Realizzata sotto la direzione dell’antropologo Bruce Albert e del Direttore artistico della Fondation Cartier Hervé Chandès, inaugura il 21 giugno la mostra Siamo Foresta promossa da Triennale Milano e Fondation Cartier pour l’art contemporain. Con ventisette artisti provenienti principalmente dall’America Latina, molti dei quali appartenenti a comunità indigene, la mostra esplora il rapporto tra l’uomo e l’ambiente, prendendo la foresta come simbolo di un discorso poetico, sociale, spirituale e politico.

In un’epoca di crisi ecologica come questa, si diffondono nel discorso pubblico pratiche artistiche che mettono in discussione la centralità dell’essere umano nei confronti dell’ambiente naturale, con un accento su una visione post-antropocentrica dello stare al mondo. In questo contesto, la foresta, intesa sia come luogo fisico di scambi di esperienze individuali sia come luogo simbolico di incontro di pratiche artistiche, rappresenta il fulcro della mostra. Attraverso le opere, gli artisti coinvolti instaurano un dialogo interculturale nel quale i diversi immaginari della foresta e la sua forza evocativa si diramano in una pluralità di voci che invitano lo spettatore a riflettere sul proprio ruolo all’interno della biosfera e, grazie a un dialogo interculturale, a individuare le radici comuni dell’essere umano. Come spiega Bruce Albert, antropologo e co-direttore artistico della mostra: «Siamo Foresta trae la sua ispirazione da una comune visione estetica e politica della foresta come multiverso egualitario di popoli viventi, umani e non umani, e come tale offre una vibrante allegoria di un mondo possibile al di là del nostro antropocentrismo. Fin dalle sue origini, la tradizione occidentale ha diviso e gerarchizzato gli esseri viventi secondo una scala di valori di cui l’essere umano costituisce l’apice. Questa supremazia dell’umano ha progressivamente allontanato l’umanità dal resto del mondo vivente, aprendo così la strada a tutti gli abusi di cui la distruzione della biodiversità e la catastrofe climatica contemporanea sono il risultato».

In un sistema di collaborazione basato sull’interesse nel potenziale connettivo della foresta, artisti indigeni provenienti dal New Mexico al Chaco paraguaiano, all’Amazzonia (Brasile, Perù e Venezuela) incontrano voci creative di realtà cittadine in Brasile, Cina, Colombia e Francia. Alcuni di questi incontri hanno generato opere inedite e scambi tra mondi apparentemente lontani. Vediamo il Yanomami venezuelano Sheroanawe Hakihiiwe ha lavorato con il francese Fabrice Hyber nella primavera del 2023; Adriana Varejão di Rio de Janeiro con Joseca Mokahesi, yanomami del Brasile, nel 2003; e la recente collaborazione tra Ehuana Yaira, yanomami brasiliana, e Cai Guo-Qiang di origine cinese. La contaminazione tra pratiche e punti di vista diversi diventa l’occasione per dare spazio a voci per lo più sconosciute, ancora non canonizzate all’interno del mondo dell’arte europeo. Bruce Albert racconta: «L’arte brasiliana, per esempio, ha vissuto quattro anni sotto la dittatura di Bolsonaro, che ha attaccato duramente gli artisti. Tuttavia, sembra che da questa minaccia e contrazione delle libertà sia sorta un’effervescenza e una ricchezza artistica particolare. Una ricchezza e proliferazione dell’arte brasiliana e di artisti molto interessanti, ancora sconosciuti in Europa. L’arte latino-americana in generale sembra avere una creatività speciale, alimentata dalle difficoltà politiche che i diversi paesi affrontano. Gli artisti indigeni, in particolare, sono doppiamente oppressi sia dal sistema politico nazionale che dalla mancanza di risorse a livello locale. Per loro, l’arte è diventata un potente strumento politico per far conoscere la loro cultura, la loro esistenza e ottenere sostegno per le cause che difendono. La concezione della foresta per questi popoli va oltre la semplice definizione di una “collezione di alberi”. La foresta rappresenta un mondo globale in cui tutti gli esseri viventi, umani e non umani, coesistono su un piano di equità, dignità e sensibilità».

