Oltre la soglia. Leandro Erlich a Milano

Palazzo reale

Milano

Palazzo Reale a Milano accoglie per la prima volta in Europa una monografica interamente dedicata all’artista argentino Leandro Erlich. La mostra Leandro Erlich. Oltre la soglia, promossa da Comune di Milano-Cultura, è prodotta e organizzata da Palazzo Reale e Arthemisia, in collaborazione con lo Studio Erlich, con la curatela di Francesco Stocchi. «Il mio lavoro funziona come un’esperienza narrativa dispiegata nell’arena pubblica. Costruisco storie visive tratte dalla vita quotidiana che evocano un insieme di circostanze ordinarie, radicate nella realtà e nell’esperienza condivisa, ma che non funzionano come ci si aspetta».
Nato a Buenos Aires nel 1973, Erlich crea grandi installazioni con cui il pubblico si relaziona e interagisce, diventando esso stesso l’opera d’arte. Negli anni ci ha abituati a palazzi in cui ci si arrampica virtualmente, case sradicate e sospese in aria, ascensori che non portano da nessuna parte, scale mobili aggrovigliate come fossero fili di un gomitolo, sculture spiazzanti e surreali, video che sovvertono la normalità. Elementi che raccontano qualcosa di ordinario in un contesto dove tutto è diverso da quello che sembra, dove si perde il senso della realtà e la percezione dello spazio.
L’architettura del quotidiano è un tema ricorrente nell’arte di Erlich, che mira a creare un dialogo tra ciò che conosciamo come dato certo e ciòche percepiamo nella visione, così come cerca di colmare la distanza tra lo spazio del museo e l’esperienza quotidiana.
«Mi piace sviluppare progetti che spingono il pubblico oltre la soglia concettuale – spiega l’artista – e mi piace lavorare con una varietà di media e modalità espressive. Il mio lavoro comprende installazioni, oggetti, sculture, video e persino la pittura. Creo strutture che innescano immagini e idee che, a loro volta, puntano verso nuove realtà. Mi piace considerare questi pezzi come dispositiv relazionali che ispirano l’interazione e il gioco tra gli spettatori. Intendo l’arte come un mezzo per coltivare nuovi approcci alla comprensione del mondo, fisico, mentale, politico, simbolico».

Il percorso espositivo inizia a sorprendere già nel Cortile di Palazzo Reale, dove è allestita la monumentale installazione site-specific Bâtiment, creata nel 2004 per la Nuit Blanche di Parigi. Il meccanismo espositivo è tuttavia sempre lo stesso: appoggiata orizzontalmente a terra è posizionata la riproduzione della facciata di un edificio, con balconi, nicchie, fregi, tettoie. I visitatori si “appendono” virtualmente alle decorazioni e un grande specchio inclinato a 45 gradi riflette l’immagine a terra su un piano verticale, dando l’illusione di una facciata reale e la sensazione che la legge di gravità non esista più. Francesco Stocchi, curatore della mostra, spiega: «Le creazioni di Erlich sono strutture architettoniche che funzionano come macchine ottiche che mettono in discussione il dato sensibile del mondo. Con la mostra a Palazzo Reale l’artista ha scelto l’Italia come luogo d’elezione per la presentazione dell’ambizioso progetto che, tramite la messa in scena di spazi di nuova percezione, stimola la riflessione e la contemplazione».

