DA INSIDE ART #123
La scultura per vivere le cose, per far emergere narrazioni bloccate negli oggetti
Preziosi ritrovamenti, interventi minimi che assecondano la materia che si fa e si disfa, far emergere narrazioni bloccate negli oggetti. L’attitudine scultorea di Irene Coppola, artista palermitana, si com- pone anche di questi elementi, perché, come dice: «la scultura è un modo di stare a contatto con le cose», su cui rivendica un fare femminile.
«Alla NABA Nuova Accademia di Belle Arti di Milano – ricorda Coppola – ho iniziato a coltivare e a esercitare il mio sguardo nel campo delle arti visive accanto a maestri come Bert Theis, Adrian Paci, Vincenzo Castella». Così comincia a raccontare il suo percorso Coppola, artista dall’attitudine scultorea: «dove – dice – concetto e forma lavorano insieme per produrre uno spostamento di senso».
Tra i suoi interessi troviamo: «la narrazione della quotidianità trascurata dalla grande Storia, ma risonante di memorie personali e collettive», e la tecnica del calco, che spesso viene impiegata per trattenere un racconto dal carattere evocativo. «Così – afferma – l’opera che nasce da questo processo diventa un margine poroso come la pelle. In Parete 46°24’49.7”N 12°21’47.3”E c’è un legame materico tra il supporto e il residuo di un’architettura storica abbandonata tra le dolomiti.
Negli Occhi della pelle Juani Pallasma scrive che il tatto è la madre di tutti i sensi che non sono altro che specializzazioni della pelle. Da qui l’importanza di coltivare la visione periferica che è capace di trasfor- mare la gestalt retinica in esperienze spaziali e corporee». L’artista definisce il suo rapporto con la materia come «sensuale e vitale necessità di toccare, manipolare».
Che si tratti di elementi organici o plastici, la posizione che Coppola assume è quella di co-autrice nei confronti delle trasformazioni naturali di cui siamo parte. «La materia – spiega – è memoria. Dico sempre che se un’opera è fatta di carta o di bronzo sta già di per sé comunicando due racconti distinti. E poi è una continua metamorfosi che il corpo legge attraverso tutti i sensi.Alcuni lavori sono dei preziosi ritrovamenti, dove il mio intervento è minimo: penso a Infiorescenze, una serie di grovigli plastici e organici che raccolgo lungo le spiagge».
Seguendo questo flusso di pensieri e lasciandosi trasportare dall’interesse che le storie dei diversi materiali nascondono, anche lo spazio e l’aria che ci circondano sono da considerare materia da modellare. E così il tempo. «La materia – continua – è una grande maglia di cellule ora fitte, ora fluide, ora impalpabili. L’arte ci offre molti esempi: pensiamo ai Corpi d’aria di Piero Manzoni, agli ambienti cibernetici di Gianni Colombo o ancora agli allestimenti di Carlo Scarpa che lavorano in rapporto al movimento dei corpi nello spazio. È proprio su questo principio che ho pensato Hanging Garden: una serie scultorea in cui ho riprodotto delle guaine vegetali in bronzo disponendole di poco sospese da terra su un display orizzontale che cambia a seconda del punto di vista dell’osservatore. Il tempo è una costruzione relativa a un sistema che ci siamo dati per organizzare il mondo. L’unico modo per afferrarlo è attraverso la memoria, che è la base della conoscenza».
Ma come si può rendere tangibile un racconto, una memoria? L’artista lo fa pensando il display stesso come potenziale struttura narrativa che tenta di andare oltre ciò che si vede. «Un esempio significativo – spiega Coppola – è <h1> Home Page </h1>: tra i progetti vincitori di Cantica21, l’opera si configura come una tenda modulabile e abitabile dove il corpo frammentato alla base diventa il fondamentale punto di ancoraggio. In Utopian Display il curatore Marco Scotini fa ben riflettere sull’urgenza di profanare il concetto di esponibilità in quanto tale, attraverso “contro-dispositivi”, come li definisce, che dovranno essere portatori di istanze politico-sociali (non solo estetiche) impreviste e tali da rendere visibile e met- tere in discussione l’apparato, decolonizzare narrative, minare i canoni espositivi».
Nelle esperienze vissute in questi anni dall’artista, che l’hanno portata ad attraversare diversi territori liminali, la sua pratica si è sviluppata attorno a specifiche memorie locali nelle quali ha sempre ritrovato qualcosa di sé e del mondo. «Durante l’ultima esperienza nella Comarca indigena Guna di Panama – racconta – ricercavo l’albero della gomma, una specie quasi scomparsa per mano dei colonizzatori agli inizi del secolo scorso. Con una guida locale lo abbiamo trovato dopo un’ora di cammino durante il quale ci siamo imbattuti in un plotone di militari panamensi che, vicini al confine con la Colombia, battono le rotte del narcotraffico. Più che un aneddoto, questo ricordo apre delle riflessioni che credo non siano così distanti da noi».
Il progetto di residenza, sostenuto dall’Italian Council, realizzato in collaborazione con l’architetto palermitano Vito Priolo, si può approfondire nel- la pubblicazione Habitat 08°N stampato per Viaindustria. Coppola è in mostra, con lavori inediti, nella collettiva Alter Eva Natura Potere Corpo a Palazzo Strozzi di Firenze ed è parte di RoomTo Bloom, piattaforma femminista per le narrazioni ecologiche e postcoloniali dell’Europa, per cui realizzerà un’azione collettiva nella sua Palermo a cura di Marcela Caldas. Conclude l’anno 2021 con una personale alla galleria Francesco Pantaleone di Milano.