Il ruolo dell’artista oggi: tra libertà e responsabilità. Michelangelo Pistoletto si racconta in occasione della sua mostra a Pistoia

Una chiacchierata con l'artista che, dopo quasi trent’anni, torna a Pistoia per una mostra diffusa che trasforma la città in museo

«Attraverso la libertà dell’arte mi sono assunto la responsabilità di quello che avrei potuto fare nel mondo»: Dopo quasi trent’anni Michelangelo Pistoletto torna a Pistoia per l’apertura di PISTOLETTO PISTOIA. Costellazione: 5 passi tra creazione e memoria, mostra realizzata da Pistoia Musei in collaborazione con Fondazione Pistoletto Cittadellarte e a cura di Monica Preti, direttrice di Pistoia Musei. Fino al 25 settembre la città toscana diventa vera e propria città-museo grazie a un percorso diffuso tra l’Antico Palazzo dei Vescovi, la Chiesa di San Leone, la Biblioteca Fabroniana, il Museo del Novecento e del Contemporaneo di Palazzo Fabroni e l’Osservatorio Astronomico della Montagna pistoiese.

Partiamo dal suo rapporto con Pistoia
«Sono stato invitato qui a Pistoia parecchie volte, a partire dagli anni Ottanta. La prima volta nel 1980, per un’occasione di arte e teatro e poi, quando Bruno Corà è diventato il direttore di Palazzo Fabroni, mi ha invitato a parlare del mio Progetto Arte. In questo progetto affermavo fosse arrivato il momento, per l’artista, di mettere in connessione tutti i settori della vita sociale: dalla politica all’economia, dalla religione all’educazione, e rendere l’arte l’elemento dinamico di cambiamento verso una sostenibilità nella società. In questa discussione, insieme alle approvazioni, c’è stato anche chi sosteneva fosse pura utopia. “La parola utopia vuol dire non luogo” dissi “ma io ho già acquisito un luogo a Biella che ho denominato Cittadellarte. C’è un luogo, quindi, e ora sto presentando il progetto. Non resta che applicare la capacità di costruire il nostro futuro attraverso l’arte in questo luogo e con questo progetto”. Oggi ci troviamo di fronte a un nuovo passo di questo progetto: raccontare quello che ho fatto dopo di allora, nel senso proprio di interazione con il sociale. Ecco che qui, a Pistoia, essendo nata una nuova concezione di “città museo”, è stata creata una costellazione in cinque punti: nei palazzi storici che rappresentano la memoria della città, abbiamo inserito proposte per il futuro».  

Lei una volta ha detto “Attraverso la libertà dell’arte mi sono assunto la responsabilità di quello che avrei potuto fare nel mondo”. Come conciliare l’idea dell’artista come assolutamente libero e l’idea dell’artista che deve farsi promotore di un futuro responsabile?
«L’artista, proprio in quanto libero, non ha costrizioni. Diversamente da quanto avviene per quasi tutte le altre strutture che organizzano la società, l’artista non è legato a nessuna forma predefinita. L’artista della modernità è diventato, infatti, anticonvenzionale, assumendo una libertà individuale che l’arte non ha mai avuto prima del ventesimo secolo. Cosa se ne fa oggi l’artista di questa libertà e di questa anti convenzionalità? La può usare per modificare le convenzioni esistenti e, per modificarle, deve intervenire in tutti i rami della vita sociale. Questa è la mia idea e l’idea che stiamo portando avanti con Cittadellarte, che conta oggi su circa duecento ambasciate nel mondo. A Biella abbiamo creato un’attività che coinvolge tutta la città, città non più intesa solo come comune ma come insieme degli ottanta comuni della provincia diventati arcipelago, capace di includere la campagna, la montagna, i fiumi e tutte le problematiche delle persone che vivono in quei territori. Da qui il bisogno di creare un parlamento locale a cui ognuno, attraverso le sue attività, possa partecipare. Ogni attività, ogni organizzazione, è infatti un piccolo governo. Anche due persone che vogliono vivere insieme formano un piccolo governo, ossia un piccolo parlamento in cui mettersi d’accordo. Dalla viabilità all’energia, dalla scuola alla salute, ogni argomento deve essere analizzato e risolto localmente. Mentre il concetto arte-società si sta sviluppando sempre più, le vecchie convenzioni stanno portando disagi spaventosi: pensiamo alla guerra in ucraina e alle guerre nel mondo. Quello che noi abbiamo fatto a partire dagli anni Sessanta a oggi è un cammino che speriamo porti a qualche risultato. Se non dovesse portare da nessuna parte, pazienza. L’importante è tentare».