© Copyright: Alex Cerveny © Copyright: Renato Parada

PERCORSO ESPOSITIVO
Dipinti e disegni su grandi tele creati da Sheroanawe Hakiihiwe e Fabrice Hyber durante la loro esperienza nella foresta chiamata La Vallée, in Francia aprono il percorso di mostra. Fabrice Hyber paragona spesso il suo processo creativo alla crescita organica degli esseri viventi. Sulle sue tele, l’artista formula ipotesi, associa idee e inventa forme, offrendo un’osservazione intuitiva e poetica delle mutevoli trasformazioni degli esseri viventi e una visione onirica dell’ibridazione tra uomini e piante. Come sostenitore di un’ecologia positiva, è interessato alle infinite possibilità di rigenerazione del mondo vivente. Tra sogno e realtà, geometria e proliferazione, i paesaggi pittorici di Luiz Zerbini rappresentano al contrario una sorta di foresta urbana in cui è difficile distinguere se la natura selvaggia prende il sopravvento sulla città o viceversa. Le sue opere, che includono dipinti, fotografie, incisioni e installazioni, sono caratterizzate da un forte interesse per il paesaggio e la botanica, presentando un dialogo intricato tra astrazione, geometria e figurazione. Piante, animali e fossili si estendono nel dipinto Mundao II dell’artista Solange Pessoa, una rappresentazione che abbraccia storie dimenticate. Inoltre, i disegni monocromatici di uccelli chimera raffigurano possibili forme primitive che l’artista immagina in costante trasformazione, simili ai personaggi dei miti indigeni presenti nelle opere di Esteban Klassen, Angelica Klassen, Floriberta Fermin ed Efacio Alvarez. Questi artisti fanno parte della comunità indigena Nivaklé e ritraggono in bianco e nero l’eccezionale diversità di specie vegetali e animali a rischio di estinzione che popolano la foresta del Gran Chaco paraguaiano, oltre alla cosmologia sciamanica del loro popolo.

Virgil Ortiz, un artista della comunità Pueblo Cochiti del Nuovo Messico, Stati Uniti, continua la tradizione della ceramica figurativa della sua comunità, creando figure originali basate su uno stile regionale di caricatura sociale che ha radici nel XIX secolo e si ispira ai personaggi e agli spettatori dei circhi itineranti che attraversavano la regione in quel periodo. Brus Rubio Churay, un pittore autodidatta dell’Amazzonia peruviana, affronta temi storici, sociali e politici che hanno colpito il suo popolo, i Murui-Bora, e l’Amazzonia in generale, come l’oppressione, lo sfruttamento delle risorse e l’inquinamento. Le sue opere reinterpretano i miti e i rituali tradizionali dei Murui-Bora attraverso la creazione di personaggi ibridi, metà umani e metà animali o vegetali, che si muovono nell’aria di una lussureggiante foresta ancestrale. Il dipinto Cadernos de viagem, connaissance par corps dell’artista Adriana Varejão e il disegno dell’artista Joseca Mokahesi intitolato Becoming a Shaman sottolineano il profondo legame tra i due lavori, che è alla base della loro concezione artistica. Molti disegni yanomami sono legati allo sciamanesimo, come quelli di Joseca Mokahesi, che raffigurano le visioni raccontate nei canti degli anziani, e quelli di Ehuana Yaira, che rappresentano personaggi femminili della mitologia yanomami. Le opere dell’artista brasiliano della comunità Huni Kuin, Cleiber Bane, raccontano in immagini i canti rituali del suo popolo, creando vere e proprie partiture sciamaniche.


Le visioni oniriche dell’artista attivista Jaider Esbell fondono il bestiario della mitologia del popolo Makuxi dell’Amazzonia brasiliana settentrionale con i sogni cosmologici dell’autore. I mondi immaginati dall’artista Bruno Novelli combinano animali fantastici e panorami tropicali onirici, realizzati con motivi geometrici colorati. Nelle sue foreste immaginarie si intrecciano paesaggi, animali e piante di diverse ispirazioni, dagli affreschi medievali al simbolismo indigeno amazzonico. Allo stesso modo, Alex Cerveny dipinge mondi fantastici in cui gli esseri umani, personaggi biblici o mitologici, sono strettamente associati a forme arboree, fino a diventare alberi essi stessi. Cerveny cerca un’unione profonda tra esseri umani e non umani, ispirandosi alle culture indigene della foresta amazzonica brasiliana. Johanna Calle, un’artista colombiana, crea un contorno etereo di un grande albero utilizzando i testi dattiloscritti su carta notarile di una legge sulla restituzione delle terre ai contadini indigeni (della collezione Fondation Cartier). Piantare alberi diventa un modo per questi agricoltori, che non possono permettersi di erigere recinzioni, di legittimare la proprietà della terra che coltivano. Inoltre, tre film presentano le comunità indigene degli Yanomami dell’Amazzonia settentrionale del Brasile e dei Nivaklé e Guarani della regione del Gran Chaco in Paraguay. Le opere illustrano la ricchezza delle loro culture e i cambiamenti ambientali che minacciano i loro modi di vita tradizionali e offrono una visione unica e intima di queste comunità, sensibilizzando sulle sfide che affrontano e sulla necessità di preservare la diversità culturale e ambientale delle foreste amazzoniche.

Siamo Foresta unisce artisti provenienti da diverse culture che si ispirano alla natura, alla mitologia, allo sciamanesimo e alle lotte degli indigeni amazzonici. Attraverso dipinti, disegni, installazioni e opere collaborative, la mostra ci invita a esplorare l’interconnessione tra gli esseri viventi e a riflettere sull’importanza di preservare e valorizzare la diversità biologica e culturale delle foreste e dei popoli che le abitano.