«Uno strano personaggio ai margini dell’arte», così gli piaceva raccontarsi. Se ne va all’età di 85 anni, Franz Paludetto, famoso gallerista del Castello di Rivara, la sua pietra miliare, aperto insieme all’amico Aldo Mondino.

Classe 1938, Paludetto a Torino ci è arrivato quasi per caso, con un treno sbagliato. Prima di dedicarsi all’arte e di diventare gallerista ha fatto il barista, il venditore di auto e il direttore d’albergo.
Galeotti gli incontri con i grandi artisti, da Gina Pane a Giuseppe Chiari e Roman Opalka. Negli anni ha cambiato tanti spazi, nel 1968 la prima galleria Franzp a Torino, poi la LP220 di via Carlo Alberto, e ancora Calice Ligure, sede delle mostre di un solo giorno dal titolo A Calice Ligure non c’è il mare. La venuta a Roma, nel quartiere di San Lorenzo e ritorno a Torino in via Stampatori insieme al figlio Davide che ora ha una sua galleria in via degli Artisti e dentro il Castello di Rivara, il Castello che nell’Ottocento fu sede della Scuola Di Rivara e un secolo dopo sarebbe diventato un’avanguardia mondiale.
Amato e odiato, Paludetto commentava così la sua scelta di nomadismo: «Ho cambiato tanti spazi non perché non pagassi l’affitto, ma perché privilegiavo il momento in cui accadevano le cose. Questa è la mia storia di gallerista, anche se non sono proprio un gallerista, in definitiva. Normalmente i miei colleghi, ai quali voglio tanto bene, cercano sempre di carpire le cose di qualcuno che si è già affermato. Io invece non volevo fare artisti come Mario Merz, perché non mi appartenevano, non erano mie storie. Io volevo una mia storia».

Il ricordo di Fabio Vito Lacertosa: «Ciò che lascia al mondo è il frutto dello sguardo rivolto verso ogni sommovimento, verso ogni segno che lui ritenesse significante e verso ogni nuova occasione di innovare il proprio linguaggio. Nonostante il culto della novità, però, ha sempre detestato ogni forma di consumismo del pensiero artistico e ha cercato di essere estraneo al concetto di moda. Fino agli ultimi giorni di vita la sua ossessione era rimasta quella di capire quali fossero i nuovi movimenti, le ideologie a venire di un’era in cui tutti i riferimenti sicuri sembravano spariti alla vista».