In uno dei vicoli del quartiere Sanità a Napoli, precisamente nella Chiesa di S. Aspreno ai Crociferi arrivano le sculture di Jago. La chiesa costruita nel XVII secolo, dopo essere stata abbandonata a sé stessa per quarant’anni, rinasce oggi e ospita lo Jago Museum.
Nato come idea di museo diffuso, il nuovo polo museale si pone oggi come protagonista di due progetti di recupero e di messa a valore di un’eredità da tramandare che stanno contribuendo a dare forma al Rione Sanità: Luce al Rione Sanità e Tornaccantà. Per Jago «Sant’Aspreno riapre al pubblico, restituita, messa al mondo come un figlio, ancora una volta per accogliere. Dietro i luoghi e i loro contenuti c’è sempre l’umanità di chi ha immaginato, quella di chi ha costruito, l’umanità di chi ha abitato e abbandonato, l’umanità di chi ha recuperato e quella di chi verrà».



Jago, giovane e formidabile scultore, arriva a Napoli prima con due opere, Il figlio velato e Look down che hanno segnato non solo l’animo dei napoletani ma anche lo stesso territorio in quanto spazio pubblico, per un certo periodo, dato che l’opera Look down è stata esposta nel bel mezzo di Piazza del Plebiscito alle intemperie purtroppo non solo climatiche, rendendo visibile e palpabile attraverso l’appartenenza a tutti, l’essenza stessa dell’arte e la responsabilità che ha il contesto di prendersene cura. Durante il lockdown Jago ha lavorato circondato dal calore dei napoletani nella chiesa di S. Aspreno la quale è stata per molti mesi il suo personale laboratorio e che quindi dopo aver vissuto una vita non molto fortunata ne inizia, grazie a lui, un’altra decisamente spettacolare. Le sue opere hanno la grande capacità di creare uno spazio sospeso in cui si resta lì a mezz’aria a fissare ciò che sembra essere tutto tranne che marmo. Avvicinarsi ai suoi lavori crea il timore e allo stesso tempo il desiderio che quelle statue possano improvvisamente prendere vita, girare il capo, gli occhi e osservarti e scrutarti esattamente come chi visita fa con loro. La scelta del luogo e l’attenzione allo spazio valorizza il lavoro di Jago e dà la sensazione che quasi le opere abbiano scelto di stare lì e siano diventate elementi di un sistema che vive grazie a una silente ma intensa armonia che sottoforma di energia invade e fluisce nei corpi di chi arriva a guardare. «Quando sono arrivato a Napoli ho capito cosa significava fare lo scultore. Qui hanno la capacità di scolpire materiale umano», afferma lo stesso Jago che con i suoi colpi di scalpello scolpisce il marmo ma anche centinaia e presto migliaia di materiale umano mettendo esattamente in pratica ciò che a parole ci racconta di aver imparato.



È sempre complesso rimandare a parole lə artistə e le loro opere e risulta essere una sfida ancor più grande quella di provare a modellare a parole Jago e il suo talento. È complesso perché, conoscendolo e non solo, immediatamente si ha chiara la sensazione di trovarsi davanti a qualcuno che nasce raramente e che, forse, la storia stava aspettando da un po’. Un qualcuno che riporta l’arte a tutti facendola diventare “cosa di tutti”. La difficoltà sta proprio nel fatto che per parlarne bisogna attingere a un vocabolario non solo artistico ma anche politico e sociale. Forse abbiamo dimenticato, a causa di una politica sempre più carente di democrazia, che l’arte è di tutti e per tutti ma, per fortuna, grazie a Jago possiamo ricordarlo e tenerlo sempre a mente.