasforma il suo studio in una basilica silenziosa. Sulla calce scialba tre ombre architravate segnano le pareti, forme primitive di una geometria incerta che perde alla base la perpendicolarità e cola sul pavimento rigoli di colore antico, di lavori che non sono certo più qui. «Ogni forma – spiega l’artista – riprende le dimensioni delle porte che mi collegavano agli studi dei miei amici, spazi di passaggio, mi consentivano contemporaneamente di condividere e rimanere da solo». Ma la porta da apertura si rinsecchisce nell’addio in una parete impenetrabile che sostiene al centro l’ultimo ricordo: un quadrato di vetro brillante e trasparente contro l’opacità dell’ombra-porta.


Dandini de Sylva trasforma il suo saluto allo spazio in una massa di colori e suoni: un video riprende numerosi fuochi d’artificio in funzione dentro lo stesso spazio di installazione; e la fragile installazione di Angelino, un piatto roteante sopra un’esile colonna, non è nient’altro che una mano intenta a salutare. Il movimento circolare espande l’addio a chi ha vissuto questi studi nel corso di 13 anni, Grechi e Mirabella, i primi dal 2010 e poi Mauro Vittorini, Serj, Marco Affaitati, Francesco Irnem, Caterina Silva, Michele Welke e Vincenzo Franza.