Al piano terra di Palazzo Reale, Elevator Pitch (2011) invoca il tipo di scenari fantastici che un protagonista potrebbe affrontare in un racconto di Jorge Luis Borges. Anonime porte d’ascensore costruite in una parete che sembravano abbastanza irrilevanti fino a quando non si sono aperte accompagnate dal ripetitivo, caratteristico rintocco, vera allegoria della circolarità della vita. L’apertura delle porte svela una cabina piena di passeggeri di ogni tipo, impegnati in situazioni diverse, disinteressati alla nostra presenza rendendo il nostro sguardo invisibile; nessuno scende, nessuno sale, il rapporto con la vita degli altri è solo apparentemente prossimo. Window Captive Reflection (2013) rappresenta la routine e l’atmosfera statica all’interno di un atelier, sovrapposta a vedute della vegetazione esterna. La giustapposizione di un doppio riflesso, in cui si percepiscono i dettagli dello spazio interno unito all’ondeggiare degli alberi del giardino, richiama la memoria che il vetro contiene. Ciò che si vede, insieme a ciò che si percepisce, pone lo spettatore di fronte a uno spazio “altro” che imprigiona nel riflesso non solo immagini ma anche il tempo. Ancora, The Cloud (2018): una delle tendenze dell’umanità è quella di cercare di aggiungere ordine e forma a ciò che non c’è, come nel caso delle stelle disposte a caso e organizzate in costellazioni. Disorientamento e smarrimento percettivo sono caratteristiche costanti dell’opera di Erlich, che si “diverte” a creare immagini che scatenano nell’osservatore sensazioni illusorie. Quasi a voler catturare l’impalpabile, Erlich presenta diverse nuvole che fluttuanti in imponenti vetrine come in un gabinetto di curiosità.
In Port of reflections (2014), tre barche sembrano galleggiare sull’acqua. In realtà, quest’installazione utilizza un computer per calcolare il modo in cui una barca dondola sull’acqua, per poi ricrearne con precisione l’aspetto e le movenze. Percepiamo l’opera in questo modo perché crediamo che una barca sia qualcosa che galleggia sull’acqua. In questo modo, l’opera ci aiuta a capire quanto vediamo le cose attraverso la lente dei nostri preconcetti e stereotipi. La “riflessione” del titolo va oltre la sua dimensione sensoriale, stimolando un ragionamento sul rapporto tra immagine e realtà.

Uno dei temi ricorrenti di Erlich è la persistenza di mondi nascosti dietro la facciata comune e a volte insipida della normalità. Come spesso avviene, al primo sguardo The View(1997-2005) non offre nulla di più insolito di un paio di finestre adiacenti alla cucina, con le persiane semiaperte. Avvicinandosi e scrutando attraverso le persiane, appare l’immagine della parete posteriore del condominio vicino. Siamo in un’ora serale imprecisata e più di una dozzina di vicino stanno tutti svolgendo i loro vari rituali: vestirsi, lavarsi, cucinare, mangiare o guardare la TV. Un voyeurismo tanto manifesto da creare l’illusione di una sorveglianza continua. Ascensor (1995) e Lifted Lift (2019)sono ascensori che non salgono né scendono: spogliati delle loro funzioni, la curiosità ci impone di scrutare all’interno, portandoci a una duplice combinazione di sorprese. La prima è la vista verso il basso, che si estende all’infinito sotto il pavimento che induce la seconda, la consapevolezza che questo spazio in realtà non possa esistere. Il mondo immaginario che Lift crea si basa sull’idea che gli spettatori si aspettino in qualche modo, quando guardano al suo interno, di scorgere un vano ascensore segreto che corre sotto il pavimento del museo: quest’opera è la prova diretta che le leggi della natura sono state momentaneamente sospese, permettendo alla percezione di prevalere sulla logica. Ogni sorpresa è, a suo modo, un caso di spazio liminale che agisce per correggere o minare la prospettiva dominante del momento: dalla realtà alla fantasia, o dall’illusione alla rivelazione.