La sua arte risponde a un bisogno sempre più impellente: la necessità di venire a patti con la natura e tornare in equilibrio con essa. Tutte le opere in mostra, infatti, richiamano lo spettatore all’azione. Un’opera che meglio esprime questa urgenza di sostenibilità?
«Abbiamo sempre pensato che il rapporto con la natura fosse totalmente a nostro vantaggio, ricavando da questa tutto il possibile. Adesso ci rendiamo conto, invece, di star passando a uno stadio di svantaggio rispetto alla natura stessa. Stiamo osservando i risultati di un inquinamento che pensavamo non avremmo mai raggiungo: noi cercavamo benefici e, insieme a questi, ci stiamo procurando anche molti danni. Il danno che noi procuriamo alla natura non è che sia risentito da questa -la natura non ha sentimenti- ma noi lo risentiamo perché ci manca la terra sotto i piedi, ci manca l’aria che respiriamo, l’acqua per far funzionare le attività quotidiane. Dobbiamo quindi davvero trovare un nuovo rapporto con la natura. Questo è il senso del Terzo Paradiso, il terzo stadio: il primo è quello naturale, il secondo quello artificiale che abbiamo creato uscendo dalla natura e ora dobbiamo mettere insieme natura e artificio, per poter continuare a sopravvivere».

Dualità come opposizione, contrasto, riflessione e possibilità di riconoscersi. Dualità quindi come potenza creatrice di un “terzo”, il pensiero riflettente, l’opera. La dualità sembra avere un peso enorme nella sua produzione artistica. E’ così?
«Esiste solo dualità. Nessun elemento vive da solo. Tutti gli elementi che esistono sono unità che si incontrano con altre unità le quali, combinandosi, creano sempre un terzo elemento che prima non esisteva. Nel cerchio centrale della formula trinamica, la dualità si unisce e crea il tre. L’elemento creato diventa così unità che si unirà a un’altra unità e così via all’infinito. In questo modo funziona la realtà universale e così deve funzionare, con sapienza e conoscenza, anche la realtà artificiale».

E lei, come artista, quando nasce? Quando si è ri-conosciuto come tale?
«Sono nato già con le cellule predisposte all’arte. Mio padre era un artista, dipingeva, e ha conosciuto mia madre perché lei voleva imparare a dipingere. Hanno fatto un’opera insieme, che sono io. Fin da bambino ho vissuto, quindi, questo clima dell’arte e ho imparato moltissimo da mio padre. Lui era un artista tradizionale: copiava benissimo la natura, era un artigiano della copia dal vero. Verso i diciotto, vent’anni, mia madre disse a mio padre che il futuro era nella pubblicità e fu così che mi iscrisse a questa scuola di pubblicità con Armando Testa. E’ stato lì che ho iniziato a cercare di capire chi ero, chi sono. Quello che mi dicevano non era sufficiente: mi insegnavano che bisognava essere buoni, bravi, gentili, civili e invece, nella mia infanzia, non ho visto altro che guerre, massacri e cose mostruose. L’esempio è sempre stato distante dalle buone parole. L’arte, invece, mi offriva libertà e autonomia assoluta; ero io a dover cambiar le cose, perché da fuori non me le stavano cambiando. Così, ho iniziato a voler cambiare le cose».

Genius loci e digitalizzazione dell’arte: c’è possibilità di conciliazione? Crede che le sue opere, in particolare quelle maggiormente legate al territorio, manterrebbero il loro significato più profondo “senza territorio” ?
«Gli obiettivi sono sempre globali. Viviamo ormai in una società globale. Come abbiamo potuto osservare, con una pandemia in ventiquattro ore tutto si blocca. Il mondo è una pallina. C’è una guerra in Ucraina, ecco che la questione diventa mondiale. A questo non si sfugge. Non si può però partire dall’alto, da dove nascono tutti mali, ma occorre partire dal basso, dai luoghi specifici: Biella, per esempio, o Pistoia. Dobbiamo ripartire dalla pratica, dalle situazioni più vicine, per creare nuclei nuovi di vita che, moltiplicandosi, possano diventare la grande società».

PISTOLETTO PISTOIA. Costellazione: 5 passi tra creazione e memoria
Dal 25 giugno al 25 settembre
Pistoia: Chiesa di San Leone e Biblioteca Fabroniana, Museo del Novecento e del Contemporaneo di Palazzo Fabroni, Osservatorio Astronomico della Montagna pistoiese
Info: https://www.pistoiamusei.it/mostra/pistoletto-pistoia/