The European Pavillon, uno spazio per ripensare l’Europa

L’evento itinerante si disloca in vari punti della città di Roma. Un tour nelle sedi che ospitano il progetto europeo

Ha inaugurato il 17 novembre, e proseguirà fino al 19 novembre, The European Pavillon, un programma ideato dalla European Cultural Foundation e co-organizzato da quest’ultima con la Fondazione Studio Rizoma, con lo scopo di fornire spazi di sperimentazione e riflessione sull’Europa. L’evento itinerante si disloca in vari punti della città di Roma: Bibliotheca Hertziana – Istituto Max Planck per la Storia dell’Arte, Goethe-Institut, Accademia Tedesca Roma Villa Massimo, Académie de France à Roma Villa Medici, Istituto Svizzero, Museo delle Civiltà e NERO. Il programma è co-curato dalla program manager di ECF Lore Gablier e dalla curatrice ucraina Lesia Kulchynska.
Il progetto dell’European Pavilion fa inoltre parte del programma VIP di Roma Arte in Nuovola, la fiera d’arte moderna e contemporanea che si svolge dal 17 al 20 novembre.

Organizzato ogni due anni, il progetto fa tappa a Roma per la prima volta, grazie al lavoro quadriennale di dieci organizzazioni culturali provenienti da tutta Europa. Queste ultime sono spinte ad affrontare le sfide di oggi con approcci differenti e sperimentali, tentando una fusione artistica, culturale, sociale e politica, senza mai perdere di vista la keyword principale: la necessità di avere una piattaforma artistica europea che permetta di pensare e sfidare continuamente ciò che l’Europa significa oggi e che direzione può intraprendere in futuro. L’obiettivo è sviluppare nuovi programmi artistici e offrire nuove prospettive sul nostro continente, immaginando un futuro comune, in quanto siamo tutti appartenenti a uno stesso territorio. 

Più di trenta tra artisti, pensatori e ricercatori si sono riuniti, e continueranno nei prossimi giorni, in un programma che prevede tavole rotonde, conferenze e workshop, performance musicali, un ambiente di realtà virtuale, istallazioni plastiche e multimediali. Alcune delle domande affrontate durante i tre giorni sono: Come, attraverso la metafora del padiglione, possiamo ripensare lo spazio e il paesaggio dell’Europa? Che aspetto ha un Padiglione Europeo e cosa può significare? E soprattutto, perché non c’è un Padiglione Europeo alla Biennale di Venezia?

Eight Proposals di EUPavilion, Villa Massimo, Roma

Partendo da quest’ultima domanda, il collettivo EUPavilion, composto da Anna Livia Friel e Marco Provinciali, curatori e architetti, hanno dato vita a the EuPavilion Eight Proposal, installazione virtuale situata all’interno di Villa Massimo, in cui vengono realizzati gli otto progetti ideati per un ipotetico primo padiglione Europeo della Biennale di Venezia. Gli approcci degli otto artisti ed architetti, provenienti da diverse parti d’Europa, hanno fornito l’occasione per interrogarsi su quali nuovi linguaggi sono necessari per ridefinire l’identità di un organismo sovranazionale in crisi e in perenne costruzione, quale è l’Unione Europea. 

La varietà di approcci e risposte fornite dai partecipanti – nati e cresciuti sia all’interno che ai confini di un’unione in costruzione – rivela quanto l’architettura costituisca un terreno fertile, seppur poco sfruttato, su cui coltivare il dibattito sull’integrazione europea come progetto culturale, e sollevano tematiche differenti e inaspettate. 

