La fascinazione per il tema dell’archivio nella storia dell’arte contemporanea è un dato di fatto, che sia essa intesa come argomento di ricerca nella pratica degli artisti e degli studiosi oppure semplice dispositivo per catalogare e organizzare informazioni. Con l’arrivo del digitale, e in particolare negli ultimi decenni, questa attenzione, che per molti è un’ossessione, o un impulso, per citare Hal Foster, si è decisamente intensificata mettendo in luce una serie di interrogativi sia su come vengono ripercorsi fatti della nostra memoria storica e su come questi vengono classificati e, più in generale, su come viene messa a sistema la nostra conoscenza.
Da queste premesse prende corpo L’Inarchiviabile, il volume di Marco Scotini che il 20 aprile alle 18.00 viene presentato da FM Centro per l’Arte Contemporanea a Milano. In un incontro intitolato L’archivio contro la storia, Scotini propone la sua riflessione sul tema confrontandosi con Marcella Campagnano, Marcelo Exposito e Ugo La Pietra. Al centro degli interventi, Massimiliano Guareschi, la lettura di Scotini che, nel suo libro, partendo dall’Italia arrivando fino all’Europa orientale, all’Africa e all’Asia, ci mostra come l’archivio possa divenire la prospettiva attraverso la quale costruire narrazioni controegemoniche in grado di restituire alle pratiche artistiche una vocazione critica.
Dai dialoghi con Harun Farocki, Vyacheslav Akhunov e Marko Pogacnik alle analisi su uno spettro di pratiche artistiche – che dalla “differenza italiana” si aprono sugli spazi della decolonialità, chiamando in causa il lavoro di figure quali Piero Gilardi e Ugo La Pietra, Laura Grisi e Marcella Campagnano, Ivan Kožarić, Mao Tongqiang e Meschac Gaba, Scotini racconta cosa significhi Inarchiviabile e perché tutto ciò che marginale, residuale, merita di essere analizzato: «L’inarchiviabile – spiega Scotini – non è soltanto ciò che è rimasto fuori dagli archivi del passato perché considerato non archiviabile (un resto, uno scarto non integrato). Non è soltanto quella parte residua da cui sono partito per le mie ricerche nello sforzo di ricondurre tale resto all’interno di quell’orizzonte virtuale in cui si sdoppia la nostra materia temporale. È vero che il mio sforzo, negli ultimi venti anni, è stato quello di cercare di rendere nuovamente possibili memorie collettive sepolte, corpi disobbedienti, ruoli repressi, libri interdetti, cartografie marginali, esposizioni rimosse. Allora l’inarchiviabile potrebbe coincidere con il terreno privilegiato di tale ricerca, in cui ho tentato di restituire al passato la sua possibilità. Eppure inarchiviabile è piuttosto quel residuo che – malgrado il nostro tentativo di archiviazione digitale globale – sempre rimarrà tale, come un’insopprimibile minaccia d’oblio. Sul confine mobile e invisibile che separa l’archiviabile dall’inarchiviabile si gioca la nostra contemporanea partita (etico-politica) con la temporalità: nel tempo, contro il tempo, in favore di un tempo a venire».
Marco Scotini è Direttore del Dipartimento di Arti Visive e del Biennio specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali di NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) di Milano e Roma. È Direttore artistico di FM – Centro per l’arte contemporanea di Milano e, dal 2014, del programma espositivo del PAV – Parco Arte Vivente di Torino. Ha curato il padiglione albanese alla Biennale di Venezia del 2015, tre edizioni della Biennale di Praga (2003, 2005, 2007), la prima Biennale di Anren (2017) e la seconda edizione della Biennale di Yinchuan (2018). È advisor della Bangkok Art Biennale (2020, 2022). È curatore di Politiche della memoria. Documentario e archivio (con E. Galasso, 2014) e di Utopian Display. Geopolitiche curatoriali (2019) e autore di Artecrazia (2021).
