Se come scrive Germano Celant “uscire dal sistema significa rivoluzione”, cosa succede quando la rivoluzione diventa sistema? L’Arte Povera rimane per molti il paradigma anche internazionale dell’arte italiana, per altri invece qualcosa è già cambiato. Cosa rimane dell’Arte Povera nella povera arte italiana contemporanea? Lo abbiamo chiesto a Giulio Paolini in un’intervista su Inside Art 128 sullo stato attuale dell’arte:
Quale dovrebbe essere il ruolo dell’artista nella società?
Nessuno. L’artista non conosce alcun ruolo: proprio questa estraneità potrebbe essere la cifra della sua esistenza, non essere cioè soggetto a nessun coinvolgimento. Tranne uno, forse: l’adesione, l’appartenenza alla storia dell’arte.

Quanto l’Arte Povera è rimasta un punto di riferimento per le ricerche odierne?
Se l’Arte Povera è ancora presente nell’orizzonte dell’attività artistica attuale è proprio perché non si è trattato di un vero e proprio movimento (come per esempio Futurismo e Surrealismo, aderenti a un dettato teorico), ma di accostamenti tra artisti diversi, uniti da un’attitudine comune.
Giornalismo e critica hanno ancora un peso nel sistema artistico?
Un peso indiretto, quasi nascosto, data l’egemonia di una comunicazione sempre più dispersiva e indifferenziata.
Qual è oggi l’aspetto più rivoluzionario della pratica artistica?
L’aspetto più radicale della pratica artistica è oggi l’estraneità, il consacrarsi a qualcosa di molto lontano o irraggiungibile. Allo stesso tempo occorre non abusare della propria soggettività, non alzare la voce, adottare una “buona educazione”.

Perché tranne rare eccezioni l’arte contemporanea italiana è invisibile all’estero?
I tempi procedono – come sappiamo – per cicli storici ponendo alla ribalta, al teatro del mondo i temi e gli argomenti più frequentati. Una voce autorevole (non ricordo chi) ebbe a dichiarare che l’arte italiana si esaurì, oltre due secoli fa, con Giandomenico Tiepolo. Le nostre radici però sono ancora vive e conservano una gloria che potrebbe rinnovarsi in futuro.