Alessio Barchitta, sovvertire l’icona come cura al trauma dello sradicamento

Dal numero 127 di Inside Art l'intervista ad Alessio Barchitta: «parlo di una generazione pronta ad abbandonare tutto per un futuro incerto»

La psicologia dell’abitare afferma che la casa rappresenta l’estensione fisica e architettonica del nostro essere. La dimora in cui ci sentiamo protetti si trasforma inevitabilmente nella manifestazione, spontanea o regolata, della nostra personalità e proprio perché familiare diviene nido, luogo sicuro in cui la libertà di esprimersi è diritto inalienabile. I Millennials crescono oggi mutili di questa possibilità: figli di una società indottrinata dal verbo della globalizzazione, le nuove generazioni vacillano di fronte alla domanda “dov’è casa tua?”. Prendere il largo in nome di un altrove potenzialmente migliore è il nobile principio per cui si viaggia. Ognuno, nella propria personale odissea, si muove accompagnato dalla convinzione secondo cui l’individuo è veicolo di usanze e costumi che fino al momento della partenza si insediano nella trama del suo codice genetico culturale. Il ricordo diventa il mezzo per ancorarsi alla propria identità.


No Name, 2021, Quotidiana – Portfolio, Museo di Roma, Palazzo Braschi, courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, photo Carlo Romano

«Ho iniziato a focalizzarmi sul tema della casa vedendolo sviluppare nel tempo – racconta Alessio Barchitta – la casa può essere un odore, un’immagine, una sensazione. Io parlo della condizione della generazione cresciuta con la diffusione del digitale, schiacciata da ambizioni altissime e pronta ad abbandonare tutto ciò che conosce per un futuro incerto, senza riferimenti concreti». La società odierna protende verso una fluidità inedita; la casa è per Barchitta il simulacro laico capace di rappresentare l’archetipo dell’abitare, un memorandum essenziale per sopravvivere alla dinamica sociale dello sradicamento. L’artista oggi si divide tra Milano e la sua Sicilia: originario di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, lascia che la terra natale divenga motore della sua ricerca, facendosi attrarre da elementi di risulta e da oggetti abbandonati che producono l’emersione di un’attitudine esplicitamente poverista.

Barchitta preleva abitualmente il necessario per le sue produzioni dalle rive dei corsi d’acqua, i torrenti Patrì e Mela, che scavano la terra a pochi passi dalla dimora familiare in cui è cresciuto. Il sito è infatti vittima della comunità incivile che ne ha trasformato le sponde in una discarica abusiva. L’utilizzo degli oggetti di scarto si inserisce coerentemente nella ricerca di un nuovo vocabolario di valori in un mondo che evolve: quando tutto ciò che ci risulta familiare cambia, è necessario modificare anche il nostro sguardo, analizzando attivamente le potenzialità che esso presenta nella sua forma rinnovata. Lo scarto diventa reliquia, oggetto generatore di narrazioni molteplici.

Nelle mani di Barchitta questi si appropriano di nuova natura, divenendo strumenti di rappresentazione. «La mia ossessione sono i materiali. Fin dall’inizio della mia ricerca mi sono interrogato sulle modalità di rappresentazione e di come parlare di un argomento in maniera onesta. Rappresentare ciò che esiste per come è gli fa perdere autenticità, per me è residuo. Un oggetto possiede già la sua autenticità, Planet Agar Agar, 2021, ciò che metto in atto è una rimodulazione degli elementi che utilizzo ma che già hanno una propria iconicità».

Planet Agar Agar, 2021

Il materiale dunque è l’unico medium a cui riferirsi per il mantenimento di una veridicità. L’oggetto viene sottoposto a una scomposizione simbolica per poi essere riassemblato: il progetto Kick me del 2019 vede il prelevamento da un ambiente domestico vintage di piastrelle colorate, oramai desuete nell’arredo contemporaneo, per riutilizzarle come tessere di un finto pallone da calcio, un oggetto che chiede di essere riconosciuto, famigliare, attraente, capace di trasmettere nello spettatore una reazione istintiva. In tale espediente troviamo il desiderio di chiarezza: «Dopo aver colto la forma cerchi già l’informazione successiva, sei già all’interno».

La dualità tra realtà e finzione veste un abito ironico, l’artista si muove tra il sacro e il profano, dissacrando l’icona e innalzando l’ambiguità come in Shit Happens del 2020: finte sculture in pietra sono in realtà costituite di resina ed escrementi di uccello, poggiati su eleganti cuscini di velluto viola. Il processo di creazione di Barchitta non punta alla semplice imitazione, avvia una discussione priva di retorica che si mostra attraente perché intrisa di una misteriosa aura contemporaneamente sacrale e dissacrante. L’artista ha dato vita a un repertorio mai macchiato dal cinismo, un nuovo vocabolario dell’incomunicabile per dar voce e corpo a una magnetica realtà alternativa.

BIO

1991
Nasce il 21 giugno a Barcellona Pozzo di Gotto

2010
Si trasferisce a Milano dove studia all’Accademia di Belle Arti di Brera laureandosi in Arti Visive – indirizzo Pittura

2017
Inaugura BAUEN, personale all’Auditorium San Vito a Barcellona Pozzo di Gotto

2019
Vince l’XI edizione del Premio Nocivelli che gli permette, l’anno successivo, di realizzare la personale
I CAN’T SEE BEYOND THESE FUCKING CLOUDS a cura di Daniele Astrologo Abadal nello spazio Bunkervik di Brescia

2022
Inaugura la stagione espositiva di Portfolio – Quotidiana della Quadriennale di Roma a Palazzo Braschi

info alessiobarchitta.com

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