Un’estate di luci e colore, a Studio La Città, la galleria veronese che ha ridefinito il volto dell’arte contemporanea in Italia

Jacob Hashimoto, Herbert Hamak, Stuart Arends tornano a Verona dopo la pandemia con un nuova esposizione collettiva allo Studio La Città

Quest’estate, un colorato mondo di luci e forme pure vi attende nell’ampio spazio industriale che un tempo ospitava le officine ferroviarie Galtarossa, e che dal 2007 è la nuova sede dello lo Studio la Città. Vale la pena esserci, perché la storica galleria veronese ha contribuito a definire il volto dell’arte contemporanea in Italia. Entusiasmo, fatica, instancabile curiosità sono il filo conduttore di una storia d’amore per l’arte che dura da oltre mezzo secolo, e che esprime scelte complesse, ideologicamente rigorose, aliene alle logiche di mercato.

Un trittico d’eccezione, quello che inaugura il prossimo 11 Giugno. La tri-personale racconta la storia di una lunga amicizia che lega da oltre venti anni tre artisti provenienti da continenti diversi, apparentemente lontani per sensibilità e background, che la galleria rappresenta fin dagli anni ’90, e che finalmente tornano insieme a Verona dopo la pandemia.

Il giapponese Hashimoto vive a lavora a New York. Il suo lavoro è nelle collezioni del LACMA a Los Angeles, della Tokiwabashi Tower a Tokyo, delle collezioni Microsoft e McDonald, tanto per fare qualche nome. In Italia i suoi celebri aquiloni sono stati esposti al MACRO di Roma e alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia.
Stratificando carta ed elementi in bambù, Hashimoto modella paesaggi multicolori profondamente ispirati alla cultura nipponica. Ogni opera è composta da centinaia di piccoli elementi simili ad aquiloni incatenati insieme; gli strati di queste catene sono tesi tra brevi tasselli che sporgono da staffe montate a parete, creando un arazzo di immagini densamente stratificato. 

Gli aquiloni rappresentano la connessione tra terra e cielo, e creano una trama al tempo stesso minuziosa e lieve di calligrafie, pattern, forme organiche, forme pixelate come nei videogiochi. Attraverso paesaggi fluttuanti tra l’onirico, l’organico e il digitale, l’immaginazione si dispiega e abbraccia mondi distanti e contigui, dalla matematica, alla biologia, all’architettura. Sono giocose meditazioni zen sull’ordine del mondo: struttura e caos, mutevolezza, impermanenza, bellezza. «Per me, afferma l’artista, sono un indicatore di ottimismo. C’è una qualità infantile, e un senso di nostalgia».

La mostra a Verona comprende anche una nuova serie di dodici pezzi creati attraverso una combinazione di xilografia e serigrafia (The Necessary Invention of the Mind, 2020). Libero per la prima volta dal peso della gravità, Hashimoto si apre a una inedita immediatezza lirica mediata dalla cultura calligrafica del Sol Levante.

L’immaginifica giocosità di Hashimoto è decantata e sublimata in forma e luce pura nel lavoro di Hamak. Herbert è un bavarese doc, innamorato dell’Italia. Ha esposto nelle grandi capitali internazionali (Tokyo e Parigi, tra le altre), ma i suoi maggiori interventi pubblici sono tutti concentrati nel Bel Paese: alla nuova sede della Bocconi di Milano, all’Archiginnasio di Bologna, al Museo di Castelvecchio a Verona, sulla facciata della Cattedrale di Atri a Teramo. Studio La Città gli dedica una mostra-omaggio con opere dagli anni ’90 ad oggi, molto eterogenee per forme e dimensioni, mai esposte prima. Kobalt Grün, Permanent Rot, Ultramarinblau Dunkel, Permanent Gelb sono i nomi in tedesco dei pigmenti più usati da Hamak. Stratificati e mescolati alla resina, danno vita a una elegìa di colori che si animano di vita propria attraverso i sottili trapassi di stato da una struttura fisica all’altra, dalla bidimensionalità del colore alla tridimensionalità dello spazio. La tela si satura di materia e colore fino ad arrivare alla massa critica, al momento in cui il supporto rinnega se stesso, il limite viene valicato, e il colore deborda, trasfigurandosi in luce pura.

Al vitalismo elegiaco di Hamak risponde il minimalismo assorto di Stuart Arends. Da una piccola comunità agricola dello Iowa a fenomeno globale: le sue opere sono nelle collezioni permanenti del Whitney di New York, della National Gallery di Washington, del MAIS di Lugano (senza contare le pubblicazioni su Art In America, Vogue Italia, Flash Art International). Ma Stuart è uno che non si lascia abbindolare dalla celebrità: vive intenzionalmente in isolamento, lontano dalle distrazioni e dal glamour. Il suo studio/abitazione è un piccolo edificio in metallo dal tetto inclinato, con porte finestre scorrevoli che fungono da finestre, nel mezzo del nulla. Da tredici anni il deserto del New Mexico è per lui ispirazione, nutrimento, rifugio.
La mostra Art Attack/Unfolded presenta una serie di lavori inediti, realizzati per questa esposizione. Arends torna alla forma originaria della scatola con i lembi dispiegati chefa la sua prima comparsa nel 1980. Nel 2000 i lembi diventano di legno, e nel 2006 di alluminio. Oggi Arends torna a quella forma per infonderle nuova energia attraverso la parola scritta, cui vengono applicati strati plurimi di impronte di pollice di colori diversi. 

La scala ridotta delle opere è in netto contrasto con la vastità dell’arido deserto che lo circonda: «Ho scoperto che le opere non devono necessariamente essere grandi per attirare le persone e farle concentrare sulle stesse cose su cui dovrebbero concentrarsi nei grandi lavori, ma non riescono a farlo perché non hanno la possibilità di avvicinarsi abbastanza». 


Info: https://studiolacitta.it/
Jacob Hashimoto, “The Burn Out Sun”
Herbert Hamak, “Kobalt Grün, Permanent Rot, Ultramarinblau Dunkel, Permanent Gelb”
Stuart Arends, “Art Attack/Unfolded”
Da 11 Giugno a 5 Agosto, 2022
StudioLa Città, Lungadige Galtarossa 21, Verona IT