La fascinazione per il tema dell’archivio nella storia dell’arte contemporanea è un dato di fatto, che sia essa intesa come argomento di ricerca nella pratica degli artisti e degli studiosi oppure semplice dispositivo per catalogare e organizzare informazioni. Con l’arrivo del digitale, e in particolare negli ultimi decenni, questa attenzione, che per molti è un’ossessione, o un impulso, per citare Hal Foster, si è decisamente intensificata mettendo in luce una serie di interrogativi sia su come vengono ripercorsi fatti della nostra memoria storica e su come questi vengono classificati e, più in generale, su come viene messa a sistema la nostra conoscenza.
Da queste premesse prende corpo L’Inarchiviabile, il volume di Marco Scotini che il 20 aprile alle 18.00 viene presentato da FM Centro per l’Arte Contemporanea a Milano. In un incontro intitolato L’archivio contro la storia, Scotini propone la sua riflessione sul tema confrontandosi con Marcella Campagnano, Marcelo Exposito e Ugo La Pietra. Al centro degli interventi, Massimiliano Guareschi, la lettura di Scotini che, nel suo libro, partendo dall’Italia arrivando fino all’Europa orientale, all’Africa e all’Asia, ci mostra come l’archivio possa divenire la prospettiva attraverso la quale costruire narrazioni controegemoniche in grado di restituire alle pratiche artistiche una vocazione critica.

Dai dialoghi con Harun Farocki, Vyacheslav Akhunov e Marko Pogacnik alle analisi su uno spettro di pratiche artistiche – che dalla “differenza italiana” si aprono sugli spazi della decolonialità, chiamando in causa il lavoro di figure quali Piero Gilardi e Ugo La Pietra, Laura Grisi e Marcella Campagnano, Ivan Kožarić, Mao Tongqiang e Meschac Gaba, Scotini racconta cosa significhi Inarchiviabile e perché tutto ciò che marginale, residuale, merita di essere analizzato: «L’inarchiviabile – spiega Scotini – non è soltanto ciò che è rimasto fuori dagli archivi del passato perché considerato non archiviabile (un resto, uno scarto non integrato). Non è soltanto quella parte residua da cui sono partito per le mie ricerche nello sforzo di ricondurre tale resto all’interno di quell’orizzonte virtuale in cui si sdoppia la nostra materia temporale. È vero che il mio sforzo, negli ultimi venti anni, è stato quello di cercare di rendere nuovamente possibili memorie collettive sepolte, corpi disobbedienti, ruoli repressi, libri interdetti, cartografie marginali, esposizioni rimosse. Allora l’inarchiviabile potrebbe coincidere con il terreno privilegiato di tale ricerca, in cui ho tentato di restituire al passato la sua possibilità. Eppure inarchiviabile è piuttosto quel residuo che – malgrado il nostro tentativo di archiviazione digitale globale – sempre rimarrà tale, come un’insopprimibile minaccia d’oblio. Sul confine mobile e invisibile che separa l’archiviabile dall’inarchiviabile si gioca la nostra contemporanea partita (etico-politica) con la temporalità: nel tempo, contro il tempo, in favore di un tempo a venire».
Marco Scotini è Direttore del Dipartimento di Arti Visive e del Biennio specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali di NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) di Milano e Roma. È Direttore artistico di FM – Centro per l’arte contemporanea di Milano e, dal 2014, del programma espositivo del PAV – Parco Arte Vivente di Torino. Ha curato il padiglione albanese alla Biennale di Venezia del 2015, tre edizioni della Biennale di Praga (2003, 2005, 2007), la prima Biennale di Anren (2017) e la seconda edizione della Biennale di Yinchuan (2018). È advisor della Bangkok Art Biennale (2020, 2022). È curatore di Politiche della memoria. Documentario e archivio (con E. Galasso, 2014) e di Utopian Display. Geopolitiche curatoriali (2019) e autore di Artecrazia (2021).