In Global Express (2011), i paesaggi urbani scorrono oltre quello che sembra essere il finestrino di una metropolitana o di un treno sopraelevato. Mentre osserviamo le immagini, possiamo percepire la cadenza incalzante del viaggio, osservando una città iconica (Tokyo) trasformarsi senza soluzione di continuità in un’altra (New York) e poi in un’altra ancora (Parigi). Global Express rivela i monumenti e i segni architettonici che identifichiamo con ogni città. Intrecciati tra loro come un evento simultaneo, sperimentiamo ciò che la tecnologia ci offre ogni giorno: la capacità di attraversare distanze impossibili in millisecondi. Architetto dell’incerto, Leandro Erlich crea spazi dai confini fluidi e instabili. Il video ci lascia la sensazione di aver fatto un viaggio unico, in cui più metropoli si fondono in un unico reel globale. Lost Garden (2013), sfruttando l’architettura dello spazio, consiste in una costruzione triangolare con due finestre sulla facciata e un giardino al suo interno. Nelle parole dell’artista, Lost Garden (2009) aspira a creare profondità nell’esperienza banale degli spazi quotidiani, suggerendo uno stato di nostalgia permanente. Come in altre opere di Erlich, lo spettatore è intrappolato in un gioco di percezione scultorea e di trompe l’oeil, perfino quando l’aspetto esterno dell’opera contraddice ciò che percepiamo del suo interno. Il riferimento del titolo a “ciò che è perduto” contrasta con l’immagine idilliaca e paradisiaca del giardino, trasformando l’opera in una metafora del desiderio di recuperare e immortalare il passato.

Una delle prime sculture video di Erlich è Subway (2009) dove immagini in movimento introducono un’ambientazione virtuale, uno spazio altro trasportato in galleria. Come El Avión e Global Express (entrambi del 2011), questa installazione invoca il ritmo ipnotico del viaggio e del transito ma la funzione delle immagini è meno narrativa a favore di un’illusione spaziale: Le sequenze audiovisive, spesso mute, sono regolate secondo i parametri della verosimiglianza cinematografica, perché è questo che ce le fa percepire come realistiche. Una sorta di temporalità ciclica e ripetitiva in cui l’interesse per la progressione delle immagini inizia a dissolversi come per esempio in Elevator Pitch (2011). Traffic jam – Order of importance (2018) presenta una veduta di sculture ricoperte di sabbia di auto e camion, disposte in modo tale da assomigliare a un ingorgo nel tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla crisi del cambiamento climatico. Due file di veicoli divise da uno spartitraffico dove la maggior parte dei veicoli è parzialmente sepolta nella sabbia, per dare l’impressione di essere sommersa – un riferimento all’innalzamento del livello del mare causato dal riscaldamento globale. “Il cambiamento climatico e le sue conseguenze non sono più una questione di prospettiva o di opinione”, ha dichiarato Erlich. “La crisi climatica è diventata un problema oggettivo che richiede soluzioni immediate”. Come un’immagine di una Pompei contemporanea o una reliquia del futuro, l’opera allude anche alla nostra fragile posizione nel grande equilibrio universale.

Classroom (2017)è una installazione interattiva che pone il pubblico di fronte a due stanze di proporzioni identiche divise da un vetro. La prima stanza è disadorna e tematicamente neutra, con semplici panche scure che inviato a sedersi, ma la stanza, dall’altra parte della finestra, è una minuziosa simulazione di un’aula scolastica fatiscente, chiusa e congelata nel tempo. Quando gli spettatori entrano, si riflettono nel vetro e appaiono come fantasmi nella stanza dall’altra parte. In questo modo, diventano come le apparizioni del passato, un invito ad attingere ai propri ricordi personali e alla propria immaginazione per tornare, da adulti, a una scena archetipica dell’infanzia.
Hair salon (2017), sebbene sembri una ricostruzione di un salone da parrucchiere con specchi e sedie ordinate, presenta delle sorprese. Alcuni specchi non mostrano i riflessi cosi come siamo abituati: non vediamo noi stessi, ma piuttosto persone che non sono nemmeno presenti nella stanza, che ci guardano disorientati quanto noi. In effetti, dall’altra parte di quello che pensiamo sia lo specchio c’è uno spazio completamente diverso. Erlich fa leva sulla nostra aspettativa che lo specchio mostri il nostro volto, mentre in realtà lo “specchio” è solo una cornice che separa un altro spazio vuoto, in un gioco percettivo di pieni e vuoti comune all’artista.

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Toluca Éditions e realizzato con il contributo di Galleria Continua.

Leandro Erlich
22 aprile – 4 ottobre
Palazzo Reale, Milano

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