“Torna diverso. Una galleria di musei”, il nuovo libro di Stefania Zuliani pubblicato da Gli Ori

L’istituzione museale per la sua natura di difficile perimetrabilità continua a essere oggi oggetto di studi, riflessioni, discussioni

Difficile tenere il conto esatto delle modificazioni subite dal museo inteso, citando una duplice e particolarmente modulabile definizione che Allan Sekula ha rivolto all’archivio (“Il corpo e l’archivio”, 1996-1997), come “entità paradigmatica astratta” e “istituzione concreta”. Dalla ghigliottina al covid lo spazio, fisico e concettuale, del museo si è continuamente trasformato a seconda di contesti storici e contingenze di vario tipo che hanno spesso innescato e imposto processi rigenerativi. Da luogo per l’esercizio del potere, per lo sfoggio ideologico, a porto franco per la libertà culturale, dalle sue primigenie esigenze di conservazione, tutela ed esposizione all’allargamento delle possibilità alle dimensioni dell’esperienza, della progettazione, della realizzazione in situ e, addirittura, discorsive e di partecipazione, l’istituzione museale per questa sua natura di difficile perimetrabilità continua a essere oggetto di studi, riflessioni, discussioni e speculazioni; una difficoltà che è stata accolta come opportunità dagli studiosi più attenti.

André Breton collection, trivium art history

Tra questi, Stefania Zuliani ha fatto delle peripezie del museo e, delle sue aree di prossimità con gli spazi della critica, la sua zona di lavoro accademico che ha trovato nuovo sfogo in Torna Diverso. Una galleria di musei, un libro-itinerario di recente pubblicato da Gli Ori di Pistoia, una selezione di esperienze museali, nella sua più dilatata accezione, osservate da una postazione che bilancia la misura della passione con il rigore e la densità teorica. Si tratta di una raccolta di saggi che attraversa circa cento anni di sperimentazioni, polarità attive e tensioni inesauste, tra museologia e collezionismo, tra il complesso espositivo e le sue discipline (Bennett), tra il sistema degli oggetti (Baudrillard via Lugli), il partito preso delle cose (Ponge) e la forza dell’immaginazione; tra l’ordinario e il sublime, per dirla con Zagajewsky. Una narrazione che ha il suo abbrivio nelle atmosphere rooms e nelle capacità trasformative degli ambienti museali di Alexander Dorner, tra Hannover e Providence; e trova nella città di Parigi un ineludibile pretesto per riflettere da un lato sul potere (e il destino) di una collezione e di un luogo, il “grand atelier” di Breton al 24 di Rue Fontaine, “punto nevralgico della topografia surrealista”, dall’altro sulla macchina morbida del Louvre attraversata da proposte etero-curatoriali, il progetto espositivo “Les musées sont des mondes” firmato dallo scrittore Jean-Marie Gustave Le Clezio, e dallo sguardo poetico-analitico di Yves Bonnefoy, autore che ha stretto un legame durevole con l’arte e che, alla prova de “Le Grande Espace”, rivela tutta la carica espressiva della sua scrittura, di meravigliata esplorazione e, al contempo di lucida interpretazione di un museo, del museo, che “per quanto si sforzi d’essere universale, o, peggio, globale […] non è altro che un mondo incompleto, è un racconto spezzato, appena un’illusione, un simulacro della vita”.

Se il kunstwollen collezionistico di Sigmund Freud è parte basilare ma non totale della doppia esperienza museale a lui dedicata tra Londra e Vienna, su quest’ultima Zuliani si sofferma per far risaltare la potenza dell’assenza nella scrittura museografica, l’impresa romanzesca – “a condizione che la parola «romanzesca» non la intendiate come «inventata», «artificiale», «diversa dalla vita»” (Milan Kundera , “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, 1984) – di Orhan Pamuk e del suo Museo dell’Innocenza è contributo essenziale a quell’operazione di ampliamento delle funzioni sia dell’”entità paradigmatica astratta” che assume qui la forma, per l’appunto, di un romanzo, sia dell’”istituzione concreta” che è il museo, reale, aperto nel 2012 nel quartiere di Çukurcuma, a Istanbul, e di cui Pamuk è per lo meno fondatore, direttore, curatore e allestitore. Un’esperienza nei territori del quotidiano che ha nell’innocenza degli oggetti e nella protrazione teorica del Modesto manifesto per i musei un programma preciso di rimodulazione di questa entità polimorfica che è oggi il museo; questo spazio spesso praticato e sempre accessibile, Szeemann ce lo insegna, alle ossessioni, alla visionarietà, al collezionismo ideale, a controracconti, che nelle esperienze di Giorgio Manganelli, Antonella Anedda e Griselda Pollock trova quelle declinazioni differenziate, “eteroclite”, che permettono a Zuliani di completare la sua galleria.

Torna diverso. Una galleria di musei
Stefania Zuliani
Gli Ori, Pistoia 2022

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