A Villa Massimo sono presenti anche i viticoltori di Openope, Jerome Felici e Francoise Roger, i quali, durante la crisi dovuta al Covid-19, hanno dato vita a un progetto di supporto per i produttori di vino europeo, provando ad unire l’Europa anche attraverso il racconto delle storie dei vignaioli e dei vini da loro prodotti, provenienti da diverse parti del continente. Felici e Roger si sono focalizzati, per ora, sui paesi più colpiti dalla pandemia, i quali sono anche i maggiori produttori: Italia, Francia e Spagna. L’intento è stato mostrare ai vignaioli come  le difficoltà  legate alla globalizzazione, ai cambiamenti climatici e, non ultima alla pandemia, accomunano tutta l’Europa, la quale è un unico grande territorio, di conseguenza, si può lavorare insieme per combattere queste problematiche e affrontare le sfide del domani. Nel corso della visita, è stato possibile degustare la prima annata del vino Bordeless European, frutto del progetto: il bianco realizzato con Chardonnay italiano e francese e Riesling italiano e il rosso con Cabernet Sauvignon, Gamay e Barbera. 

Nel pomeriggio del 17 è stata presentato da Ludovica Carbotta, artista torinese delle Ogr di Torino, un altro dei luoghi di sperimentazione dell’European Pavilion, il suo nuovo lavoro I come from outside of myself, accompagnato da una passeggiata performativa. Il progetto, partendo dall’osservazione della mutevolezza dei confini europei – porosi per chi vi è all’interno, fortificati per chi è all’esterno – dà vita a dei padiglioni in miniatura, dei modellini che tutti possono portare con se, oggetti che possono passare di mano in mano, di paese in paese: «Poiché l’ Europa non può contenere tutti – dice l’artista – in questo modo tutti possono contenere l’Europa». Questi oggetti divengono veicoli per aprire conversazioni su confini, diritti e spazi dell’individuo e del singolo, non della nazione. 

Ludovica Carbotta, I come from outside of myself

La discussione è avvenuta passeggiando per simboleggiare la volontà di non legarsi a nessun luogo e quindi nessuno stato europeo. Impossibile pensare all’Europa di oggi senza tenere in considerazione le sfide che il nostro continente deve affrontare, non ultime quelle poste dalla guerra in Ucraina. In questi tre giorni si cerca di trarre ispirazione da iniziative collettive e individuali, mirate a superare il colonialismo e a lottare contro ogni forma di sfruttamento e discriminazione e contro lo sfollamento forzato.

Tra queste vi è il collettivo antiwarcoalition.art che presenta al Goethe Institut una selezione di opere della loro piattaforma online: dichiarazioni contro la guerra create dagli artisti di tutto il mondo. Lo scopo è supportare le persone ucraine nella lotta per la libertà attraverso il lavoro artistico, sottolineando che questa guerra è solo una parte della politica imperialista invasiva che la Russia persegue dal 1991 occupando territori vicini. Il collettivo costruisce linee di tensione e resistenza, fornendo una prospettiva critica sul contesto coloniale e la visione gerarchica del mondo che ha portato a questa guerra. Essi inseriscono nel loro lavoro, voci internazionali provenienti da paesi e territori che sono stati essi stessi zone di guerra, per discutere questioni sulla disuguaglianza e sulle conseguenze delle economie di conquista. Per loro l’arte contemporanea è un catalizzatore per il discorso e l’impegno civico, poiché essa va contro ogni dittatura, guerra repressione politica e militare, ed è importante che le persone facciano esperienza dell’arte in ogni parte del mondo.

La parola “padiglione” si riferisce all’architettura visibile del nostro orecchio: la parte che consente l’ascolto. In quest’ottica, il programma presta particolare attenzione alla ricca diversità di lingue e voci che compongono l’Europa, in particolare quelle che troppo spesso sono messe a tacere o emarginate. Partendo da questo presupposto, la seconda giornata è dedicata alle numerose e diversificate voci che compongono l’Europa, così da comprendere l’importanza di abbandonare l’eurocentrismo, aprirsi all’ascolto di storie spesso ignora e confrontarsi con immagini trascurate. La via tracciata da The European Pavilion è quella del sentire comune: empatia, mutualità, reciproco soccorso e ascolto. 

L’ultima giornata servirà a interrogarsi sull’identità e sui confini dell’Europa, analizzando il rapporto tra quest’ultima e il mondo. L’obiettivo è quello di trarre ispirazione da iniziative collettive e individuali che tentano di superare il colonialismo e che lottano contro ogni forma di politica di sfruttamento e discriminazione.

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