Autobiografia e pittura, Gianni Politi racconta i temi e le tecniche al centro del suo lavoro

Gianni Politi riflette sul concetto di ripetizione nella pittura e racconta l'opera con cui è stato premiato al Talent Prize 2021

DA INSIDE ART #123
L’arte è una domanda che deve rimanere aperta per dirsi contemporanea

Dal suo primo incontro con la pittura, Gianni Politi si è sempre posto una domanda fondamentale: che cosa posso dipingere? Un interrogativo comune a molti artisti a cui lui risponde ponendosi altre domande accompagnate da opere che indagano la pittura stessa.

Anno 2012. Sfogliando un catalogo, il giovane Politi rimase colpito dal quadro di Gaetano Gandolfi del 1770, Studio per uomo con la barba: un incontro casuale e fortunato, in una fase della vita in cui l’artista romano cercava di capire cosa valesse davvero la pena dipingere. «L’opera mi ha colpito – racconta Politi – per la somiglianza del soggetto con mio padre scomparso: così per un anno ho lavorato a cinque dipinti dello stesso formato (cm 18×24), cercando di risolverli tutti senza mai cambiare tela».


NSIDE ART SPECIAL AWARD – Pieno di certezze e pieno di dubbi, 2020

Nel 2013 presentò questa prima serie di opere e da allora ha continuato a lavorare e a interrogare la stessa immagine, cambiando solo il formato per un certo periodo, per tornare oggi alle dimensioni con cui aveva iniziato. Ogni artista è alla costante ricerca di un linguaggio proprio, di una propria originalità e riconoscibilità: Politi potrebbe aver trovato tutto questo nel soggetto. «Ma è un lavoro aperto – continua l’artista – che non si esaurisce mai in ciò che raffigura».

Quell’immagine iniziale che gli ricordava il padre scomparso è anche altro. «Per me – riconosce Politi – può essere il padre di chi guarda, una figura autoritaria, un uomo qualsiasi». Negli anni la sua opera si è trasformata. Lo stretto legame inconscio con la sua vita privata cede il passo a una forma di disciplina. Non è un esercizio, né una sfida, termini che Politi non ama e da cui si tiene lontano, ma è una ricerca continua sulla stessa immagine e un tentativo di rispondere alla domanda che tutti i pittori si pongono.

Il quadro diviene una risposta performativa. L’interesse si sposta sul materiale, sul processo creativo e sul tempo trascorso in studio. L’evento autobiografico ha dato vita a una ricerca che negli anni si è allontanata dall’elemento personale, per diventare un’analisi di ampio respiro. La ricerca di Politi non si può ridurre alla dicotomia astratto/figurativo. Indubbiamente, sono concetti essenziali che l’artista indaga in modo complementare, nella convinzione che, come dice: «Dei quadri astratti per formato e per titoli possono raccontarci esperienze non astratte ma fisiche». Sarebbe quindi un limite ricondurre i suoi lavori a queste etichette.

Il suo lavoro, la sua stessa vita, è il lungo tentativo di costruire una realtà e di vederla attraverso le sue opere. Ricorrente è il concetto di appropriazione, che supera quello di rappresentazione o introspezione. «Ci sono immagini – conferma l’artista – che uno porta con sé e che con la pittura cerca di fare sue». In una delle sue prime mostre, Viva la muerte del 2012 nella biblioteca Casanatense di Roma, il suo interesse si concentrava su uno scheletro acquistato ai tempi degli studi universitari: anche in questa occasione l’artista ripeteva lo stesso soggetto cercando di farlo proprio attraverso un’indagine pittorica sui materiali, sulla tecnica e sull’immagine.


Tenere in mano il nulla, 2015, courtesy Galleria Lorcan O’Neill

L’indagine dell’artista romano è chiara e lui stesso la esplicita in piccole note scritte che accompagnano i suoi progetti e che consistono proprio nelle domande che si pone in relazione alle opere stesse. «Quando presento un progetto – ammette Politi – parto da queste domande, ma non cerco risposte definitive». La risposta è ancora aperta e probabilmente lo rimarrà sempre perché è in questo che consiste la bellezza dell’artista che cambia e si interroga fino alla fine. Le immagini ricorrenti, la materia, la tecnica e il colore, unitamente alle parole e alle frasi, costituiscono la poetica dell’artista.

I titoli delle sue opere sono incisivi quanto le immagini: Politi li sceglie come mezzo per raccontarsi e presentarsi al pubblico. Non credendo nell’autorappresentazione, ha chiesto al poeta Jahan Khajavi di scrivere delle poesie partendo dai titoli delle sue opere. Un modo diverso e originale di esprimere chi è e cosa fa, ossia attraverso le opere di un altro artista. I titoli delle opere di Politi raccontano una storia, la sua, quella di altri o quella di nessuno, in questa pubblicazione sono stati il mezzo con cui Khajavi ha realizzato 43 poesie, opere letterarie che possono considerarsi nuovamente una risposta aperta. L’artista, come le sue opere, rimane aperto, perché la mancanza di certezze fa in modo che l’arte rimanga sempre contemporanea.


photo Fabio Paleari

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