L’ombra di Goya al cinema solo il 6,7,8 marzo

Nelle sale appuntamento con La Grande Arte al Cinema: arriva il docufilm di José Luis López-Linares presentato all’ultimo Festival di Cannes

L’ombra di Goya, il docufilm di José Luis López-Linares presentato all’ultimo Festival di Cannes arriva nelle sale italiane il 6, 7, 8 marzo, un omaggio a un artista che ha saputo raccontare gli incubi, le ossessioni e i fantasmi dell’animo umano. Già regista di Bosch. Il giardino dei sogni, López-Linares ha scelto un team di dodici specialisti di tutte le discipline – tra cui Julian Schnabel – per cercare di decifrare l’opera del genio spagnolo in questo suo nuovo documentario.

Francisco José de Goya y Lucientes, celebrato pittore della corte spagnola, è tra i maestri indiscussi della storia dell’arte dell’Ottocento: abile narratore dei vizi, dei paradossi e dell’ipocrisia umana, le sue opere indagano mondi alla rovescia, in cui vengono ribaltate tutte le gerarchie: quelle tra servi e padroni, uomini e animali, maschile e femminile. Dal Colosso alla Maja desnuda, da La famiglia di Carlo IV a Saturno che divora i suoi figli, tutti i suoi lavori sono lo specchio di una sensibilità straordinaria e di una mente artistica in perenne ricerca.

Il docufilm ripercorre l’intero destino dell’artista, dall’infanzia a Saragozza alle “pinturas negras” della Quinta del Sordo, la casa fuori Madrid in cui si ritirò in un drammatico isolamento prima di recarsi a Bordeaux, fino alla morte nel 1828. Nel corso della narrazione ognuno degli intervistati fa luce a modo suo su un artista dall’incredibile ricchezza espressiva (un otorinolaringoiatra si cimenta, per esempio, nel rintracciare nei quadri le conseguenze della sordità del pittore) avvicinando tra loro i tasselli di un viaggio che esplora la relazione tra cultura ed emozioni, cinema e pittura. Invece di prediligere il percorso cronologico, il documentario spazia tra opere di periodi diversi con cui Goya smaschera vizi e ipocrisie della sua epoca, tutte collegate tra loro dalla guida acuta e dalle riflessioni illuminanti di Jean-Claude Carrière, che non manca di individuare i legami artistici tra il pittore e il regista di Un chien andalou, accomunati dall’essere originari dell’Aragona, dalla sordità e dalla predilezione per una narrazione di tipo surrealista.

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